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2021-05-16
La Juve batte l’Inter in una tonnara e resta aggrappata alla Champions
(Jonathan Moscrop/Getty Images)
Forse non è un caso che Juventus-Inter, derby d'Italia infuocato come tutti gli incontri di cartello, si sia giocato il 15 maggio, data di nascita dello scrittore russo Bulgakov, quello che scrisse Il maestro e Margherita, raccontando le gesta del diavolo mentre crea scompiglio sulla Terra. Nell'incontro tra bianconeri e nerazzurri in molti si attendevano il colpo di scena sulfureo. La compagine di Andrea Pirlo doveva vincere a ogni costo per restare aggrappata all'ultimo treno della Champions League e dare senso a una stagione a rischio deragliamento. I nerazzurri, con lo scudetto già in tasca, non vedevano l'ora di mettere la tremarella agli arcinemici di sempre, con Antonio Conte pronto a digrignare il dente avvelenato nei confronti dell'ex squadra del cuore. Nel mezzo, il plauso per la brigata atalantina di Gianpiero Gasperini. Tarantolata, micidiale, senza sovrastrutture e obblighi di blasone, ne ha rifilati quattro al Genoa (3-4 il risultato a Marassi), centrando la qualificazione alla massima competizione europea per il terzo anno consecutivo e cullando il sogno di mettere in bacheca la Coppa Italia, in vista della finale di mercoledì prossimo proprio contro la Vecchia Signora. La Juve è chiamata invece a sfoderare il fascino irresistibile degli ultimi nove anni per concretizzare l'impresa seduttiva: il 3-2 finale ne compatta gli orizzonti per la conquista del quarto posto e la autorizza a sperare nel miracolo sportivo inaspettato. Mister Pirlo conferma le anticipazioni della vigilia: Chiellini al centro della difesa assieme a De Ligt, a centrocampo Bentancur affianca Rabiot, Arthur si accomoda in panchina, fasce affidate a Cuadrado e Chiesa, in avanti CR7 e Kulusevski, con Morata e Dybala pronti a entrare a partita in corso. Dal canto suo, Conte ripropone i titolari della cavalcata di stagione: De Vrij torna in difesa, a centrocampo Brozovic, Barella ed Eriksen, con Hakimi e Darmian sulle fasce, la coppia di arieti Lukaku e Lautaro Martinez incaricata di dar fuoco alle polveri offensive.
L'occasione per l'Inter era ghiotta. Alla luce del 2-0 dell'andata, avrebbe potuto vincere due partite contro la Juventus in Serie A. Non accadeva dalla stagione 2003/04, quando in panchina sedeva Alberto Zaccheroni. Anche per queste premesse, il nervosismo nei primi minuti era lampante. Ammonizione per Kulusevski al 13°, brutta entrata su Hakimi, giallo per Bentancur per fallo tattico su Lautaro, contatto rabbioso in area interista tra Darmian e Chiellini. L'arbitro Calvarese viene richiamato dal Var e decreta il rigore per i bianconeri, con ammonizione per Darmian. Cristiano Ronaldo si incarica del penalty, tira senza la consueta sicurezza, il portiere Handanovic intuisce, respinge, ma il portoghese non fa sconti e ribadisce in rete al secondo tentativo. Vantaggio Juve. Ma le pungolate nerborute non si arrestano. In un capovolgimento di fronte, in piena area della Juventus, De Ligt rifila un pestone a Lautaro Martinez. Siamo al trentaquattresimo. Intervento del Var che sancisce l'ennesimo tiro dal dischetto. Se ne prende carico lo specialista Lukaku, e affidare un rigore a lui è più sicuro che infilare un lingotto d'oro a Fort Knox. Szczesny spiazzato e pareggio per la compagine di Conte. Tre i minuti di recupero prima del fischio dell'intervallo, e la Juventus ritrova quel carattere che sembrava smarrito da diverse giornate. Kulusevski si inventa un cross, il pallone rimpalla