
L'indiscussa regina dello street food è il simbolo della regione, riconosciuto anche dalla Comunità europea. Giovanni Pascoli le dedicò una poesia. La liturgia classica la prevede con prosciutto crudo, rucola e squacquerone, ma nel tempo si sono imposte altre versioni«Che ne sai della Romagna?/che ne sai della piadina?/non c'è solamente l'acqua/non c'è solamente la farina… c'è l'allegria del liscio/il cuore dei bagnini/c'è l'arte di Fellini», e chi, se non il re del liscio, Raoul Casadei, con la sua «Pida», poteva tessere miglior lode alla indiscussa regina dello street food. Una storia che parte da lontano, da quella lavorazione dei cereali che è un po' una caratteristica di tutta l'area mediterranea, con declinazioni diverse. Già l'etimologia del nome è stata oggetto di accese discussioni tra i filologi. Nel sentire comune la si fa risalire alla consuetudine di usare questo disco di farina, cotta inizialmente su di un piatto di terracotta (teggia) e poi su piastra di metallo o lastre di pietra (testa), quale base sulla quale versare ingredienti diversi. Una sorta di piatto edibile, o giù di lì. Nell'antica Roma era considerata cibo per ricchi, perché andava consumata subito, bella calda.La prima traccia scritta è del 1371, ad opera del cardinale Anglico de Grimoard, fratello di Papa Urbano V, che in una accurata relazione di quelle terre la descrive in maniera specifica. Il medico riminese Costanzo Felici, nel 1572, testimoniò come la piada fosse succedanea del pane, posto che era di veloce cottura e integrava quanto mancava nella dispensa poiché l'infornata del pane era settimanale.Il canonico Giacomo Pedroni, nel 1622, rilevò come, in seguito alle periodiche carestie, la piada si potesse realizzare anche con fave macinate o «sarmenti», ovvero i tralci della vite. Infatti, già nel corso del Medioevo, le tasse sul pane e le quote di grano versate ai signori furono tra le principali cause di diffusione della piadina, anche perché poteva impiegare cereali alternativi non tassati, quali ad esempio il farro, ma anche miglio, segale, orzo per non dire di fagioli, castagne, ghiande. Giovanni Pascoli, romagnolo verace, nel 1909 le dedicò una poesia (ovviamente La piada) in cui elogiava il rito domestico che condivideva con la sorella. «ma tu Maria, con le tue mani blande domi la pasta e poi l'allarghi e spiani … e me l'adagi molle sul testo caldo … io la giro e le attizzo il fuoco sotto, fin che stride e si rigonfia in bolle e l'odore del pane empie la casa». Piada protagonista anche con Aldo Spallico, che nel 1920 fondò La Piè, tuttora la più antica rivista di tradizioni romagnole. Considerata cibo povero delle enclave rurali, la piada ebbe il suo riscatto nel secondo dopoguerra. Da surrogato del pane a golosa alternativa grazie a La piadina di Loriana, laboratorio artigianale, sorto nel 1959 a Bagnacavallo, ora divenuto una solida realtà industriale. Ma il vero cambio di passo avvenne nel 1963 grazie alle «leonesse» di Borrello, una frazione di Cesena. Operaie la cui azienda, Arrigoni, che produceva conserve, chiuse e lasciò per strada. Indomite percorsero altre strade. Chi con un'Ape, come Rosanna Smeraldi, regolarmente attrezzata con bidone di carbone e sporta di farina, chi industriandosi in vario modo nel proporre ai cesenati prima e poi verso la riviera romagnola, quello che, sino ad allora, era un piccolo tesoretto domestico, la piadina, appunto. Nessuno mai, prima, si era messo a vendere piadine per strada e, come ha sottolineato Stanislao Nievo, «la crisi di una fabbrica poteva creare nuovi poveri, invece ha generato una piccola classe di nuove imprenditrici artigiane». Nel tempo i chioschi iniziarono ad avere una loro fisionomia ben definita, tanto da caratterizzarsi, nei diversi luoghi, con i colori identitari: biancorossi a Forlì, biancoverdi a Ravenna. Piadina divenuta adulta nel 2014 con l'attribuzione dell'importante denominazione di Igp (indicazione geografica protetta), assegnata dalla Comunità europea a quei prodotti che, per essere riconosciuti come tali, devono rigorosamente essere prodotti in loco.Vi sono due Piadine Igp. Quella delle Terre di Romagna (la cui capitale morale, in questo caso, è Cesena), in cui lo spessore del prodotto può andare da 4 a 10 mm. con un diametro di 15/30 cm. a quella riminese dove lo spessore non deve superare i 3 mm. e il diametro può andare da 23 a 30 cm. Piadine multiformi