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Depositati dal Carroccio un emendamento e una proposta di legge per uscire dall’Organizzazione, come appena fatto dagli Usa. Matteo Salvini: «Via da un centro di potere che va a braccetto con Big Pharma». Opposizioni in rivolta: «Idea pericolosa e inquietante».No, l’uscita degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità non innesterà «catastrofiche conseguenze» come ha paventato l’altro ieri sulla Stampa Eugenia Tognotti, esperta vicina al Partito democratico. Né dovrebbe intimorire che anche l’Italia ritiri l’adesione al carrozzone sanitario internazionale in funzione dal 1948, considerando i dati presentati ieri alla Camera dal senatore Claudio Borghi e dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega: tutt’altro.«Numeri alla mano, l’Oms in questo momento è tutt’altro che un’organizzazione che fa del bene al mondo», ha spiegato Borghi. I dati elaborati dalla Lega e dal professor Roy De Vita, primario all’Istituto Nazionale dei Tumori di Roma intervenuto alla conferenza, mostrano in effetti non soltanto le drammatiche contraddizioni dell’Oms durante la pandemia ma anche l’enorme spreco di soldi dei contribuenti. «Un terzo del bilancio dell’Oms, circa 1 miliardo di dollari, va agli stipendi del personale», ha osservato Borghi, «c’è chi dà i soldi a questa organizzazione pensando in buona fede di aiutare i bambini dell’Africa mentre invece aiuta gli stipendi di chi lavora in sedi faraoniche: lo stipendio medio dei funzionari, esenti peraltro da qualsiasi tipo di giurisdizione, è intorno ai 150.000 euro completamente esentasse». Poi ci sono le spese dei viaggi, quantificati in circa 160 milioni l’anno. «Stiamo foraggiando gente che fa vacanze in giro per il mondo». C’è da dire che il contributo italiano all’organismo che ha sede a New York è contenuto, poco più di 69 milioni di euro l’anno nel bilancio 2024-2025. Ma fa riflettere che il nostro Paese, 58 milioni di abitanti, versi all’Organizzazione soltanto un terzo di quanto versa la Cina, 203 milioni di euro, che però ha 1,4 miliardi di abitanti. Questa stessa disparità aveva spinto Donald Trump, nel corso del suo primo mandato presidenziale, a programmare l’uscita degli Usa dall’Oms. Il presidente Usa ha raccontato com’è andata qualche giorno fa, firmando l’ordine esecutivo: «Revocai la nostra adesione, mi hanno offerto di tornare versando la stessa quota della Cina. Quando Biden è diventato presidente, pur sapendo che potevamo restare dentro per una cifra decisamente inferiore, gli Usa sono rientrati nell’Oms tornando a pagare i 500 milioni di dollari che versavamo prima: mi dispiace molto pensarci». La Lega, che ha già depositato un emendamento al decreto Milleproroghe in Senato e una proposta di legge, che consentirebbero all’Italia l’uscita immediata, pensa che questi fondi potrebbero trovare migliore allocazione sia nel servizio sanitario nazionale, sia per progetti insieme con gli Stati Uniti, a cominciare dalla lotta all’antibiotico resistenza, che fa parte anche del programma di governo presentato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci. Il partito di Matteo Salvini vuole condividere questa battaglia con gli alleati di governo. Ma, al di là delle sproporzioni rispetto ai contributi, ciò che ha spinto i parlamentari leghisti a portare avanti la causa dell’uscita dall’Oms sono gli sprechi, di cui nessuno parla, e l’inefficacia del suo operato. «La spesa totale dell’Oms per l’Africa in medicine e apparecchiature mediche è di 45 milioni», indica Borghi, «a fronte di costi di viaggi dei funzionari in Africa che ammontano a 53 milioni. Quindi costano di più i biglietti aerei dei funzionari rispetto a quello che danno ai poveri bambini africani. C’è interesse a far credere che questi carrozzoni internazionali siano salvifici, ma sono salvifici soltanto per chi ci lavora». Nel mirino della Lega, anche l’organizzazione del lavoro: «Dobbiamo interrogarci sul senso di continuare ad adottare