2022-02-21
Bagnai: «La Lega ha il pieno diritto di dissentire dal governo»
Il responsabile economia del partito: «Finita l’emergenza si deve cambiare metodo con meno decreti d’urgenza e più condivisione. Maggioranza non significa unanimità».«Il rallentamento è significativo e verosimilmente strutturale. Si chiama shock di offerta: aumenta il costo delle materie prime e diminuisce la produzione. Ora pure il Fondo monetario internazionale attribuisce l’aumento dei prezzi alla distruzione di capacità produttiva». Alberto Bagnai, senatore della Lega, insegna politica economica e guida il dipartimento di economia del suo partito dopo aver presieduto la Commissione finanze al Senato nel primo scorcio di legislatura. A molti noto per due libri di successo: Il tramonto dell’euroe L’Italia può farcela. Anima ancora oggi come può - visti i numerosi impegni istituzionali - il blog Goofynomics. È il punto di riferimento di un dibattito molto partecipato. Chiedergli perché il Pil trimestrale abbia diminuito il suo tasso di crescita passando dal 2,6% del terzo trimestre allo 0,6% del quarto è la cosa più naturale del mondo. «Purtroppo, c’è un atteggiamento culturale comune agli ultimi governi». Prosegue Bagnai: «Quello della distruzione “creatrice”, o se preferisce della crisi come “opportunità”. L’albero scosso fa cadere le mele marce, cioè le imprese meno produttive. Bisogna però sempre ricordarsi che dietro ci sono uomini e soprattutto bisogna capire quando intervenire perché lo scrollone non abbatta l’albero».Il racconto delle ultime settimane è più o meno questo: tutto è bene quel che finisce bene, Sergio Mattarella al Quirinale e Mario Draghi a Palazzo Chigi. Però è ripartita la volatilità sui nostri titoli di Stato e non solo. Aumenta lo spread.«Fra i motivi del nostro sostegno a questo governo c’è la solida reputazione internazionale del premier e la competenza dei suoi ministri. Tuttavia, le motivazioni dello spread sono strutturali. Dipendono dai fondamentali e dall’assetto istituzionale. La scelta politica fatta oltre quarant’anni fa - che in quel contesto aveva le sue motivazioni - è stata quella di affidare interamente ai mercati il finanziamento del fabbisogno statale. In questo contesto diventa determinante il ruolo della banca centrale, e lo dimostrano le tensioni che si stanno manifestando da fine settembre. Tutti si aspettano che l’inflazione aumenti e la Bce ha sostanzialmente esaurito i suoi programmi di acquisto titoli. La logica conseguenza è un aumento dei tassi, e non c’è scudo reputazionale che tenga».Se si parla di inflazione e di tassi, si parla di Bce. È legittimo criticarne l’operato in questa fase?«Credo sia sempre legittimo esprimere critiche sull’apparato tecnico. Il problema è se le critiche siano fondate. Gli incidenti comunicativi della Lagarde sono plurimi. Agli inizi della pandemia dichiarava che Francoforte non “era lì per chiudere gli spread”, per poi approvare dopo una settimana il piano di acquisti pandemico allo scopo appunto di chiuderli. Anche nell’ultima conferenza stampa non è emerso un messaggio chiaro. È legittimo chiedersi se siamo in ottime mani. Purtroppo, in un contesto come questo, il timore che volontariamente o involontariamente slitti la frizione rischia di accentuare il nervosismo sui mercati».L’inflazione è ovunque. Negli Stati Uniti e in Europa. Vede delle differenze? E soprattutto è duratura?«Concordo che sia duratura. Si tratta di capire a che livello si ancorerà. Veniamo da 20 anni di sostanziale deflazione, con un tasso strutturalmente inferiore al 2% deciso dalla Bce. Per 30 anni l’inflazione è stata domata usando politiche di austerità per calmierare la domanda. Ora economisti e politici non capiscono più l’inflazione da offerta. Si è visto all’inizio della pandemia, quando tutti si aspettavano deflazione “perché la gente è chiusa in casa e non spende”. Mi aspettavo invece che la chiusura di tante fabbriche avrebbe creato tensioni sui prezzi, come oggi conferma il Fmi. In questa fase la politica monetaria può creare problemi più che risolverli. Per ristrutturare le catene del valore serve una politica industriale e servono investimenti. Ovviamente tassi più alti li renderebbero troppo costosi. Avremmo un problema anche qui e non solo per quanto riguarda il rifinanziamento del debito pubblico».Lei è molto attento al dibattito internazionale. Quando i prezzi aumentano che succede in Germania?