tanto che a Misano, nei baracchini, si vende la variante rettangolare. Piadina di cui gli stessi artigiani sono diventati ambasciatori nel mondo. A New York Massimiliano Nanni, figlio di una storica «azdora» (la Lella) è Chicco Piadina per tutti. Piadina cui sono dedicate varie manifestazioni. Dalla Festa della piadina a Bellaria, dove al motto di «la pis un po' ma tot» (piace un po' a tutti), locali e turisti invadono le strade, ai concorsi per «piadinari», come La piadina d'oro di Romagna, a Ravenna, o La piadina d'autore a Savignano sul Rubicone. Piadina in versione Star Trek, proiettata nello spazio, nel 2014, grazie alla nostra astronauta Samantha Cristofoletti. La Piadina può essere servita in vari modi. Aperta, a mezzaluna, ma anche nella versione a cono o arrotolata, forse perché più comoda da gustare a passeggio, avvolta in un foglio di carta che ne assorbe l'unto in eccesso. La liturgia classica la prevede in trinità golosa con prosciutto crudo, rucola e squacquerone, anche se via via hanno preso piede altre versioni, alcune tradizionali (salsiccia e cipolla; sardine, cipollotto e misticanza) altre decisamente più eretiche, dalla bresaola al salmone affumicato. Ne esiste anche versione dolce, a parte quella con l'immancabile nutella, che affonda le sue radici nella storia di Forlì: ovvero la Piadina della Madonna del fuoco (patrona della Città), legata ad una antica tradizione votiva che risale al 1600, ovvero una focaccia dolce insaporita con semi d'anice.Ma nella riviera adriatica e il suo retroterra romagnolo non vi è solo la Piadina Regina, vi sono anche altri fratelli (e sorelle) magari meno conosciuti ma ugualmente golosi, con legioni di palati fidelizzati. Ecco allora il Crescione (o cassone), una sorta di calzone in versione locale. In sostanza una piada tirata e chiusa a mezzaluna, sigillata con i rebbi della forchetta dopo averla farcita in vario modo.Vi è il Casson verde (con crescione, aglio, cipolla o scalogno) o quello rosso, più recente (con pomodoro e mozzarella). Il Crescione, lo dice il nome stesso, deriva dalla forte tradizione romagnola in tema di cucina delle erbe, anche se è vero che ne esistono diverse varianti di campanile. E che dire delle Crescentine (altrimenti conosciute come Tigelle). Sono prevalentemente diffuse in zona appenninica, con nomi che variano da paese a paese. Le tigelle, invero, sono i dischi di terracotta su cui vengono cucinate, alternate a foglie di castagno. Ma ecco la metonimia, ovvero quando il prodotto prende il nome dello strumento di cottura. È come se voi andaste in pizzeria e ordinaste … il forno margherita. Tradizione vuole che vadano farcite con la Cunza di Modena (detta anche pesto), un mix di lardo di maiale, aglio, rosmarino, parmigiano, anche se ci stanno bene un po' con tutto. Rispetto alla piadina le tigelle hanno il vantaggio che, essendo di minori dimensioni, permettono di giocare con più abbinamenti contemporaneamente.Altro cameo lo merita «il» gnocco fritto. In verità lo Zingarelli lo vorrebbe declinato come «lo» gnocco, ma anche in questo caso esiste deroga, definita solecismo, cioè di quando una forma linguistica, pur se scorretta per la grammatica, può essere giustificata se il suo uso risulta continuo e radicato in una determinata area geografica. Paolo Monelli, a suo tempo, lo definì «il piatto forte della colazione leggera». Una pasta fritta salata la cui forma può variare dal tondo alla goccia. La sfoglia viene gettata in strutto caldissimo che la rigonfia rendendola croccante, leggera e poco unta, grazie alla velocità di esecuzione. Tagliato, viene farcito con salumi o formaggi. Una prima traccia la si ritrova nel 1659, per opera di Carlo Nascia, il cuoco del Duca di Parma, che la definiva «pasta a vento», proprio per la sua leggerezza. Gnocco fritto che cambia anagrafe con i diversi campanili: da torta fritta a pinzino, se non addirittura crescentina. Non poteva mancare la Confraternita del Gnocco d'Oro, come si conviene a un protagonista della cultura materiale. Ecco allora che, nel caso le giornate di vacanza in Riviera siano offuscate dalle nubi oppure vi sia la curiosità di vedere le molte ricchezze dell'entroterra, questo viaggio nella memoria vi porterà a scoprire di che bella famiglia sia sempre stata circondata la Piadina Regina.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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