2021-09-23
La Lega respinge le voci di scissione. «Ci interessa solo fermare altre tasse»
Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Matteo Salvini denuncia i rischi legati alla riforma del catasto. E 41 suoi fedelissimi non votano per l'estensione del green passdel catasto con aumento surrettizio dell'Imu e sdraiata a scendiletto riguardo alla grande truffa della transizione verso l'elettrico, motivo principale dell'esplosione del costo dell'energia (più 40%) per aziende e famiglie. Sembra un'uscita di principio, una linea del Piave, ma è anche una risposta politica a uso interno, il tentativo di spostare la barra del timone su temi che uniscono una Lega di lotta e di governo mai così impegnata nel tenere insieme le due anime. Ieri sera la conferma dell'imbarazzo: 41 fedelissimi del segretario (su 132) non sono entrati in aula alla Camera e non hanno votato l'estensione del green pass.«Ma quale chat, quale scissione. Nessuno si sposterà di un millimetro perché tutti sanno che i voti li ha Matteo». Il colonnello di lungo corso che spiffera la frase al telefono ha visto ben altre tempeste, ha avvistato con il binocolo ben altri uragani in un partito in Parlamento da 34 anni, da quando Umberto Bossi (che in questi giorni ne ha compiuti 80), diventò il Senatur. Lui c'era, al tempo dei Barbari sognanti. Lui c'era la Notte delle scope, a Bergamo, nell'aprile 2012 e sa che il partito ha un leader inamovibile. Non vuole dedicare altro che la sottolineatura sul peso elettorale di Salvini, a un tema che dentro la Lega non appassiona nessuno, «semplicemente perché non esiste». Il dualismo con Giancarlo Giorgetti è il confronto fra due anime, quella salviniana più popolare, quella giorgettiana caratterialmente governista. Per la verità le posizioni sul green pass sono state conflittuali, con Alberto Bagnai e Claudio Borghi da una parte («No al certificato invasivo») e i governatori con responsabilità istituzionali dall'altra («Sì al passaporto per non tornare più in lockdown»). Una dialettica legittima che segna le difficoltà oggettive della Lega nel mantenere la rotta dentro il governo di Mario Draghi senza far pagare dazio all'ala più nazionale e sovranista, quella che l'ha aiutata a passare dal 4% al 30% in cinque anni. Il vertice stringe i denti, sa che votare contro non basterebbe a bloccare certi decreti, soprattutto se Forza Italia tiene il punto sulla linea di Palazzo Chigi. Ma è anche consapevole che uscire dal governo significherebbe regalare Draghi non solo a Matteo Renzi ma alla sinistra più impresentabile di questi anni (progressisti arcobaleno, psycho-dem, populisti contiani e postcomunisti alla Speranza). Il dualismo fra il leader e il ministro dello Sviluppo economico viene definito «letteratura da sbarco» ed è liquidato così dal governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga: «Nel primo partito d'Italia è normale che ci siano correnti diverse, ma non c'è spazio per i no vax». Per «correnti» intende quelle di pensiero, faccenda ben diversa dalle otto ufficiali che trasformano il Pd in un minestrone indigesto.L'uscita di scena di Francesca Donato ha fatto scalpore sui numerosi house organ di sinistra, non nell'inner circle salviniano. «Saluto, ringrazio e dico tanti auguri a chi va via», ha liquidato la faccenda il segretario. L'europarlamentare Marco Zanni è andato oltre: «Far parte di un partito significa fare gioco di squadra, quando prevalgono i personalismi e le divergenze sono insanabili è bene che le strade si dividano». La declinazione politica viene lasciata al governatore del Veneto, Luca Zaia: «La Lega è un grande partito. Un grande partito è uno spaccato della società e non trovo quindi scandaloso che ci sia chi ha un'opinione diversa dalla mia. Certo che poi una sintesi va fatta».C'è molta salsa mediatica in questa crisi, c'è la consueta voglia matta di inserire un cuneo nel monolite e poi forzare. Nella Lega si sottolinea il ben diverso approccio sulla rissa verbale fra Dario Franceschini e Roberto Speranza nella «cabina di regia» sul bluff della riapertura di musei e teatri. Tutto bene in fondo a sinistra, taglio basso. In via Bellerio hanno un'esperienza decennale riguardo al teatrino anti Lega, per questo vanno oltre e plaudono alla strambata tematica di Salvini. Obiettivo: fermare la deriva montiana di un governo che comincia a mostrare i canini di Dracula. «La riforma del catasto rischia di essere un salasso per milioni di famiglie italiane, un danno grave per il mercato immobiliare e un colpo mortale alla ripresa economica post Covid», ha detto Salvini ricompattando colonnelli, tenenti e peones del partito. «Sarebbero risultati in totale contraddizione con lo spirito del governo Draghi, visto che il premier in persona aveva spiegato che in questa fase «i soldi non si prendono ma si danno». L'Italia non ha bisogno di ricette suicide già viste con Mario Monti, dall'aumento delle tasse al ritorno alla legge Fornero». Il leader del centrodestra spiega che ci sarebbe un aumento medio dell'Imu sulla seconda casa del 128% e un aumento dell'Isee per la prima casa del 300%. Con il nuovo Imu sulla seconda casa, Roma avrebbe aumenti possibili del 183%, Milano del 123%, Napoli del 75%. «Sulla trincea delle tasse Forza Italia non può fare la principessa sul pisello», dicono dentro la Lega. La battaglia è destinata a rinserrare le file dell'alleanza.Al di là dei mal di pancia c'è un'unità di fondo. «Io e Giorgetti siamo divisi solo dal tifo calcistico, lui tiene alla Juventus e io al Milan», chiude la porta Salvini. In realtà il ministro silenzioso ha un debole per il Southampton e non disdegna ogni tanto di fuggire in Inghilterra a vedere le partite. Cosa che una volta, al tempo degli unni, fece scuotere il capo a Roberto Maroni: «Lui è un originale. Facesse almeno il tifo per il Northampton…».
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)