2025-01-19
        La Meloni va da Trump con un’agenda in tasca
    
 
        Donald Trump e Giorgia Meloni (Ansa)
    
Il premier parteciperà alla cerimonia di domani: gli ottimi rapporti con Washington non piacciono ai dem. Insieme a lei ci saranno tre esponenti di Fdi, la Lega ne manderà uno. Nato, Starlink, piano Mattei: ecco i dossier su cui Roma può giocare da protagonista.È ufficiale. Domani, Giorgia Meloni parteciperà all’insediamento presidenziale di Donald Trump. Sarà accompagnata da alcuni esponenti di Fdi: il capodelegazione all’Europarlamento, Carlo Fidanza, e i deputati Andrea Di Giuseppe e Antonio Giordano. Per la Lega ci sarà invece il capodelegazione europeo del Carroccio, Paolo Borchia. Qualcuno, a sinistra, ha già storto il naso. C’è chi accusa il premier italiano di andare in compagnia di politici appartenenti all’ «estrema destra» e chi la taccia di eccessiva vicinanza al presidente americano in pectore. In realtà, la partecipazione della Meloni all’evento si inserisce in una precisa strategia geopolitica, che si fonda sul rapporto strettissimo e privilegiato costruito dall’inquilina di Palazzo Chigi con Trump.Innanzitutto, la Meloni ha costantemente impostato la sua politica internazionale su un granitico atlantismo. L’obiettivo è, in altre parole, sempre stato quello di giocare di sponda con Washington per affrancare l’Italia dalla subordinazione all’asse franco-tedesco. Non a caso, tra i critici della politica estera della Meloni figura Mario Monti: un esponente di spicco della cordata gravitante attorno a Parigi e a Berlino. «Se si dà l’impressione di erigere un signore privato come Elon Musk a una forma di protettorato morale del nostro Paese, c’è una perdita di dignità dello Stato», dichiarò il senatore a vita a dicembre, in quella che era una stoccata all’inquilina di Palazzo Chigi.Parole, quelle di Monti, piuttosto bizzarre, visto che lui, da premier, provò a rendere l’Italia un protettorato morale di Francia e Germania. Ma questa è storia ormai passata. L’aspetto più interessante è un altro. Ed è duplice. Primo: l’asse franco-tedesco raramente ha agito in convergenza con il nostro interesse nazionale. Basti pensare al disastro libico provocato da Parigi nel 2011. Secondo: al momento, sia la Francia sia la Germania sono politicamente nel caos. Una ragione in più per essere favorevoli alla linea atlantista della Meloni. Un ulteriore elemento da considerare è che l’attuale inquilina di Palazzo Chigi ha raffreddato i rapporti con Pechino, invertendo la rotta che era stata del governo Conte II, appoggiato da Pd e Movimento 5 stelle.In particolare, nel 2023, la Meloni non ha rinnovato il controverso memorandum sulla Nuova via della seta e, oltre a rafforzare i rapporti con gli Usa, ha scommesso molto su quelli con Nuova Delhi. Non è un caso che a strepitare contro l’asse con il presidente americano in pectore siano i fautori dell’avvicinamento di Roma a Pechino, come Romano Prodi che, alcuni giorni fa, ha accusato la premier di essere «obbediente a Trump e pure a Musk». Parole che certificano il nervosismo di quegli ambienti filocinesi che hanno storici agganci con il centrosinistra. Ricordiamo sempre che il memorandum sulla Nuova via della seta fu siglato, sì, dal governo Conte I su spinta dei grillini, ma ricordiamo anche che l’avvio del processo che avrebbe portato a quella firma era stato avviato da Paolo Gentiloni, a Pechino, nel maggio 2017.E veniamo al futuro. Perché ci conviene una sponda privilegiata con Trump? Ci conviene sotto vari punti di vista. Innanzitutto, l’Italia potrebbe acquisire maggior peso all’interno della Nato. Il che potrebbe far sì che Roma giochi un ruolo centrale nel Mediterraneo allargato. Trump vuole probabilmente estendere gli Accordi di Abramo al Maghreb. E, grazie al piano Mattei, la Meloni potrebbe ritagliarsi un ruolo di mediazione nei confronti di Tunisi e Tripoli. Senza trascurare che il presidente americano in pectore potrebbe vedere nell’Italia un alleato in grado di contribuire alla stabilizzazione di Nord Africa e Sahel (soprattutto in una fase storica in cui Parigi sta perdendo influenza sullo scacchiere africano). In secondo luogo, anche l’eventuale accordo con Starlink potrebbe rivelarsi vantaggioso. Al di là dell’assenza di alternative al momento, il discorso è geopolitico. Quell’eventuale intesa fortificherebbe i legami tra Roma e il Pentagono e potrebbe far sì che Trump chiuda un occhio sull’aumento dei contributi italiani alla Nato fino al 5%. Quegli ambienti del centrosinistra che fino al 4 novembre scorso si autoproclamavano «atlantisti» dovrebbero apprezzare una maggiore convergenza tra Italia e Usa nel settore della Difesa (ricordiamo infatti che SpaceX è strettamente legata al Pentagono). Il problema è che molti, in questo Paese, si definiscono «atlantisti» a targhe alterne, sulla base, cioè, della simpatia politica per il presidente americano di turno.E, comunque, attenzione. Nonostante abbia recentemente accusato Musk di promuovere una «internazionale reazionaria», sembra che, dietro le quinte, Emmanuel Macron stia corteggiando il ceo di Tesla. Secondo Le Monde, «il presidente francese spera che la sua relativa vicinanza al miliardario lo metterà in una posizione di maggiore influenza rispetto ad altri leader europei». Politico ha aggiunto che il capo dell’Eliseo sta spingendo per far sì che Trump e Musk partecipino a un summit parigino, previsto a febbraio sull’intelligenza artificiale. Questo dimostra che Macron teme la concorrenza della Meloni. E che sta cercando di recuperare goffamente terreno nei rapporti con Trump. Ulteriore dimostrazione del fatto che la nostra premier fa bene a scommettere sulla sponda con il prossimo presidente americano.
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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