2019-11-20
La maggioranza non arriva alla fine del Mes
La riforma del Fondo salvastati spacca i giallorossi. I deputati grillini protestano: «Il Parlamento non può restare all'oscuro». Roberto Gualtieri non si smuove: «A dicembre ci sarà la firma». Poi Giuseppe Conte smentisce il ministro dem e sé stesso: «Puntiamo al rinvio».Per Ignazio Visco i risparmi sono a rischio. Il Colle non può ignorare l'allarme. Finalmente la questione diventa politica: anche perché lo prevede la legge Moavero. Lo speciale comprende due articoli. Il governo giallorosso rischia di non arrivare alla fine del Mes: il caso della riforma del Meccanismo europeo di stabilità, meglio noto come Fondo salvastati, sta letteralmente terremotando la maggioranza giallorossa e l'esecutivo guidato da «Giuseppi» Conte. Il Mes, lo ricordiamo, è quel fondo europeo finanziato dai membri dell'Unione che serve a sostenere i Paesi che debbano affrontare crisi finanziarie e rischio default, come è accaduto in Grecia. La modifica al centro della bufera prevede che il sostegno sia attivato in caso di turbolenze sui mercati del debito pubblico, ma solo a patto che ricorrano alcune condizioni: non trovarsi in procedura d'infrazione, avere da due anni un deficit sotto il 3% del pil e un debito pubblico inferiore al 60%. Condizioni nelle quali l'Italia non rientra, e che quindi esporrebbero il nostro Paese, in caso di necessità, a dover accettare una ristrutturazione del debito per accedere al fondo, con conseguente tracollo del sistema bancario italiano. Le opposizioni, a partire dal leader della Lega e del centrodestra, Matteo Salvini, hanno accusato Conte di alto tradimento. Ieri, le solite «fonti di governo» hanno diffuso una velina che ha dell'incredibile: «Sulla ratifica della revisione del Meccanismo europeo di stabilita», hanno fatto sapere le fonti, «il Parlamento è sovrano. Il premier Giuseppe Conte respinge le polemiche visto che sul tema non c'è alcuna emergenza. Del resto», aggiungono le fonti, «Conte già a giugno ha chiarito al Consiglio Ue che la revisione del Mes va inserita in un pacchetto di riforme. Senza una logica del pacchetto, quindi, Roma, al Consiglio Ue di dicembre, punterà al rinvio della riforma, per la quale serve un ok unanime». Dunque, il governo sembra fare marcia indietro: niente firma e stop alla riforma del Mes? A questo punto, se la maggioranza giallorossa non fosse un circo equestre, dovrebbe dimettersi entro questa sera il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, che poche ore prima aveva detto esattamente il contrario: «La firma del trattato», aveva affermato Gualtieri a Otto e mezzo, su La 7, «avverrà a dicembre e non penalizzerebbe assolutamente l'Italia. Sostengo il mio predecessore, il ministro Giovanni Tria, che ha condotto questo negoziato ed è stato bravo».Ma del resto lo stesso Conte, appena 24 ore prima di diffondere la nota con il dietrofront, aveva fatto sapere che, a seguito di un suo intervento, «e dell'intenso confronto che ne è seguito, nel testo delle comunicazioni finali dell'Eurosummit è stata inserita la seguente formula: “Invitiamo l'Eurogruppo in formato inclusivo a proseguire i lavori su tutti gli elementi di questo pacchetto globale", formula, questa, che non compariva nel testo precedente». Dunque: Conte si dice soddisfatto perché il testo è stato migliorato grazie al suo intervento, Gualtieri annuncia la firma a dicembre e dice che per l'Italia è tutto ok, ma Conte immediatamente dopo afferma che probabilmente non se ne farà più nulla. Tutto in 24 ore scarse. Più che un governo, un manicomio. Probabile che a far cambiare idea a Conte sia stata la ribellione nella stessa (pseudo) maggioranza giallorossa: «Il Parlamento», hanno scritto ieri in una nota i deputati del M5s incardinati in commissione Finanze, «aveva dato un preciso mandato al presidente del Consiglio. La discussione sul Mes deve essere trasparente, il Parlamento non può essere tenuto all'oscuro dei progressi nella trattativa e non è accettabile alcuna riforma peggiorativa. Oggi è chiaro, invece, che la riforma del Mes sta andando proprio nella direzione che il Parlamento voleva scongiurare. Chiediamo al capo politico», hanno aggiunto i parlamentari grillini, rivolgendosi a Luigi Di Maio, «di far convocare un vertice di maggioranza, perché sul Mes noi non siamo d'accordo».Anche da Leu sono arrivate critiche: «Caro ministro Gualtieri», ha scritto su Twitter il deputato Stefano Fassina, «su che basi afferma che la riforma del Mes sarà firmata a dicembre? Chi ha dato al presidente Giuseppe Conte il mandato a firmare? Basta colpi tecnocratici all'interesse nazionale. Abbiamo già dato. Deve votare il Parlamento». «Il ministro Gualtieri», hanno precisato ieri intanto fonti del Mef, «ha inviato lo scorso 7 novembre al presidente della commissione Finanze Alberto Bagnai la richiesta di essere audito in merito alla riforma del Mes, della quale è stata programmata la firma in dicembre sulla base dell'intesa raggiunta dal Consiglio europeo nello scorso mese di giugno. L'audizione è stata calendarizzata per il prossimo 27 novembre». «Questo governo», attacca lo stesso Bagnai, «toglie lo scudo a manager che si apprestavano a mantenere in vita e sanare l'Ilva e lo mette a burocrati del Mes, il cosiddetto fondo salva Stati di cui l'Italia è il terzo contributore ma rischia di non poter accedere ai fondi che ha conferito».