sul difensore De Vrij, Cuadrado si avventa rapace e segna il gol del 2-1 con rimpallo sfortunato su Eriksen. Nel secondo tempo, i neocampioni d'Italia tentano di mischiare le carte inserendo Ivan Perisic, votato all'attacco e al guizzo dell'invenzione repentina, al posto di Matteo Darmian. Ma sono ancora i nervi tesi a farla da padrone. Rodrigo Bentancur interviene in maniera irregolare su Lukaku e si becca il secondo cartellino giallo. Le proteste dalla panchina fioccano, inizalmente Calvarese non pareva intenzionato a sanzionare l'intervento, poi cambia idea. Siamo al minuto 55, la Juventus è in dieci e Pirlo decide di coprirsi inserendo McKennie al posto della punta Kulusevski. Inizia un assedio interista destinato a far breccia. Eriksen scalda le mani al numero uno bianconero con una punizione insidiosa, De Ligt chiude in spaccata su cross di Perisic, Lautaro sfiora il gol da cineteca in rovesciata. Esce CR7, al suo posto spazio per Alvaro Morata. Il campione portoghese accetta il cambio senza battere ciglio. Ha speso parecchie energie e la benzina pare contata. Si approda agli ultimi dieci minuti, il neo entrato Vecino mette alla prova i riflessi di Szczesny, poi Barella crossa in area, la palla colpisce Chiellini ed entra in porta. Sulle prime Calvarese ravvisa una punizione a favore della Juventus, ma dopo un consulto col Var assegna la rete all'Inter. Il pareggio sembra gettare l'ombra orrorifica definitiva sulle speranze sabaude. Ma al minuto 86 accade quello che i tifosi bianconeri sperano. Contatto tra Perisic e Cuadrado in area nerazzurra, un altro rigore. Con CR7 sostituito, il tiratore designato è proprio Cuadrado. La conclusione è una sassata che gela Handanovic: 3-2 e tre punti che potrebbero cambiare il destino di mister Andrea Pirlo. Nessuno ha giocato con il freno a mano tirato. Non a caso, nel finale, il direttore di gara ha estratto altri cartellini. Doppio giallo a Brozovic, la prima volta per proteste, la seconda per un fallo tattico, ammonizione per l'eroe di serata, Cuadrado, dopo un'entrata su Barella. Il triplice fischio conclusivo arriva dopo 94 minuti di intensità senza quartiere e somiglia a un campanello d'allarme per Milan e Napoli, rivali della Juventus nel contendersi i due posti restanti per la prossima Champions League. I rossoneri di Stefano Pioli sono chiamati a ripetere la convincente prova di settimana scorsa contro il Torino misurandosi con il Cagliari, il Napoli di Gattuso farà visita alla Fiorentina, già salva e priva di ulteriori stimoli. Chi si aspettava un finale di stagione sulfureo è accontentato.
Zlatan non ce la fa: niente Europei
Zlatan non ce la fa. La notizia è arrivata da Stoccolma ieri in mattinata: sul palcoscenico dell'Europeo di questa estate, fra tante stelle non splenderà quella di Ibrahimovic. La lesione al ginocchio sinistro è troppo rognosa per poter ricostruire in tempo una condizione adeguata. La federazione del Paese scandinavo, dopo aver annunciato in pompa magna, appena qualche settimana fa, il rientro fra i ranghi del più forte giocatore svedese di ogni tempo (che era uscito non senza polemiche dal giro della nazionale), ha dovuto prendere atto della dura realtà: «Oggi Ibrahimovic ha informato il ct Janne Andersson che il suo infortunio gli impedirà di partecipare ai prossimi Europei di quest'estate. Zlatan, speriamo di rivederti presto in campo». La stessa cosa che sperano i tifosi del Milan, già rassegnati a fare a meno del fuoriclasse per le ultime partite del campionato, decisive per centrare l'obiettivo della qualificazione alla prossima Champions League.
