2021-04-06
La morte dell’economista Mundell, geniale architetto del disastro euro
Il premio Nobel canadese aveva scelto come rifugio la Toscana alla fine degli anni Settanta.L'economista canadese Robert Mundell è morto nel giorno di Pasqua all'età di 88 anni nella sua villa di Monteriggioni in provincia di Siena. Ha insegnato alla Columbia University ed a Bologna. Nel 1999 consegue il premio Nobel grazie ai suoi studi sulle aree valutarie ottimali dove cercava di dare risposta ad un interrogativo banale: «Possono due o più Paesi rinunciare alla loro valuta nazionale per adottarne una in comune? E se sì a quali condizioni?». «Poca spesa, ottima resa» scrisse in proposito Alberto Bagnai commentando lo studio nel saggio Il tramonto dell'euro. Niente formule matematiche astruse; la teoria era facilmente divulgabile. Guadagnatosi i galloni di esperto di «moneta unica», Mundell fu consulente nei primi anni Settanta del Comitato monetario della Commissione Ue. La propaganda europeista a reti e tipografie unificate ne intona il requiem: «È morto l'architetto dell'euro». Un vero «genio del male» secondo il Guardian, quotidiano liberal e labour. Mundell con la sua supply side economics ispirò politici del calibro di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, e il progetto euro sarebbe figlio di questa dottrina. Ai lib-lab rimarrebbe certo da spiegare perché la Thatcher odiasse l'euro più di ogni altra cosa al mondo. Ma forse è chiedere troppo. Alcune dichiarazioni di Mundell, del resto, ben si prestavano a questa lettura. «È molto difficile licenziare i lavoratori in Europa. L'euro di fatto toglie la moneta dalle mani della politica. Questa - senza la possibilità di fare deficit di bilancio - pur di mantenere l'occupazione deve semplificare le regole per fare impresa». Insomma, precarizzare il lavoro. In verità dentro lo studio che vale a Mundell così tanta notorietà, soprattutto postuma, vi erano già scritte tutte le risposte che avrebbero decretato il futuro fallimento dell'euro. Una moneta unica ha senso se i Paesi che la adottano hanno una «forte mobilità del fattore lavoro e dei capitali» fra di loro. L'esempio del Canada nello studio di Mundell è emblematico. Ad est si producono le autovetture. Ad ovest il legno. Se aumenta la domanda di automobili e diminuisce quella del legno (quello che gli economisti chiamano shock asimmetrico) la condivisione di una stessa moneta impedisce che vi siano due banche centrali diverse. Una che ad est alza i tassi di interesse per combattere l'inflazione da aumento della domanda di automobili e una che ad ovest li abbassi per combattere la disoccupazione da caduta di domanda dei prodotti in legno. È più semplice che si sposti il fattore lavoro. I taglialegna emigrano da ovest ad est per trasformarsi in operai. Oppure si sposta il capitale e ad ovest viene costruito un nuovo impianto per la produzione di veicoli. Ma in Europa un mercato dei capitali unico ancora non esiste come ammesso da Mario Draghi nella conferenza stampa di due settimane fa. Mentre in Usa invece c'è un mercato «gigantesco dove tutte le società possono emettere azioni scambiate dovunque allo stesso prezzo. O comunque con piccoli margini». Ma dentro l'Eurozona manca pure la mobilità del fattore lavoro. Condizione imprescindibile secondo Mundell per condividere la moneta unica. La causa è data dalle molteplici barriere linguistiche. A meno che non si ritenga che il dentista disoccupato di Salonicco possa in quattro e quattr'otto fare le valige ed aprire il suo studio a Riga in Lettonia. Se qualcuno non aveva compreso questa banalità è un problema suo. Non certo di Mundell che lo aveva spiegato e bene.