«Conte», insiste Salvini, «venga subito in parlamento a dire la verità, il Sì alla modifica del Mes sarebbe la rovina per milioni di italiani e la fine della sovranità nazionale». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-maggioranza-non-arriva-alla-fine-del-mes-2641400804.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-visco-i-risparmi-sono-a-rischio-il-colle-non-puo-ignorare-lallarme" data-post-id="2641400804" data-published-at="1758084816" data-use-pagination="False"> Per Visco i risparmi sono a rischio. Il Colle non può ignorare l’allarme Ancorché tardiva, la politicizzazione del dibattito sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità non può non essere salutata come un'ottima notizia per tutti i partiti e per il nostro sistema istituzionale, a prescindere da un giudizio nel merito. In 24 ore il presidente del Consiglio sembra aver compiuto una significativa rimodulazione delle sue posizioni, passando dalla rivendicazione della «logica di pacchetto» (come frutto della sua posizione al vertice europeo di giugno 2019) di lunedì alla minaccia - tutta da confermare nella pratica - di chiedere un rinvio in caso di assenza del «pacchetto» medesimo. Smentendo in modo piuttosto plateale anche il suo ministro Roberto Gualtieri, che lunedì sera a Otto e mezzo aveva sentenziato, lodando l'operato di Giovanni Tria: «La firma avverrà a dicembre, e comunque non penalizzerà assolutamente l'Italia». A questo punto ci sono due certezze: la maggioranza ha un problema (il M5s si è esposto contro la riforma), e la politica un'opportunità. Dopo anni di scelte condizionate da una logica emergenziale dagli esiti anche drammatici, c'è l'occasione di sottoporre il processo di integrazione europea a una «analisi costi-benefici» mai seriamente compiuta, anche per colpa di polarizzazioni devianti. In questo spazio di democrazia giocherà un ruolo cruciale Sergio Mattarella. Non solo si potrà dare piena applicazione a una legge, la 234/2012, che prevede che il premier trasmetta «tempestivamente alle Camere le relazioni e le note informative predisposte dalla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea con riferimento ad [...] atti o progetti di atti adottati dalle istituzioni o organi dell'Unione europea». La stessa norma impone al governo di «informare e consultare periodicamente le Camere [...] in merito al coordinamento delle politiche economiche e di bilancio e al funzionamento dei meccanismi di stabilizzazione finanziaria», nonché «di ogni iniziativa volta alla conclusione di accordi tra gli Stati membri dell'Unione europea che prevedano l'introduzione o il rafforzamento di regole in materia finanziaria o monetaria o comunque producano conseguenze rilevanti sulla finanza pubblica», assicurando che «la posizione rappresentata dall'Italia nella fase di negoziazione [...] tenga conto degli atti di indirizzo adottati dalle Camere». Al Quirinale non possono non essere fischiate le orecchie, poi, quando Ignazio Visco ha parlato, nell'ambito della riforma del Mes, di «enorme rischio» potenziale per la tenuta del sistema italiano. Lo stesso presidente il 27 maggio 2018 stoppò la nascita del Conte uno perché, a suo avviso, la nomina di Paolo Savona al Mef configurava «rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane». Disse allora il capo dello Stato: «È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri - che mi affida la Costituzione - essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani». È ragionevole supporre che un governatore in carica che cinque giorni fa ha detto che la materia del Mes va «maneggiata con cura» (paragonandola alla situazione della Grecia decisa nel 2010 con il coinvolgimento del settore privato nella ristrutturazione del debito pubblico), costituisca un fattore di preoccupazione maggiore per l'attuazione dell'articolo 47 della Carta rispetto alla «minaccia» di Savona. Anche perché, nel frattempo, l'uomo che metteva a rischio la tenuta dell'eurozona è diventato presidente della Consob.