Non è solo il ginocchio del bomber ad aver fatto crac, ma anche le certezze del circolo rossonero. Giusto qualche settimana fa c'era stata la fumata bianca sul rinnovo del contratto di Ibra per un'altra stagione. Mino Raiola, agente del calciatore, ha strappato 7 milioni di ingaggio per un atleta che in ottobre taglierà il traguardo dei 40 anni. Sono riemersi gli spettri di febbraio, quando il centravanti era ancora infortunato e si era assentato da Milano per prendere parte al festival di Sanremo, suscitando più di qualche perplessità sulla sua condotta fra gli addetti ai lavori. Fra le tante bizzarrie di quella bizzarra settimana, non si può dimenticare il passaggio in motocicletta scroccato a uno sconosciuto per sgusciare via da un ingorgo in autostrada e presentarsi per tempo all'Ariston accanto ad Amadeus. Dall'altra parte ci sono 15 reti in campionato e una innata attitudine da leader, che hanno issato il Milan in zone di classifica che gli competono ma che da anni risultavano inavvicinabili. Con Ibrahimovic in rosa la squadra di Pioli ha performato egregiamente, benedetta dai gol di Zlatan ma soprattutto galvanizzata dalla sua presenza in spogliatoio. La stella scandinava con la propria luce ha illuminato e fatto sbocciare definitivamente talenti a metà del guado come Kessié e Calhanoglu, ha incanalato energie dirompenti come quelle di Theo Hernandez, spinto oltre i propri limiti gregari di sostanza come Davide Calabria e stimolato la crescita di campioncini come Hauge e Brahim Diaz. Tutta gente che, nel momento del bisogno, ha risposto presente e contribuito al successo. Dall'altra parte però c'è l'età che avanza, un fisico coltivato con professionalità maniacale ma ormai vecchio 40 primavere. Da una parte Ibrahimovic si risparmierà le fatiche di una competizione top da disputare in piena estate, in virtù di questo infortunio, e dopo le sei settimane di stop preventivate dallo staff medico potrà concentrarsi sul rientro con l'obiettivo di essere in bolla per agosto, quando riparitrà la Serie A.
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Finisce 3-2 a Torino dopo una lotta senza esclusione di colpi e una girandola di decisioni arbitrali contestate. Un espulso a testa, un rigore per l'Inter e due per i padroni di casa, che grazie a Juan Cuadrado vedono l'Europa.La federazione della Svezia annuncia il forfait di Zlatan Ibrahimovic per l'infortunio al ginocchio. E il Milan si interroga sulla tenuta del quarantenne per l'anno prossimo.Lo speciale contiene due articoli. Forse non è un caso che Juventus-Inter, derby d'Italia infuocato come tutti gli incontri di cartello, si sia giocato il 15 maggio, data di nascita dello scrittore russo Bulgakov, quello che scrisse Il maestro e Margherita, raccontando le gesta del diavolo mentre crea scompiglio sulla Terra. Nell'incontro tra bianconeri e nerazzurri in molti si attendevano il colpo di scena sulfureo. La compagine di Andrea Pirlo doveva vincere a ogni costo per restare aggrappata all'ultimo treno della Champions League e dare senso a una stagione a rischio deragliamento. I nerazzurri, con lo scudetto già in tasca, non vedevano l'ora di mettere la tremarella agli arcinemici di sempre, con Antonio Conte pronto a digrignare il dente avvelenato nei confronti dell'ex squadra del cuore. Nel mezzo, il plauso per la brigata atalantina di Gianpiero Gasperini. Tarantolata, micidiale, senza sovrastrutture e obblighi di blasone, ne ha rifilati quattro al Genoa (3-4 il risultato a Marassi), centrando la qualificazione alla massima competizione europea per il terzo anno consecutivo e cullando il sogno di mettere in bacheca la Coppa Italia, in vista della finale di mercoledì prossimo proprio contro la Vecchia Signora. La Juve è chiamata invece a sfoderare il fascino irresistibile degli ultimi nove anni per concretizzare l'impresa seduttiva: il 3-2 finale ne compatta gli orizzonti per la conquista del quarto posto e la autorizza a sperare nel miracolo sportivo inaspettato. Mister Pirlo conferma le anticipazioni della vigilia: Chiellini