2020-01-25
La pecora verde punta alla regione rossa
Lucia Borgonzoni è cresciuta in un territorio politicamente avverso alla Lega, ma ora conta di vincere: «Faremo cappotto». Il padre di sinistra la osteggia in tv e i rom l'hanno picchiata: «Però la gente ha capito che siamo quelli del cambiamento». Ride di gusto, mostrandosi molto sicura di sé, Lucia Borgonzoni: «Guarda, puoi scriverla la mia profezia! Lunedì mi dirai». Profezia? «Sì, sì, scrivi: noi in Emilia Romagna vinceremo ovunque tranne a Bologna, in città e in provincia, a Reggio Emilia, in città e in provincia, a Modena solo in città, mentre in provincia vinciamo noi. Praticamente sarà un cappotto, il vento del cambiamento sta soffiando forte». Cosi chiedo se un politico tradizionale al suo posto non sarebbe stato più prudente. Lei mi guarda ironica: «Vero, ma siamo la Lega. E io sono me stessa: donna, giovane, fuori dagli schemi. Hanno dipinto me come una mezza deficiente, e gli elettori del centrodestra come barbari. Invece siamo quelli che riscrivono le regole del gioco. Ve ne accorgerete». L'anomalia della Borgonzoni rispetto a tutti canoni del politicamente corretto è stato un tema lungo di questa campagna elettorale. Bisognerebbe datare la sua rincorsa - simbolicamente - al giorno in cui apparve con la famosa felpa dello scandalo: «Parlateci di Bibbiano!». Da allora è stato tutto un duello. Ricoperta di insulti sessisti, anche attaccata pubblicamente da diversi esponenti politici che hanno contestato la sua candidatura: «Non si può votare una che non ha mai scritto nemmeno una delibera!», attaccava Pierluigi Bersani martedì scorso. «È una totale incompetente sul piano amministrativo», faceva eco Lorenzo Donnoli, uno dei capi sardina. Di fronte a tutte queste accuse la Borgonzoni ha fatto spallucce: «Mi divertono queste accuse dei supercompetenti, davvero. Sono così inesperta che Ho fatto “soltanto" la consigliera comunale, il deputato e il sottosegretario». Dispiaciuta? Ferita? «Per nulla. La gente non abbocca. Ho incontrato molte persone di sinistra, in questa campagna elettorale, moltissime donne che mi hanno detto: “Non sono della tua parrocchia ma ti voto perché sono indignata"». Per non parlare del «fattore padre», che ha avuto un peso mediatico non indifferente se è vero che il signor Borgonzoni, il papà di Lucia, anche ieri ha rilasciato un'intervista leggendole una lettera aperta lanciando un appello pubblico: «Non votatela!». Due settimane fa papà Borgonzoni ha regalato dei quadri del nonno della candidata leghista alle sardine, in funzione anti Lucia: «Ho scoperto che tutto questo odio politico ha creato simpatia nei miei confronti. Io non dico più una parola sui nostri rapporti, mi dispiace per lui».Vale la pena di ripercorrerla, la storia di questa ragazza che - all'inizio - neanche Forza Italia e Fratelli d'Italia volevano accettare come guida della coalizione. Giorgia Meloni in origine pensava come possibile candidato a un suo dirigente forte, Galeazzo Bignami. Gli azzurri invece la consideravano troppo «caratterizzata» politicamente per concorrere in una regione «rossa», e le rimproveravano il suo duello pregresso (e perso) col sindaco di Bologna, Merola: «È stata già sconfitta una volta». Se la Borgonzoni è diventata la candidata di tutta la colazione - dunque - è perché su questo punto Matteo Salvini, l'azionista forte del centrodestra, ha tenuto una posizione granitica. Esattamente come fece per Massimiliano Fedriga in Friuli Venezia Giulia: «Non avete capito nulla: se in queste elezioni abbiamo reso l'Emilia Romagna contendibile», diceva nei tavoli riservati con gli alleati, «è perché Lucia nella sfida in cui corse da sindaco sotto le due torri ha cambiato la percezione della Lega e ha iniziato a conquistare elettori di sinistra». D'altra parte la Borgonzoni - come abbiamo visto - arriva da una storia familiare tutta comunista, che lei stessa mi raccontato così: «Mio padre era un architetto di sinistra. Ma i miei hanno divorziato. Mio nonno materno, invece, era stato partigiano sull'Appennino, durante la Resistenza». Il nonno della leghista con il fazzoletto al collo: «Eh sì: si chiamava Virginio Marchionneschi, combatteva nella Brigata Garibaldi, vicino Cecina». I ricordi trasmessi per vis materna sono ancora molto vividi: «Mio bisnonno la sera portava da mangiare a mio nonno che era alla macchia. Era in clandestinità, a casa si pregava per lui». Ma la passione per il Carroccio ha radici