2023-01-30
«La Milano di Sala è un fallimento. Il futuro è con noi»
Stefano Zecchi (Leonardo Cendamo/Getty Images)
Il filosofo Stefano Zecchi: «L’ideologia green non ha tolto né traffico né smog. Il progetto di un partito conservatore normalizzerà la politica».Stefano Zecchi, docente di estetica, autore di numerosi saggi e anche di qualche romanzo, è instancabile. Il 9 febbraio esce il suo La terra dei figli (Signs publishing), edizione riveduta e aggiornata del Sillabario del nuovo millennio. Inoltre l’impegno di Zecchi per la memoria del nostro confine orientale, dopo i numerosi romanzi e la graphic novel dello scorso anno Una vita per Pola (Ferrogallico), si rinnova per questa Giornata del ricordo con un libro illustrato dedicato alla figura di Maria Pasquinelli: Maria. Dal pantano è nato un fiore (ancor Ferrogallico). Ma, soprattutto, Zecchi è candidato alle regionali in Lombardia nelle file di Fratelli d’Italia. Con un programma ambizioso: riconciliare politica e bellezza.Professore, perché ha deciso di candidarsi e perché proprio con Fdi?«Io credo che il progetto di Giorgia Meloni di un partito conservatore sia importante per normalizzare la politica italiana, come accade in tutti i Paesi occidentali, che hanno un partito conservatore e uno socialdemocratico. Ora, un partito conservatore come accade nelle altre realtà europee ha diverse anime, ma che vanno tutte verso la stessa direzione. Quanto a me, io ho sempre cercato di portare la mia sensibilità di studioso nella realtà e non mi sono mai sottratto a impegni politici e amministrativi».In che senso si sente un conservatore?«Io non mi sento un guardiano che celebra le ceneri. L’immagine a cui guardare è semmai quella della fenice che vola con la testa rivolta al passato ma va verso il futuro. Del resto i miei studi mi portano a vedere nella conservazione un elemento di forte trasformazione. Una rivoluzione conservatrice, quindi. Questo è un po’ il sentimento che mi muove. E c’è anche un’altra cosa».Dica.«È che dall’altra parte non c’è un partito socialdemocratico. Augusto Del Noce l’ha spiegato con grande finezza filosofica: aver messo insieme dossettiani e azionisti porta a un fallimento che, diceva Del Noce, è una necessità filosofica». Lei è già stato assessore a Milano. Quanto è difficile portare i riferimenti alati della filosofia nella concretezza della pubblica amministrazione?«Bisogna avere un progetto, una visione, cercare di guardare oltre il contingente. È quello che ho cercato di fare quando ero consigliere a Venezia o assessore a Milano: avere dei progetti da realizzare. A Milano ho messo in piedi la casa della poesia, abbiamo realizzato diverse esperienze culturali con la musica e il teatro. La vera scommessa è avere lo sguardo amministrativo sulla contingenza, ma mantenendo anche una visione, un’idea di vita, di mondo, dentro l’amministrazione. Dipende anche molto dai collaboratori di cui ti circondi».Che ne pensa delle politiche green di Sala?«Sala vorrebbe fare di Milano una città ecologica, ma il fallimento è sotto gli occhi tutti. Il traffico aumenta ed è più lento, l’inquinamento non è assolutamente diminuito, le piste ciclabili sono dei veri e propri percorsi pericolosi. Poi per che cosa? Per bloccare una città che vive di dinamicità e razionalità dei trasporti. Quindi io vedo assolutamente fallimentare l’idea green di Sala. Servono progetti che aiutano a vivere meglio, non a vivere peggio. Bisogna sempre tener conto di un fattore: della bellezza». In che senso?«Bisogna domandarsi se quello che stiamo facendo ha la qualità della bellezza. Perché la bellezza ha una sua profonda eticità, è l’idea del vivere insieme, del sapere ridefinire la propria vita con continuità e con qualità. Benissimo le piste ciclabili. Ma domandiamoci: queste piste ciclabili hanno la qualità della bellezza? E non è un semplice giudizio estetico. Intendo dire: hanno davvero quella qualità etica che mi permette di velocizzare e semplificare il trasporto delle persone? Di rendere l’aria più pulita? Questa è la bellezza che ho sempre cercato di insegnare. Quando guardo quello che ha fatto Sala da questo punto mi vista mi accorgo che ha assolutamente fallito».Alle follie green, però, la destra risponde spesso in modo reattivo. C’è un po’ l’idea che la destra sia sempre e solo quella che lascia il Suv acceso in doppia fila…«Qui c’è un deficit di comunicazione della destra: vengono imputati alla destra comportamenti dovuti alla maleducazione delle persone. D’altra parte certe scelte urbanistiche importanti vengono da una illustre tradizione. Pensi a