modelli di organizzazione che manifestano evidenti limiti», ha commentato Bagnai. Certo, l’Oms ha dovuto governare un fenomeno eccezionale, la pandemia, ma «la ragion d’essere di questi istituti di coordinamento è esattamente quella di gestire questo tipo di fenomeni. Abbiamo riserve sulla governance multilaterale che in alcune circostanze si qualifica come la creazione di sportelli unici del lobbista». Per non parlare della comunicazione: «Viene detto - chiosa Bagnai - che uno dei principali vantaggi della governance multilaterale è fornire indicazioni prescrittive, ma una comunicazione così schizofrenica come quella dell’Oms non sembra compatibile con qualsiasi definizione di coordinamento di un’attività di contrasto a fenomeni così complessi». Sulla stessa linea, il segretario leghista Salvini: «L’Italia non deve più avere a che fare con un centro di potere sovranazionale - profumatamente finanziato dai contribuenti italiani - che va a braccetto con le multinazionali del farmaco. Usiamo quei 100 milioni per sostenere i malati in Italia e finanziare i nostri ospedali e medici». L’intervento di Roy De Vita ha completato il quadro: «I maggiori azionisti dell’Oms sono Bill Gates e Gavi Alliance, fondata da Gates, enti privati che contribuiscono al 30 per cento. Ciò significa che l’Oms segue le indicazioni del maggiore azionista», osserva De Vita, «e di fatto è una istituzione che sta seguendo le indicazioni di un privato». Dunque, «l’Oms è un provider privato che lavora al soldo di chi la commissiona». De Vita sciorina i dati: 151 uffici distrettuali, 8.000 dipendenti i cui stipendi costano 1 miliardo e 100 milioni che, sommati alle consulenze, lievitano a 2 miliardi e 500 milioni: «Il 74% del loro income è speso senza aver fatto niente». C’è infine da ricordare il vulnus dell’Oms sulle origini del virus Sars Cov-2: la commissione d’inchiesta dell’Oms decise di affidare il lavoro d’indagine proprio a quei funzionari cinesi e americani che verosimilmente, secondo l’Fbi, erano stati coinvolti nella «fuga da laboratorio»: indagarono su loro stessi, insomma, con il benestare dell’Organizzazione. E ovviamente, non trovarono alcun colpevole. La proposta leghista, come prevedibile, ha agitato la sinistra. Da Pd e compagnia si è alzato un coro di critiche, che hanno definito la proposta leghista « folle, pericolosa, inquietante». Sta ora all’Italia decidere se restare o, come ha deciso l’Argentina di Javier Milei, andare «afuera».
Luca Marinelli (Ansa)
L’antica arte partenopea del piagnisteo strategico ha in Italia interpreti di alto livello: frignano, inteneriscono e incassano.
Venghino, siori, venghino, qui si narrano le gesta di una sempiterna compagnia di ventura.
L’inossidabile categoria dei cultori del piagnisteo.
Che fa del vittimismo una posa.
Per una buona causa: la loro.
Ecco #DimmiLaVerità del 6 novembre 2025. L'ex ministro Vincenzo Spadafora ci parla del suo movimento Primavera e della situazione nel centrosinistra.
Antonio Filosa (Stellantis)
La batteria elettrica è difettosa. La casa automobilistica consiglia addirittura di parcheggiare le auto lontano dalle case.
Mentre infuria la battaglia mondiale dell’automobile, con la Cina rampante all’attacco delle posizioni delle case occidentali e l’Europa impegnata a suicidarsi industrialmente, per Stellantis le magagne non finiscono mai. La casa automobilistica franco-olandese-americana (difficile ormai definirla italiana) ha dovuto infatti diramare un avviso di richiamo di ben 375.000 automobili ibride plug-in a causa dei ripetuti guasti alle batterie. Si tratta dei Suv ibridi plug-in Jeep Wrangler e Grand Cherokee in tutto il mondo (circa 320.000 nei soli Stati Uniti, secondo l’agenzia Reuters), costruiti tra il 2020 e il 2025. Il richiamo nasce dopo che si sono verificati 19 casi di incendi della batteria, che su quei veicoli è fornita dalla assai nota produttrice coreana Samsung (uno dei colossi del settore).
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?