al centro della difesa assieme a De Ligt, a centrocampo Bentancur affianca Rabiot, Arthur si accomoda in panchina, fasce affidate a Cuadrado e Chiesa, in avanti CR7 e Kulusevski, con Morata e Dybala pronti a entrare a partita in corso. Dal canto suo, Conte ripropone i titolari della cavalcata di stagione: De Vrij torna in difesa, a centrocampo Brozovic, Barella ed Eriksen, con Hakimi e Darmian sulle fasce, la coppia di arieti Lukaku e Lautaro Martinez incaricata di dar fuoco alle polveri offensive. L'occasione per l'Inter era ghiotta. Alla luce del 2-0 dell'andata, avrebbe potuto vincere due partite contro la Juventus in Serie A. Non accadeva dalla stagione 2003/04, quando in panchina sedeva Alberto Zaccheroni. Anche per queste premesse, il nervosismo nei primi minuti era lampante. Ammonizione per Kulusevski al 13°, brutta entrata su Hakimi, giallo per Bentancur per fallo tattico su Lautaro, contatto rabbioso in area interista tra Darmian e Chiellini. L'arbitro Calvarese viene richiamato dal Var e decreta il rigore per i bianconeri, con ammonizione per Darmian. Cristiano Ronaldo si incarica del penalty, tira senza la consueta sicurezza, il portiere Handanovic intuisce, respinge, ma il portoghese non fa sconti e ribadisce in rete al secondo tentativo. Vantaggio Juve. Ma le pungolate nerborute non si arrestano. In un capovolgimento di fronte, in piena area della Juventus, De Ligt rifila un pestone a Lautaro Martinez. Siamo al trentaquattresimo. Intervento del Var che sancisce l'ennesimo tiro dal dischetto. Se ne prende carico lo specialista Lukaku, e affidare un rigore a lui è più sicuro che infilare un lingotto d'oro a Fort Knox. Szczesny spiazzato e pareggio per la compagine di Conte. Tre i minuti di recupero prima del fischio dell'intervallo, e la Juventus ritrova quel carattere che sembrava smarrito da diverse giornate. Kulusevski si inventa un cross, il pallone rimpalla sul difensore De Vrij, Cuadrado si avventa rapace e segna il gol del 2-1 con rimpallo sfortunato su Eriksen. Nel secondo tempo, i neocampioni d'Italia tentano di mischiare le carte inserendo Ivan Perisic, votato all'attacco e al guizzo dell'invenzione repentina, al posto di Matteo Darmian. Ma sono ancora i nervi tesi a farla da padrone. Rodrigo Bentancur interviene in maniera irregolare su Lukaku e si becca il secondo cartellino giallo. Le proteste dalla panchina fioccano, inizalmente Calvarese non pareva intenzionato a sanzionare l'intervento, poi cambia idea. Siamo al minuto 55, la Juventus è in dieci e Pirlo decide di coprirsi inserendo McKennie al posto della punta Kulusevski. Inizia un assedio interista destinato a far breccia. Eriksen scalda le mani al numero uno bianconero con una punizione insidiosa, De Ligt chiude in spaccata su cross di Perisic, Lautaro sfiora il gol da cineteca in rovesciata. Esce CR7, al suo posto spazio per Alvaro Morata. Il campione portoghese accetta il cambio senza battere ciglio. Ha speso parecchie energie e la benzina pare contata. Si approda agli ultimi dieci minuti, il neo entrato Vecino mette alla prova i riflessi di Szczesny, poi Barella crossa in area, la palla colpisce Chiellini ed entra in porta. Sulle prime Calvarese ravvisa una punizione a favore della Juventus, ma dopo un consulto col Var assegna la rete all'Inter. Il pareggio sembra gettare l'ombra orrorifica definitiva sulle speranze sabaude. Ma al minuto 86 accade quello che i tifosi bianconeri sperano. Contatto tra Perisic e Cuadrado in area nerazzurra, un altro rigore. Con CR7 sostituito, il tiratore designato è proprio Cuadrado. La conclusione è una sassata che gela Handanovic: 3-2 e tre punti che potrebbero cambiare il destino di mister Andrea Pirlo. Nessuno ha giocato con il freno a mano tirato. Non a caso, nel finale, il direttore di gara ha estratto altri cartellini. Doppio giallo a Brozovic, la prima volta per proteste, la seconda per un fallo tattico, ammonizione per l'eroe di serata, Cuadrado, dopo un'entrata su Barella. Il triplice fischio conclusivo arriva dopo 94 minuti di intensità senza quartiere e somiglia a un campanello d'allarme per Milan e Napoli, rivali della Juventus nel contendersi i due posti restanti per la prossima Champions League. I rossoneri di Stefano Pioli sono chiamati a ripetere la convincente prova di settimana scorsa contro il Torino misurandosi con il Cagliari, il Napoli di Gattuso farà visita alla Fiorentina, già salva e priva di ulteriori stimoli. Chi si aspettava un finale di stagione sulfureo è accontentato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-juve-batte-linter-in-una-tonnara-e-resta-aggrappata-alla-champions-2653000603.