2020-02-27
La moda green ci spinge a bere tutto dalla lattina. Pure acqua, vino e... aria
Per evitare le tasse e piacere agli ambientalisti, le aziende virano su confezioni in alluminio. E in Cina, contro lo smog, le vendono con «brezza di montagna».Il buon vecchio barattolo di latta sta tornando di moda. A dargli una mano la plastic tax e il green new deal. In questi tempi in cui l'emergenza climatica regna sovrana, sempre più aziende stanno pensando alla banda stagnata e all'alluminio per confezionare i loro prodotti. Il barattolo è leggero, economico e riciclabile al 100 per cento per un numero illimitato di volte. Ma soprattutto non è sovratassato. Così ditte come la Recoaro, ma anche colossi quali Pepsi e Coca-Cola, stanno per lanciare la loro acqua in lattina. In America, oltre alla birra, nella latta c'è finito anche il vino.La birra in lattina ha compiuto 85 anni. Era il 24 gennaio del 1935 quando una piccola azienda di Newark, New Jersey, tentò la commercializzazione della sua Krueger's Special Beer in piccoli barattoli d'alluminio. Per decenni, l'American Can Company (Acc) tentò di sigillarla in un barattolo di alluminio senza successo. L'anidride carbonica faceva letteralmente esplodere i barattoli. Solo nell'aprile del 1933 l'Acc riuscì nel suo esperimento e produsse duemila lattine, mai commercializzate. Vennero riservate solo agli esperti del settore che bocciarono l'idea in modo quasi unanime, salvo poi ricredersi quando la Krueger's, in un solo anno vendette più di 200 milioni lattine di birra. Per sfondare, la Krueger's puntò tutto sugli slogan pubblicitari: «È senza deposito», «Occupa la metà dello spazio», «Protegge dalla luce il sapore», «Si butta via». Nel 1969 le vendite di birra in lattina negli Stati Uniti sorpassarono quelle della birra in bottiglia.L'invenzione della lattina si deve a un inglese che prese l'idea da un francese che a sua volta s'ispirò agli studi di un italiano. Il pasticcere Nicolas Appert, stufo di buttare le sue marmellate andate a male, iniziò a studiare un metodo di conservazione basandosi sulle scoperte di Lazzaro Spallanzani. Nel 1810 diede alle stampe un trattato in cui spiegava come preservare le qualità organolettiche dei cibi mettendoli sottovuoto in barattoli di vetro, e facendoli cuocere a bagnomaria. Appert non brevettò la sua invenzione ma la consegnò a Napoleone Bonaparte che aveva promesso 12.000 franchi a chiunque avesse inventato un nuovo metodo di conservazione dei cibi per nutrire il suo esercito. Oltre al premio Appert si assicurò anche un solido contratto con il governo. Fu lui a sfamare la Grande armée, almeno fino al 1814, anno in cui la sua fabbrica fu incendiata dai soldati che invasero il Paese dopo aver sconfitto Napoleone. Il primo brevetto fu depositato, sempre nel 1810, da Pierre Durand, un commerciante britannico d'origine francese, che sostituì il vetro con la latta creando la prima scatoletta. Ad avviare la produzione di queste nuove confezioni furono gli industriali londinesi Bryan Donkin e John Hall. I loro stagnini più in gamba riuscivano a farne circa 100 al giorno. Fu grazie a loro che l'esploratore britannico John Ross riuscì a imbarcare nella stiva della sua nave 8.000 scatolette di carne di manzo e di minestrone di verdure per nutrire la truppa durante la spedizione artica del 1818. Le scatolette nutrirono anche i soldati americani durante la Guerra civile. Più di un secolo dopo, nel 1955, la Coca-Cola cedette all'alluminio per spedire la bevanda americana per eccellenza alle truppe di stanza nel Pacifico. Zucchero e caffeina per rinvigorire i soldati. Ancora oggi cibi e bevande in conserva vengono spedite nel terzo mondo e nelle zone di guerra per sfamare poveri e rifugiati. «La marcia della civiltà occidentale e la prosperità dell'America poggiano su quel piccolo oggetto che voi tenete nel terzo scaffale della dispensa» (il Washington Post). Se la prima scatoletta era del 1810, il primo apriscatole arrivò solo nel 1849. Fino ad allora le conserve venivano aperte con martello e scalpello, come suggerito sulle confezioni. Per aprire una bibita, invece, bastava il punteruolo che veniva dato in dotazione. La prima linguetta comparve nelle lattine della Pepsi negli anni Sessanta. Nel 1975 arrivò quella che resta attaccata alla lattina, più ecologica perché non si disperde nell'ambiente ma decisamente meno igienica.Secondo le stime, circa il 50% di tutto l'alluminio grezzo prodotto in Europa occidentale deriva da materiale recuperato e riciclato. In Italia la percentuale arriva addirittura al 90%. Tutte le caffettiere prodotte nel nostro Paese sono