lontane: «Nel 1989 mia madre è entrata nella Lega lombarda, con una scelta che mi ha molto influenzato». Lucia ha un flashback su questa affiliazione che si celebrò per via televisiva: «Mia madre si era separata. Una sera, ero bambina, il suo compagno la chiama: “Nadia, corri: in tv c'è un pazzo che la pensa come noi"». Risultato: la madre prende la tessera in tempi in cui in Emilia Romagna dichiararsi del Carroccio rasentava il suicidio. E la piccola Lucia inizia ad ascoltare anche lei, con grande interesse, «le parole di quel matto, che ovviamente si chiamava Umberto Bossi». Lucia non dimentica il senso di una battaglia di minoranza: «Nel mio paese solo 111 voti andavano alla Lega, e il giorno dopo il segretario del Pds iniziava a identificarli uno a uno: due erano quelli di mia madre e del mio patrigno». La Borgonzoni si definisce leghista da sempre ed esibisce le prove: «Avevo la Smemoranda con Alberto da Giussano attaccata sopra». E in questi mesi non si è scomposta quando qualche ex dirigente dell'Arcigay ha tirato fuori locandine in cui lei da giovane esponeva quadri in serate anticlericali contro l'omofobia: «Non capisco lo scandalo. Ero leghista, mica suora. E sono contro qualsiasi discriminazione, ancora oggi». Ride anche quando deve descrivere la sua adolescenza: «Ho avuto un breve periodo dark. Poi mi sono evoluta e sono diventa Metallara convinta». Era comunista anche l'altro nonno, il Borgonzoni pittore: «Aveva lo studio con Guttuso. Ho preso da lui la passione per le arti figurative. Da piccola c'era un solo modo per mettermi buona: farmi disegnare». Si candida per la prima vota alle elezioni del 2009: «Correvo per la Provincia: perdemmo quasi l'8%». Poi nel 2011 punta al Comune e viene eletta anche lì: «Per chi ama amministrare il municipio è tutto. Inseguivo Merola dai tempi della Provincia, sono il suo incubo». La battaglia più dura dice di averla combattuta insieme a una ex grillina, Federica Salsi: «Abbiamo scoperto che il capo di gabinetto del sindaco Marco Lombardelli non aveva la laurea ma era stato inquadrato come laureato. Poi si è scoperto che non aveva nemmeno il diploma». Lo avete rovinato? Lucia si fa seria: «Si è rovinato lui con le sue bugie». Diventa protagonista sulla scena nazionale per un episodio diventato celebre. Lo schiaffo preso da una rom in un campo, nella stagione della ruspa: «Lo rivendico come una medaglia. Ci voleva buonsenso e coraggio per mettere fine alle ingiustizie che gridano vendetta». Su quello fece anche la compagna da sindaco, per il Comune: «A Bologna ancora oggi abbiamo campi assistiti in cui paghiamo tutto ma proprio tutto ai nomadi: luce, acqua e gas». Quando per questa battaglia è stata definita «razzista» si è imbufalita: «Io li voglio considerare come tutti gli altri. È il mio cavallo di battaglia. Se vuoi tenere i bambini in mezzo ai topi sei tu un razzista. A un italiano che tiene i figli nella spazzatura toglieremmo la patria potestà. A chi li obbliga a mendicare e a marinare la scuola pure. Perché bisogna trattare loro diversamente?». Altro chiodo di sempre, gli extracomunitari: «A Bologna c'è un hub dove metà delle persone sono fuggite, e la metà chiede l'elemosina. Voglio stroncare il racket che li sfrutta. È sbagliato?». Di Merola, Bonaccini e del Pd spiega: «Dicono che sono xenofoba, razzista omofoba. Ma la gente ha capito cosa voglio». Lucia è in campagna elettorale - di fatto - da tre anni, ma con un unico rimpianto: «Faccio fatica a trovare il tempo per dipingere». Se le chiedi quale sia il suo capolavoro ti risponde seria: «Un quadro di Pontida bellissimo: di prati verdi con bandiere. Perfettamente in stile». Quale stile? E lei sorride: «Sono la massima esponente della corrente del realismo padano». Conosce Salvini da sempre, «dai tempi dei Giovani padani». Ma pochi sanno che al congresso dell'incoronazione lei aveva dato la firma a Bossi, per la sua candidatura, anche se pensava che non dovesse correre: «L'ho sostenuto perché credo nella lealtà». Le chiedo se voglia scavalcare il Pd a sinistra o a destra. Lei sorride: «Sia a sinistra sia a destra. Tutelando chi non riesce e proteggendo chi si sente insicuro. Come sempre». Quando le chiedi cosa sia cambiato rispetto alla campagna per Bologna si concede l'ultima risata: «Allora non ci invitava nessuno, perché eravamo appestati. Adesso ci invitano tutti, perché ci vogliono conoscere». Anche alle Coop? Sospiro, sguardo ironico: «Ormai siamo di casa».