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zlatan-non-ce-la-fa-niente-europei" data-post-id="2653000603" data-published-at="1621106078" data-use-pagination="False"> Zlatan non ce la fa: niente Europei Zlatan non ce la fa. La notizia è arrivata da Stoccolma ieri in mattinata: sul palcoscenico dell'Europeo di questa estate, fra tante stelle non splenderà quella di Ibrahimovic. La lesione al ginocchio sinistro è troppo rognosa per poter ricostruire in tempo una condizione adeguata. La federazione del Paese scandinavo, dopo aver annunciato in pompa magna, appena qualche settimana fa, il rientro fra i ranghi del più forte giocatore svedese di ogni tempo (che era uscito non senza polemiche dal giro della nazionale), ha dovuto prendere atto della dura realtà: «Oggi Ibrahimovic ha informato il ct Janne Andersson che il suo infortunio gli impedirà di partecipare ai prossimi Europei di quest'estate. Zlatan, speriamo di rivederti presto in campo». La stessa cosa che sperano i tifosi del Milan, già rassegnati a fare a meno del fuoriclasse per le ultime partite del campionato, decisive per centrare l'obiettivo della qualificazione alla prossima Champions League. Non è solo il ginocchio del bomber ad aver fatto crac, ma anche le certezze del circolo rossonero. Giusto qualche settimana fa c'era stata la fumata bianca sul rinnovo del contratto di Ibra per un'altra stagione. Mino Raiola, agente del calciatore, ha strappato 7 milioni di ingaggio per un atleta che in ottobre taglierà il traguardo dei 40 anni. Sono riemersi gli spettri di febbraio, quando il centravanti era ancora infortunato e si era assentato da Milano per prendere parte al festival di Sanremo, suscitando più di qualche perplessità sulla sua condotta fra gli addetti ai lavori. Fra le tante bizzarrie di quella bizzarra settimana, non si può dimenticare il passaggio in motocicletta scroccato a uno sconosciuto per sgusciare via da un ingorgo in autostrada e presentarsi per tempo all'Ariston accanto ad Amadeus. Dall'altra parte ci sono 15 reti in campionato e una innata attitudine da leader, che hanno issato il Milan in zone di classifica che gli competono ma che da anni risultavano inavvicinabili. Con Ibrahimovic in rosa la squadra di Pioli ha performato egregiamente, benedetta dai gol di Zlatan ma soprattutto galvanizzata dalla sua presenza in spogliatoio. La stella scandinava con la propria luce ha illuminato e fatto sbocciare definitivamente talenti a metà del guado come Kessié e Calhanoglu, ha incanalato energie dirompenti come quelle di Theo Hernandez, spinto oltre i propri limiti gregari di sostanza come Davide Calabria e stimolato la crescita di campioncini come Hauge e Brahim Diaz. Tutta gente che, nel momento del bisogno, ha risposto presente e contribuito al successo. Dall'altra parte però c'è l'età che avanza, un fisico coltivato con professionalità maniacale ma ormai vecchio 40 primavere. Da una parte Ibrahimovic si risparmierà le fatiche di una competizione top da disputare in piena estate, in virtù di questo infortunio, e dopo le sei settimane di stop preventivate dallo staff medico potrà concentrarsi sul rientro con l'obiettivo di essere in bolla per agosto, quando riparitrà la Serie A.
Da domani in Arabia Saudita al via la final four. A inaugurare il torneo saranno Milan e Napoli, in campo giovedì (ore 20 italiane) per la prima semifinale. Venerdì tocca a Inter e Bologna contendersi un posto nella finalissima di lunedì 22 dicembre.
