2020-03-04
La Lega boccia il decretino di Conte. «Sono solo spiccioli, non lo votiamo»
Matteo Salvini e Armando Siri (Ansa)
Matteo Salvini, sentite le categorie più colpite, schiera il partito contro il provvedimento da 3,6 miliardi: «La Corea ne ha stanziati 25, qui invece rischiano di saltare 200.000 occupati e 23.000 imprese».È la Lega a rompere il muro dell'ipocrisia, e a farlo dopo un lungo incontro di Matteo Salvini e della sua squadra economica con le categorie produttive, a cui ha fatto seguito una conferenza stampa del leader leghista: «Se il decreto arriva in Aula con questi soldi e queste lacune, non lo votiamo, non votiamo una cosa che non serve al Paese», ha detto l'ex titolare del Viminale. E non c'è solo l'ordine di grandezza inadeguato (i 3,6 miliardi stanziati) nel mirino di Salvini, ma l'impianto complessivo della risposta del governo: «È una presa in giro la sospensione dei pagamenti delle tasse per due mesi, con l'impegno a pagare tutto ad aprile: le categorie chiedono che si arrivi almeno fino a tutto il 2020. Sui primi interventi del governo, gli aggettivi che arrivano dal mondo produttivo sono: “insufficiente, timido, frammentario". Mentre la Corea investe 25 miliardi, è chiaro che 3 miliardi non servono neanche a un decimo dell'economia a rischio. Ci sono 23.000 aziende a rischio e 100.000 posti di lavoro pronti a saltare, e con i 100.000 a rischio nella cooperazione siamo a 200.000». Quanto alle proposte della Lega, il pacchetto è ambizioso: «Esonero di tutti i pagamenti dalla zona rossa - e non solo sospensione - per tutto il 2020, cassa integrazione, rimozione del codice degli appalti, sospensione di Isa e studi di settore, sospensione dei versamenti Iva, pagamento immediato dei debiti della Pa, sospensione dell'Irap».Quanto a Fi e Fdi, non hanno a loro volta sciolto la riserva su come voteranno, ma attendono di capire se le loro proposte (ieri Fi ha illustrato le sue) saranno raccolte dal governo, che ieri sera ha ricevuto a Palazzo Chigi i capigruppo delle opposizioni. Vediamo ora in concreto quello che potrebbe accadere. Il governo deve portare in Parlamento (nella forma di una risoluzione) la richiesta di deroga ai saldi di finanza pubblica originariamente fissati per quest'anno: anche il piccolo margine dello 0,2% di Pil (i 3,6 miliardi, appunto) richiede una votazione a maggioranza assoluta.Dopo di che (c'è ancora incertezza sul quando: giovedì o venerdì, oppure la prossima settimana), il Consiglio dei ministri potrebbe riunirsi per il varo di uno o più provvedimenti. È infatti possibile che diverse misure restino separate, o invece convergano in un unico decreto. I tre pacchetti in via di confezionamento al Mef sono certi, per quanto basati su risorse risicatissime: indennizzi (credito d'imposta per chi abbia perso il 25% del fatturato), rafforzamento di cassa integrazione e altri ammortizzatori, misure a sostegno del sistema sanitario. Ma c'è anche un lavoro del ministero delle Infrastrutture, nella direzione di una velocizzazione delle opere pubbliche (si parla di «modello Genova», ma naturalmente occorrerà vedere come verrà declinato nel testo). E infine c'è un pacchetto del ministero dello Sviluppo: sgravi per le imprese che riporteranno la produzione in Italia (l'Ires potrebbe scendere fino al 12 o al 10% per 5 anni), ampliamento di ecobonus e incentivi 4.0. Ma, come sempre, il problema non è quello dei «titoli» del tema, bensì quello del loro «svolgimento»: con risorse così scarse, si tratta più che altro di schede buone per i tg Rai pronti a far grancassa ai giallorossi. E il vero interrogativo resta quello dei rapporti tra Roma e Bruxelles: possibile che, essendo l'emergenza anche economica deflagrata da almeno due settimane, il governo non sia riuscito a strappare più margini dalla Commissione Ue? E allora di che hanno parlato?Da questo punto di vista, sarebbe serio prendere in esame il piano prospettato ieri alla Verità da Guido Guidesi, il deputato responsabile per le attività produttive della Lega, ora in quarantena a Codogno: zona gialla e zona rossa diventino zone economiche speciali (cioè siano per il futuro titolari di un regime di favor fiscale e burocratico che le renda più attrattive), e potente detassazione degli straordinari, in modo che alla ripresa l'incentivo sia tale da recuperare presto la produttività perduta.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)