2020-05-22
La pantomima di Giuseppi: dà i numeri sui tamponi ma non ha neanche i reagenti
A Montecitorio, arringa autocelebrativa dell'avvocato: «Noi primi al mondo per test». Però gli studi internazionali lo sbugiardano: per «Worldometer» siamo al 25° posto.Seguendo - crediamo inconsapevolmente - il canovaccio di un leggendario numero teatrale di Ettore Petrolini, Giuseppe Conte ha impiegato 43 minuti, ieri alla Camera, per dirsi e ripetersi ossessivamente, ma rigorosamente da solo, «Bravo!» e «Grazie!». Un interminabile e compiaciuto autoelogio sulla gestione della crisi del coronavirus, sfidando la pazienza e il buon senso di parlamentari e cittadini, sia rispetto alla risposta economica messa in campo dal governo sia rispetto alla strategia sanitaria decisa. Conte, dimenticando il «dettaglio» della mancanza di denaro, si è anche proposto come consulente turistico per gli italiani («Scopriamo le bellezze d'Italia che ancora non conosciamo»), e ha allargato la sua autocelebrazione persino al campo della ricerca («Il nostro è il più grande investimento nel campo dell'università della ricerca negli ultimi vent'anni»). Insomma, per Conte è andato tutto bene: la «strada giusta», la «scelta coraggiosa», un continuo plauso a sé stesso, punteggiato dalle consuete dosi di paternalismo («Mi rivolgo ai giovani: non è ancora questo il tempo dei party, della movida, degli assembramenti»), di promesse roboanti ed enfatiche («Ci sarà uno choc sulle infrastrutture, la madre di tutte le riforme, è il momento della svolta»), di illusioni da libro dei sogni (promuoveremo «una rivoluzione culturale nella Pubblica amministrazione»), di enfasi posticcia «il genio italico», «trasformare quest'emergenza in un'opportunità storica»), di scaricabarile («Il sistema bancario deve fare di più»), di verbi coniugati al futuro («Nei prossimi giorni partirà la sperimentazione della app Immuni», quella che doveva essere pronta oltre un mese fa…) o al gerundio («Quanto ai test, stiamo potenziando i controlli»).È in particolare sui tamponi che Conte è scivolato sulla buccia di banana dell'autocompiacimento, tentando maldestramente di nascondere l'evidenza dei ritardi del commissario Domenico Arcuri e stiracchiando le cifre per vantare primati purtroppo inesistenti. Vanno intanto ricordati tre elementi, come premessa. Primo: il Veneto, per ottenere i brillanti risultati che conosciamo, ha dovuto (per ammissione del governatore Luca Zaia e del virologo Andrea Crisanti) andare in direzione opposta a quella assertivamente sostenuta da Roma, dove l'ineffabile consulente governativo Walter Ricciardi insisteva per non praticare il tampone agli asintomatici. Secondo: dopo l'insuccesso governativo della fase 1, era stato almeno promesso che l'Italia sarebbe stata prontissima a una valanga di tamponi nella cosiddetta fase 2, ma, per ammissione del viceministro Pierpaolo Sileri, è venuto fuori che, fino a qualche giorno fa, erano disponibili solo i bastoncini, ma non i reagenti, costringendo con ciò molte regioni a far da sé. Terzo: soltanto di recente Arcuri ha accelerato su questo fronte, cosa che Conte ieri infilato in una frasetta del suo discorso («L'11 maggio la struttura del commissario Arcuri ha avviato richiesta di offerta per kit e reagenti per permettere la somministrazione di ulteriori 5 milioni di test. Le offerte saranno verificate in tempi rapidissimi», tanto per non perdere l'abitudine ai verbi coniugati al futuro).Ma ecco la buccia di banana che ha fatto ruzzolare a terra Conte: «In Italia», ha detto il premier in Aula, «sono stati fatti qui 3.171.719 tamponi, che collocano il nostro Paese al primo posto per numero di tamponi per abitanti». «Per gli amanti della statistica», ha aggiunto l'avvocato, «sono 5.134 tamponi per 100.000 abitanti». Peccato che almeno due analisi internazionali sbugiardino le tabelline di Conte. La prima è Our world in data dell'Università di Oxford, che vede in testa l'Islanda (167 persone testate ogni 1.000), seguita dalla Danimarca (69 su 1.000), Israele (57 su 1.000), l'Estonia (53 su 1.000), l'Italia (51 su mille) poco sopra la Russia (50 su 1.000). Morale: non si vede per quale ragione, essendo quinto in una graduatoria, Conte pensi di poter sbianchettare i quattro Paesi che ci precedono. La seconda classifica è tratta dal sito worldometers.info ed è decisamente meno onorevole: in base a quest'altra analisi, siamo al 25° posto e a precederci per test effettuati in rapporto alla popolazione, sarebbero - tra le altre - Islanda, Danimarca, Lituania, Portogallo, Spagna, Belgio, Israele, Irlanda, Estonia, Russia. Un'ultima osservazione (ma non certo ultima per importanza). Tornando al passaggio del suo discorso in cui ha raccomandato di evitare assembramenti, Conte ha insistito molto sul potere governativo (che gli ultimi decreti e Dpcm hanno ovviamente riservato a Roma) di disporre chiusure e misure restrittive, se la curva dei contagi dovesse risalire in modo preoccupante. Ora, a parte l'arbitrarietà del criterio (il numero dei contagiati dipende dal numero dei tamponi, senza dire che in questa fase non rilevano tanto i contagi in sé quanto un eventuale - e speriamo inesistente - rischio di nuove ospedalizzazioni di massa), ciò che va sottolineato nelle pieghe del discorso di Conte non è solo il solito atteggiamento di colpevolizzazione di Regioni e cittadini, ma il tentativo, perfino al di là della durata formale dello stato d'emergenza, di protrarre una situazione non ordinaria, di tenere il governo attaccato al virus, di garantire a se stesso - attraverso la scusa della guardia da non abbassare - una durata extra e uno status di intangibilità politica. Conte, infatti, sa bene che, se finisce il panico da contagio e se si esaurisce l'emergenza, molti nella sua stessa maggioranza potrebbero staccargli la spina.
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