«Questa è la domanda dello studente, quella che si fa perché se ne conosce la risposta! Sappiamo che l’elettorato tedesco in queste condizioni chiede politiche rigorose, prendendosela con le cicale del Sud. A me però interessa di più la dialettica fra Francia e Germania. Quest’ultima ha un grosso surplus nel commercio estero, e dal suo punto di vista tassi più alti e un euro più forte non sarebbero un fastidio. La Francia ha invece un doppio deficit. Quello pubblico e quello delle partite correnti con l’estero. Parigi ha una reputazione e una postura geopolitica solida, ma il debito estero va comunque rimborsato. Noi in questa fase siamo spettatori: nel modo sbagliato, attraverso cioè l’austerità e la compressione della domanda interna, abbiamo fatto la cosa giusta, riequilibrando la posizione patrimoniale del Paese con l’estero. La Francia più dell’Italia ha bisogno di tassi bassi e di un euro debole. La partita devono giocarsela loro».Provo a volare più basso per parlare di politica italiana. Ritiene che all’interno del suo partito sia stata sottovalutata la portata lacerante e distruttiva di una misura come il green pass?«A settembre dello scorso anno ci furono segnali di insofferenza da parte di alcuni amministratori locali verso i parlamentari leghisti critici nei confronti di questa misura. Ma a ottobre la situazione era già cambiata. Anche i nostri amministratori più incisivi nel propugnare il green pass si erano resi conto delle tante criticità che la misura creava, soprattutto nel mondo del lavoro. La nostra unica colpa, quindi, era stata quella di avere visto in anticipo dove saremmo arrivati. Di aver suonato subito l’allarme. E da questo dovremmo tutti trarne una lezione».Quale?«Parlare di più fra noi direttamente e meno attraverso i giornali. Vede, se per assurdo mi venisse chiesto un parere in materia amministrativa (per esempio, su un appalto o un piano regolatore) avrei l’umiltà di rivolgermi immediatamente ai tanti che nel mio partito ne sanno più di me. Sarebbe utile che questo spirito venisse simmetricamente condiviso. Bisognerebbe capire che l’Ue non è quella che ci raccontano i giornali, approfondire con gli europarlamentari e con chi segue i dossier: altrimenti la storia rischia di ripetersi».Cioè?«Ricorderà l’aspro dibattito di due anni fa sul ricorso ai 30 e passa miliardi del Mes per far fronte alla pandemia. All’epoca molti presidenti di Regione si espressero con favore di fronte a questa eventualità, poi ovviamente cassata dalla storia, e ci fu qualche polemica. C’entra un po’ anche la malizia (assolutamente lecita) di una certa stampa. Se mi chiedessero “li vorresti 30 miliardi in regalo?”, probabilmente anch’io risponderei entusiasticamente con un sì. Il punto è che bisogna conoscere come funzionano le cose europee. Funzionano come tutte le cose del mondo: nessuno ti regala niente. Non ci vuole una sensibilità particolare per imparare questa triste verità, e comunque in un partito si elabora una linea, la si condivide, e la si segue nel rispetto e per il bene di tutti. La nostra forza è la squadra, è l’avere una classe dirigente competente. La squadra funziona se il portiere sta in porta e l’attaccante all’attacco». I retroscenisti dicono che i partiti hanno chiesto a Draghi un cambio di metodo.«Adoro i generi letterari del nostro piccolo mondo antico: i retroscenisti, i quirinalisti... Mi chiedo se in Francia esistano gli eliseisti. Da parlamentare la metto così: questo governo è sorretto da una formula politica la cui legittimazione nasceva dalla necessità di gestire un’emergenza. I discorsi sul metodo sono probabilmente figli di una domanda ovvia: che succederà al termine dell’emergenza? La risposta è semplice per chi come me ascolta con il dovuto rispetto istituzionale il presidente Mattarella: si dovrà cambiare metodo non abusando più della decretazione d’urgenza e dei voti di fiducia, e ricordando che maggioranza non significa unanimità. In una repubblica parlamentare è il Parlamento a indirizzare l’azione del governo, con mozioni, risoluzioni, ordini del giorno. Questa non va vista come una mancanza di rispetto o come una diminutio. Peraltro, ricordo che la delega fiscale è passata in Consiglio dei ministri con l’unanimità dei presenti, e fra questi non c’erano i ministri della Lega. Quindi sulla delega fiscale, che non è richiesta dal Pnrr, noi riteniamo di poter sostenere le nostre posizioni, ampiamente note».Come cambieranno le regole europee? Un auspicio e una previsione.«L’auspicio è che si leggano un libro di macroeconomia per vedere se sono razionali regole che ti costringono a tagliare i redditi quando sei in recessione. La previsione è molto semplice. Le regole non cambieranno. In questo frangente mi preoccupa che il Parlamento italiano non sia stato minimamente coinvolto né sufficientemente informato. Come al solito, non sappiamo chi e con quale mandato va in Europa a negoziare cose così delicate».
(Ansa)
L'ad di Cassa Depositi e Prestiti: «Intesa con Confindustria per far crescere le imprese italiane, anche le più piccole e anche all'estero». Presentato il roadshow per illustrare le opportunità di sostegno.
Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)