Il primo trofeo della stagione si assegna ancora una volta lontano dall’Italia. Da domani la Supercoppa entra nel vivo a Riyadh con la formula della final four: giovedì la semifinale tra Milan e Napoli, venerdì quella tra Inter e Bologna, lunedì 22 dicembre la finale che chiuderà il programma e consegnerà il titolo.
Riyadh si prepara ad accogliere di nuovo la Supercoppa italiana,. Tre partite secche, quattro squadre e una posta che va oltre il campo: Napoli, Inter, Milan e Bologna portano in Arabia Saudita storie diverse, ambizioni opposte e un equilibrio che negli ultimi anni ha reso la competizione meno scontata di quanto dicano le statistiche.
Il Napoli arriva da campione d’Italia, il Bologna da vincitore della Coppa Italia, l’Inter da seconda forza del campionato e il Milan da detentore del trofeo. È soltanto la terza edizione con il formato a quattro, ma è già sufficiente per raccontare una Supercoppa che ha cambiato volto: nelle ultime due stagioni hanno vinto squadre che non partivano con lo scudetto cucito sul petto, un’inversione rispetto a una tradizione che per decenni aveva premiato quasi sempre i campioni d’Italia.
Proprio il Milan è il simbolo di questo ribaltamento. Campioni in carica, i rossoneri hanno spezzato una serie di finali perse all’estero e hanno riscritto la storia della manifestazione vincendo prima da finalista di Coppa Italia e poi da seconda classificata in campionato. In Arabia Saudita tornano con l’obiettivo di agganciare la Juventus in vetta all’albo d’oro, dove oggi i bianconeri comandano con nove successi, uno in più di Inter e Milan.
Il primo incrocio, giovedì 18 dicembre, è contro il Napoli. Gli azzurri inseguono invece un ritorno al passato: l’ultima Supercoppa vinta risale al 2014, una finale rimasta negli archivi per durata e tensione. Da allora, tentativi falliti e una presenza costante tra semifinali e finali mancate. Per la squadra di Antonio Conte, il confronto con il Milan è anche un passaggio chiave per evitare una prima volta storica: mai la squadra campione d’Italia in carica è rimasta fuori dall’atto conclusivo della competizione.
Dall’altra parte del tabellone, Inter e Bologna. I nerazzurri sono ormai una presenza abituale nella Supercoppa a quattro, protagonisti nelle ultime due edizioni e detentori di record individuali che raccontano la continuità del loro percorso. Il Bologna, invece, vivrà un esordio assoluto: sarà il tredicesimo club a partecipare alla manifestazione, chiamato subito a misurarsi con una dimensione internazionale che rappresenta una novità anche simbolica per il club. Negli ultimi anni la Supercoppa si è decisa spesso senza supplementari e rigori, ma resta una competizione capace di ribaltare copioni già scritti. Lo dimostrano le rimonte, i gol decisivi negli ultimi minuti e una storia che, pur ricca di record individuali e panchine vincenti, continua a sorprendere.
Fuori dal campo, la tappa di Riyadh diventa anche una vetrina per il calcio italiano. La Lega Serie A ha annunciato iniziative dedicate all’inclusione di tifosi con disabilità sensoriali, che accompagneranno tutte le partite del torneo. Da un lato, l’utilizzo di una mappa tattile interattiva permetterà a tifosi ciechi e ipovedenti di seguire l’andamento della gara attraverso il tatto; dall’altro, magliette sensoriali trasformeranno i suoni dello stadio in vibrazioni per tifosi sordi. Un progetto che coinvolgerà complessivamente trenta spettatori per ciascuna iniziativa, inserendosi nel programma ufficiale della competizione.
A rappresentare visivamente la Supercoppa sarà invece il nuovo Trophy travel case, realizzato dal brand fiorentino Stefano Ricci. Un baule pensato per accompagnare il trofeo nelle tappe internazionali, simbolo di un’italianità che la Serie A continua a esportare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, dove la Supercoppa si gioca per il quarto anno consecutivo.
Il calcio d’inizio è fissato. A Riyadh non si gioca soltanto una coppa, ma un racconto che intreccia campo, storia recente e immagine del calcio italiano nel mondo. E, come spesso accade in Supercoppa, i numeri potrebbero non bastare per spiegare come andrà a finire.
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(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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