Un anno fa erano stati 155. La nave della Ong deve chiedere un porto. Visto il precedente della Ocean viking, saremo la prima scelta. L'Unhcr lascia il centro di Tripoli. Sardine contro il memorandum Italia-Libia.
Un anno fa erano stati 155. La nave della Ong deve chiedere un porto. Visto il precedente della Ocean viking, saremo la prima scelta. L'Unhcr lascia il centro di Tripoli. Sardine contro il memorandum Italia-Libia.La Open arms ha tirato su altri 45 immigrati e ora a bordo ci sono 282 passeggeri. Con la nave a pieno carico è facile immaginare che comincerà il solito pressing con la richiesta di un porto sicuro. La Ong probabilmente busserà prima a Malta che, però, è ancora alle prese con i passaggi del carico della Alan Kurdi (77 migranti) sulle navi della sua Marina. Poi, come al solito, entrerà nelle acque italiane dove, ora che le elezioni sono alla spalle, troverà i porti spalancati. Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese per distogliere l'attenzione dalla Ocean viking, sbarcata due giorni dopo il voto a Taranto, ieri ha citato solo la Open arms: «Non parlerei di nave bloccata in mare perché le navi non sono bloccate, ma navigano verso un porto sicuro e non abbiamo ancora provveduto perché non mi pare che ci sia stata ancora richiesta di porto». Poi, per giustificare la nuova invasione, che dall'inizio dell'anno conta già quasi 1.300 arrivi (a fronte dei 155 dell'anno precedente), fa leva sulla situazione di instabilità libica che «sta determinando un aumento dei flussi migratori». «Denuncerò Giuseppe Conte e la Lamorgese perché hanno trattenuto per quattro giorni in mare la Ocean viking», aveva dichiarato Matteo Salvini. Il ministro ora risponde: «Come ho detto per lui, lo dico anche per me, ritengo che nessuno si debba mai sottrarre alle proprie responsabilità». E lancia la sfida: «Semmai ci sarà una denuncia si vedranno le responsabilità». Schermaglie politiche. Mentre da un fascicolo di Agrigento arrivano le intercettazioni del caso Mare Jonio. Dopo la richiesta di archiviazione per Luca Casarini e Pietro Marrone, rispettivamente capo missione e comandante, sono spuntate alcune conversazioni fra le Fiamme gialle e la nave: «Non siete autorizzati da autorità giudiziaria italiana all'ingresso in nostre acque nazionali, inoltre, se dovreste entrare sarete perseguiti per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina». Solo nell'ultimo fine settimana sembra siano partiti più di 800 immigrati dalla Libia con 13 barconi messi in mare dagli scafisti. La Guardia costiera di Tripoli sembra aver allentato i controlli e l'unico salvataggio che ha effettuato negli ultimi giorni riguarda 30 immigrati consegnati da una nave turca che partecipa alla missione Nato Sea guardian. L'Unione europea nel Mediterraneo si occupa solo di sorveglianza aerea. Quindi a scorrazzare nelle acque tra Tripoli, Malta e l'Italia, oltre alla Guardia costiera libica a mezzo servizio, ci sono soltanto le Ong. La più attiva in questo momento è Open arms che, però, ha segnalato problemi tecnici sulla nave, che ha «47 anni, 59.000 miglia navigate e 6.000 vite salvate», rivendica la Ong in un tweet, aggiungendo che «ha fatto la sua parte, però il suo motore non regge più». Conclusione: «Abbiamo bisogno di un'altra nave». Dall'Unhcr (l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati), nel frattempo, è arrivato l'annuncio dell'interruzione delle operazioni nel centro di transito di Tripoli nel quale, nelle ultime settimane, hanno trovato rifugio oltre 1.700 persone. «Troppo pericoloso», lo definiscono i commissari. «Purtroppo», afferma Jean Paul Cavalieri, capo della missione in Libia, «l'Unhcr non ha avuto altra scelta se non quella di sospendere le operazioni a Tripoli, dopo aver appreso che le esercitazioni di addestramento, che coinvolgono personale di polizia e militare, si svolgono a pochi metri dalle strutture che ospitano i richiedenti asilo e i rifugiati». La paura è che l'intera area possa diventare un obiettivo militare, mettendo ulteriormente in pericolo, oltre alla vita dei rifugiati, anche quella dei civili e degli operatori del centro. L'Unhcr ha iniziato a trasferire i rifugiati definiti «altamente vulnerabili», che sono già stati identificati per il reinsediamento o l'evacuazione negli altri Paesi. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha detto che nei prossimi giorni l'Italia avvierà il negoziato per cercare di risolvere la condizione dei migranti in Libia. Non solo: il grillino ha aggiunto di provare «grande preoccupazione legata al blocco della produzione di greggio» e ha detto che la situazione provoca «un danno economico di 80 milioni di dollari al giorno. La prima conseguenza di questa situazione è l'impoverimento del popolo libico. Ieri ho sentito i principali attori coinvolti, sia quelli che esercitano influenza nel Paese sia i protagonisti sul terreno, chiedendo di attivare subito l'esportazione di idrocarburi». Ma, proprio alla vigilia del rinnovo per tre anni alle vecchie condizioni del memorandum (decisione che ha spinto le sardine a rompere il silenzio stampa con dure critiche alla «macchia più unta della coscienza italiana e di quella europea»), si riaprono altri fronti. Non è solo la Libia a rifornire i centri italiani. Sono ricominciati gli sbarchi anche sulla rotta migratoria Algeria-Sardegna. Sulle coste del Sulcis, in silenzio, sono approdati in 249. Tutti con i soliti barchini fantasma.
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