2019-09-17
La Juve si ribella ai suoi capi ultrà bagarini
Per la Procura, i leader della curva Sud pretendevano dalla società cimeli e biglietti da rivendere abusivamente dietro la minaccia di far multare la squadra coi «buu» ai giocatori neri. La denuncia è partita dal club. Si temono reazioni, a rischio il match col Verona.Il caro biglietti e il ritorno di Leo Bonucci, calciatore non gradito, erano semplici appigli per contestare la società. In realtà dietro agli striscioni, ai pestaggi in curva e ai cori razzisti c'era un sistema criminale che la Procura di Torino definisce «un'associazione a delinquere». Ad Alberto Pairetto, funzionario della Juventus che si occupa delle relazioni con la tifoseria ma più conosciuto per essere il figlio dell'ex designatore arbitrale, dissero che si sarebbe tornati «ai vecchi metodi». Ma niente gambizzazioni. Il tifo criminale 2.0 sa come tenere in fibrillazione la società: «Allora non scherzate troppo se siete quotati in borsa». A parlare è Salvatore Cava, il numero due dei Drughi. La telefonata è stata intercettata dagli investigatori della Digos che da tempo indagano sul giro di biglietti ceduti dalla società ai tifosi e poi rivenduti dai bagarini con ricarichi impressionanti (un caso collegato alla riesumazione di Raffaello Bucci, che dei Drughi, prima di finire giù da un viadotto per cause che i magistrati stanno cercando di accertare, era il leader). Il gioco, per i capi ultrà, valeva la candela: c'è chi ha riferito che un biglietto per la partita di Champions a Berlino era stato rivenduto a 1.800 euro. Dopo l'inchiesta Alto Piemonte, che ha ricostruito gli interessi della 'ndrangheta nella gestione della curva Sud dello Juventus stadium, e con l'interruzione di alcuni privilegi concessi ai gruppi della Curva Scirea, i capi ultrà avevano reagito con una strategia che gli investigatori non esitano a definire «criminale» per tentare di ripristinare quei vantaggi e per riaffermare la posizione di forza che in passato avevano nei confronti del club presieduto da Andrea Agnelli. E, così, Drughi, Tradizione antichi valori, Viking e Nucleo 1985, dopo la denuncia della società zebrata, sono finiti sotto inchiesta. Secondo la Procura di Torino ricattavano la Vecchia signora. «Last Banner» è stata battezzata l'indagine che ha decapitato la curva bianconera. Sono scattate le manette per il capo assoluto dei Drughi, Dino Mocciola, già finito in carcere all'inizio degli anni Novanta per aver ucciso durante una rapina un carabiniere e considerato uno dei responsabili delle infiltrazioni della 'ndrangheta in curva, per il suo ex braccio destro Salvatore Cava, per il leader dei Tradizione, Umberto Toia, per Luca Pavarino, Sergio Genre e Domenico Scarano. Per altri quattro ultrà, Fabio Trinchero, Christian Fasoli, Roberto Drago e per un altro volto storico del tifo juventino, Beppe Franzo, presidente dell'associazione Quelli di via Filadelfia, sono stati disposti gli arresti domiciliari. Obbligo di dimora invece per Massimo Toia e Massimo Corrado Vitale. Gli ultrà si sentivano così forti da poter mandare dei messaggi in stile Gomorra, tramite Pairetto, addirittura al presidente Agnelli: «Puoi andare a dirglielo che noi ci ricordiamo tutto di quando lui, D'Angelo e Marotta hanno incontrato la famiglia Dominello a Napoli e che quindi per questo saremo noi a chiamare Report così vi rompiamo il culo». La conversazione avviene in disparte. E a Pairetto dicono anche di lasciare il telefono in auto. La seconda parte del messaggio è da brividi: «Ricordati che quelli che sono in carcere non vedono l'ora di confermare quello che noi diremo». Parola di Mocciola, Genre e Scarano. L'uomo di cui parlano è Rocco Dominello, indicato dagli investigatori come un esponente della cosca Pesce di Rosarno. È l'uomo di cui parlò il compianto Bucci ai pm prima di passare a miglior vita. E da allora quel «compromesso» cercato dalla società per calmare i tifosi è costato molto caro. «I gruppi», ha spiegato agli investigatori Alessandro D'Angelo, security manager della Juve, «erano in condizione di procurare gravi danni alla società con cori a sfondo razzista». Non solo: gli ultrà criminali erano pronti a inscenare proteste davanti ai cancelli, ad accendere fumogeni durante le partite e a esporre striscioni con slogan del tipo «Juventus peggio di una Ong». I capi ultrà sono riusciti anche a evitare che i tifosi da curva partecipassero alla presentazione di Cristiano Ronaldo. La richiesta, in cambio di una tifoseria tranquilla, era questa: 25 biglietti gratuiti a partita per ogni gruppo, un borsone con materiale sportivo, inviti alle feste istituzionali delle società. E in più l'attività degli «striscionisti», così venivano chiamati nelle intercettazioni i ragazzi che prima della partita piazzavano gli striscioni per la coreografia, doveva essere pagata, almeno con dei biglietti gratuiti. La riduzione delle agevolazioni, però, ha spiegato Pairetto alla Digos, è stata progressiva, «perché non ci trovavamo di fronte a dei tifosi normali, ma a dei delinquenti pericolosi». E infatti gli ultrà criminali avevano già mostrato i muscoli. Le ritorsioni sono costate alla Juve due giornate di chiusura della curva Sud, 10.000 euro di multa per la partita col Napoli, e 15.000 per quella con la Spal, più una causa civile promossa dai 160 abbonati che a causa della chiusura della curva non sono potuti entrare allo stadio. Durante la partita con il Napoli, ad esempio, era scattato questo coro: «Napoli merda, Napoli colera, sei la vergogna dell'Italia intera». Gli ultrà hanno completato lo scherzetto con gli insulti razzisti a Kalidou Koulibaly. E al no definitivo da parte della società, la reazione è stata immediata, uno striscione appeso vicino allo stadio della Juve con questo messaggio: «La curva Sud è morta». Ma solo per gli sporchi affari dei suoi capi ultrà.Il blitz, certo, metterà i facinorosi sul piede di guerra. È infatti a rischio la partita di sabato prossimo contro il Verona. Il questore ha ammesso: «Sono prevedibili reazioni».
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.