grandi architetti come Terragni, Portaluppi, agli anni Trenta. La Milano di quegli anni offre un’immagine di bellezza, ma di una bellezza vivente, non legata, come dicevo prima, alla conservazione delle ceneri. Una bellezza moderna. Una Milano che sapeva vivere di modernità, di velocità e appunto di bellezza, di nuove visioni, i grandi confronti con il futurismo. Questa è Milano, questo è lo spirito lombardo. Questo è ciò che la destra dovrebbe comunicare, per non farsi schiacciare sull’immagine di quelli che lasciano il Suv in doppia fila, come dice lei». La Lombardia è stata la prima regione in Europa a essere travolta dal Covid, tema su cui poi si sono aperte varie questioni ideologiche: vaccinisti e anti vaccinisti, chiusuristi e aperturisti... Lei che sguardo getta su questa tematica e su questa stagione?«Io ci ho visto tanta ignoranza supplita da ideologie. Tant’è che una delle cose che mi piacerebbe è che la Regione potenziasse al massimo è la cultura scientifica e tecnologica legata alla nostra tradizione umanistica. Un’idea in cui ricerca e sviluppo si armonizzano con la conoscenza della realtà. Conoscenza che mi pare sia mancata. Non c’è stato un vero dibattito serio sul Covid: ognuno diceva la sua scemenza e saliva in cattedra. Siccome io di medicina non so nulla, non sono mai intervenuto in questi dibattiti, ma la cosa indecente è stata trasformare una tragedia in una comunicazione ideologica».Sangiuliano e Dante fondatore del pensiero italiano di destra: che impressione le ha fatto quella polemica?«Io ero presente quando il ministro ha detto quelle cose. A volte un’enfasi provocatoria può servire per dare respiro a una riflessione. Sangiuliano conosce bene la comunicazione e non è un caso che l’uscita abbia avuto un effetto detonante. Molti hanno scambiato la provocazione per la realtà. Chiaro che destra e sinistra non esistevano al tempo di Dante. Sangiuliano ha soprattutto voluto sottolineare una cosa».Quale?«Che la sinistra non è la cultura. La sinistra è il potere culturale che deriva da lunghi decenni di egemonia culturale. La destra ha sempre avuto un sentimento di soggezione rispetto a questo potere, pur avendo una grande tradizione culturale europea che dovrebbe bastare a superare ogni senso di inferiorità». Il suo Sillabario del nuovo millennio è appena uscito in edizione aggiornata con il titolo zarathustriano de La terra dei figli. Quasi un invito alla vita. Non trova, tuttavia, che la destra abbia parlato molto della vita come valore ma abbia dimenticato il vitalismo?«Il tema è quello di una cultura di destra che si apra al futuro. C’è una frase di Heidegger che mi ha sempre ispirato e cioè che l’uomo è riuscito a fare qualcosa di buono solo quando ha avuto una tradizione e un focolare. La vera cultura della nostra tradizione è quella che ha i piedi ben fissati sul suolo, ma sa guardare in avanti. Che non si ferma alla contemplazione dell’esistente. Torniamo al tema della bellezza, perché la bellezza è questa grande forza di costruzione, di progetto, di utopia, non è mai dissolutiva, distruttiva, reattiva, nichilista. La bellezza non può essere solo sentimento della conservazione, ma deve essere vivente, deve essere un grido di battaglia per l’avvenire, per costruire e fare cose belle per uscire da un labirinto che ci chiude dentro l’esistente e guardare verso l’avanti. La bellezza è stata rinnegata come qualcosa di reazionario, di fascista, di inaccettabile per la modernità. E questo è stato un grande errore, a cui si erano opposte figure come Jünger, D’Annunzio, Spengler, come Nietzsche stesso. Ed ecco la “terra dei figli”». Lei anni fa fu tra gli animatori di un’avanguardia chiamata mitomodernismo. Ma è ancora possibile pensare il mito nella modernità? Va pensato contro la tecnica o insieme alla tecnica?«La scommessa è proprio questa, infatti “mitomodernismo” significa mito della modernità. Non si può pensare che tutto il mondo delle tecnologie sia un disastro nichilista. Certo, se tu lo lasci andare senza governo va verso quella direzione, ma se tu riesci a rimitizzare continuamente il sentimento della vita, allora ti accorgi che quel sentimento finisce per essere una forza che ti porta verso l’avanti. Io sono sempre molto critico verso una interpretazione nichilista e dissolutiva della tecnica. Che a mio parere non è neanche una visione che ci arriva da Heidegger, ma è una deformazione del pensiero heideggeriano. Il vero messaggio di Heidegger è proprio quello su una rimitizzazione del pensiero scientifico e tecnologico».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)