realizzate con alluminio riciclato, così come il 90% di pentole e padelle. Per una moka da tre tazzine servono 37 lattine; per una bicicletta, 800; per il cerchione di un'auto, 600; per un paio di occhiali, 3; per una padella, 70; per un monopattino, 130.I barattoli di latta furono protagonisti anche del patto del ribaltone, quello che portò alla caduta del primo governo Berlusconi. Era il 1994, al tavolo della casa romana di Umberto Bossi c'erano Massimo D'Alema e Rocco Buttiglione, all'epoca segretari del Pds e del Ppi, sardine in scatola e tre o quattro lattine di birra. Ricorda Buttiglione: «Bossi portò le sardine in scatola e io il whisky...». Claudio Cecchetto tentò di produrre una lattina a due buchi, per condividerla: «Altro che sugar tax. Ma andava contro gli interessi delle case produttrici» (a Maria Sorbi sul Giornale).Era il 20 ottobre del 1971, un mercoledì. Al Bökelbergstadion l'Inter di Gianni Invernizzi si giocava gli ottavi di finale della Coppa dei Campioni contro i tedeschi del Borussia Mönchengladbach. Quella che doveva essere una passeggiata per i nerazzurri divenne ben presto una partita difficilissima. Al 7', la prima rete di Jupp Heynckes. Tredici muniti dopo, il pareggio di Roberto Boninsegna ma non passarono neanche 60 secondi che Le Fevre segnò di testa. Al 29' Boninsegna era pronto a battere la rimessa laterale quando una lattina di Coca-Cola, lanciata da un tifoso del Borussia, sorvolò la tribuna stampa e lo colpì in testa. Bonimba, scriveva Gianni Brera, «è franato perdendo i sensi e forse anche la faccia». Dopo una sospensione l'Inter, convinta di vincere a tavolino, tornò in campo ma smise di giocare. Prima della fine della partita i tedeschi segnarono altri cinque goal. L'ultimo su rigore fece infuriare Mario Corso che prese a calci l'arbitro e venne squalificato. Dopo una lunga notte di trattative Peppino Prisco, vicepresidente dell'Inter, convinse l'Uefa a ripetere quella che passò alla storia come «la partita della lattina». Finì 0 a 0 sul neutro di Berlino, subito dopo la partita di ritorno a San Siro in cui i nerazzurri vinsero per 4 a 2. L'Inter passò il turno ma in finale dovette arrendersi all'Ajax. Anthony Ciccone, fratello maggiore di Madonna, nei suoi sette anni vissuti da senzatetto per problemi dovuti all'alcol - era stato cacciato dall'azienda vinicola di famiglia dopo essere stato beccato a bere semisvenuto all'interno di una delle vasche usate come serbatoio - tirava a campare raccogliendo lattine vuote. Per ogni barattolo restituito gli davano cinque centesimi. Se Donald Trump non può fare a meno delle sue sei lattine di Pepsi al giorno, sempre più americani non riescono a fare a rinunciare al vino in lattina. Già nel 2002 l'azienda vinicola del regista Francis Ford Coppola lanciò la lattina Sofia, un uvaggio bianco da 187 millilitri: «È un modo per rendere più conveniente il vino premium. Questo non diminuisce la nostra dedizione alla qualità superiore», assicurano gli enologi della famiglia Coppola. Nella loro collezione anche lattine di Pinot grigio da 13 gradi, Chardonnay da 13,5 di un Pinot nero morbido e di un Brut Rosé. Il regista Milos Forman, da giovane squattrinato, campava di carne in scatola e birra in lattina. Ma da simbolo di povertà, nel Novecento, le lattine diventano un'icona. Da quelle di spinaci che Braccio di Ferro ingurgita in un sol boccone per diventare forte, a quelle bucate dai cow-boy di Sergio Leone, passando per la consacrazione nel mondo dell'arte con Andy Warhol che negli anni Sessanta trasformò i barattoli di zuppa Campbell nel principale riferimento della Pop art. Secondo alcuni fu Muriel Roberta Latow a vendergli l'idea per 50 dollari, altri come l'artista Robert Indiana sostengono che l'unico motivo per il quale dipingesse quelle lattine era «che gli piaceva la zuppa». Warhol affermava di essersi ispirato alla mamma che creava fiori di latta. In lattina, «conservata al naturale», ci finì pure La merda d'artista di Piero Manzoni. Novanta scatolette da 30 grammi numerate e firmate. L'ultima battuta all'asta è stata aggiudicata, nel 2016, per 275.000 euro. Durante il giubileo del 2000, online, si trovavano lattine d'aria santa in vendita per 20.000 lire. Era disponibile in tre versioni: naturale, con smog e senza smog. Nel 2014 il filantropo miliardario cinese Chen Guangbiao, per sensibilizzare la lotta all'inquinamento, pensò bene di vendere a Pechino «aria pura di montagna» in lattina. «Non potevo far altro che scolare la lattina di birra e aspettare che cadesse l'atomica» (Charles Bukowski).
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)