2018-05-04
Martina cede e il Bullo tiene la presa sul partito
Il segretario reggente in camicia bianca, stile giovane leader. Il segretario uscente seduto in platea, di spalle, come un semplice militante. Alla fine la direzione del Pd si chiude prima di iniziare, quando in una lunga riunione preparatoria tra capicorrente, al secondo piano del Nazareno, prima dell'inizio dei lavori, solo un attimo prima di farsi molto male, o di contarsi a muso duro, si trova la quadra del difficile compromesso tra le anime in conflitto del Nazareno: decidere di non decidere, finirla pari e patta, un ennesimo grande voto unanimista vecchio stile Balena bianca.«Per noi il tema», dice Maurizio Martina nella sua relazione, dopo questa intesa, «non è mai stato votare Matteo Salvini o Luigi Di Maio premier. Ma per noi il tema», aggiunge, «non potrà mai essere nemmeno sostenere un qualsivoglia percorso con Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni come soci di riferimento. Tanto più impossibile chiaramente per noi un governo a trazione leghista». Tanto tuonò che piovve, e così il campo di battaglia che tutti alla vigilia immaginavano incandescente e affollato di eserciti in lotta viene diviso con la carta millimetrata di un accordo salomonico, con il bilancino avaro degli equilibri contrattati. Martina incassa il voto che desiderava, ottiene la fiducia «fino all'assemblea nazionale», esattamente come voleva. Ma Matteo Renzi ottiene di tarpargli le ali nella trattativa, esattamente come aveva chiesto, con un vincolo di mandato molto stringente. Le voci della vigilia parlavano di un redde rationem inevitabile, di un j'accuse del reggente e di una conta tra maggioranza e opposizione per disegnare la nuova mappa del potere.Nulla di tutto ciò: la macchina la guida Maurizio, ma la direzione la decide Matteo. Il «né né» della reciproca elisione diventa il punto di equilibrio, né con il M5s né con la Lega, dunque. E il grande calderone del Pd partorisce una posizione come indirettamente avvicina il paese al voto anticipato: perché è un corollario evidente di questo pronunciamento il fatto che se il Pd si tira fuori dai giochi, è ovvio che si chiude il principale dei due forni possibili (dopo che il primo aveva già serrato i battenti). Il resto è un dibattito di rancori a bassa intensità, amministrato come una terapia al metadone. Recrimina, per esempio, Andrea Orlando, ministro della Giustizia: «Se dopo che la delegazione apre, io chiudo da un'altra parte, io tolgo legittimazione politica a quella parte: non ho sventato un complotto». E aggiunge, anche lui pessimista: «Un governo è “di tutti" se ci stanno tutti. Ma credo sia difficile. Quindi», osserva il leader della minoranza, «prepariamoci al voto, consapevoli che una barca con due timoni non va da nessuna parte». E attacca Gianni Cuperlo, l'altro leader della minoranza: «Voglio dirlo qui: mettete un freno. Mettete un freno a una deriva della civiltà politica. Del linguaggio. La militanza è passione. Ma può diventare anche fanatismo. E il fanatismo è l'anticamera dello squadrismo. Che con la sinistra non ha nulla, ma proprio nulla a che fare».Denuncia il rischio di urne anticipate anche Francesco Boccia, numero due della corrente di Michele Emiliano: «La posizione dei renziani sul confronto con M5s», spiega, «porta al voto anticipato e paradossalmente Renzi asseconda la richiesta di Di Maio di voto immediato. Basta dirlo, e spero ne siate consapevoli, per poi assumervi la responsabilità di quest'altro passaggio sbagliato». Solidale con Martina, sia pure con qualche sfumatura c'è anche il ministro Carlo Calenda: «Complimenti a Maurizio per lavoro che sta facendo che è molto delicato. Il Pd deve tornare a essere forte, ne ha bisogno il Paese». Il resto è colore, folklore e prevedibilità. Il grande circo mediatico che tiene d'assedio i lavori (a porte chiuse), i cartelli «Renzi come Balotelli», le opposte fazioni, gli applausi a Martina, i quadri (rimossi) degli artisti situazionisti con Verdini e i dirigenti del Pd effigiati in stile raffaellita. poi filtri della polizia, turisti curiosi, i più delusi per la sconfitta elettorale che urlano contro i politici in arrivo. I super fan renziani che approfittano dell'occasione per difendere l'ex segretario con slogan e cori: «Mat-teo! Mat-teo!» Il voto unanime, a bene vedere copre tutto e sana tutto. Lascia l'illusione di un leader, e conserva senza strappi l'illusione del controllo di Renzi. Permette di perpetuare le Opa e i bluff incrociati. Voto unanime sulla relazione, con una illusione di solidità che stempera gli animi. Spiega Graziano Delrio, capogruppo alla Camera a fine giornata: «Abbiamo dato mandato al segretario reggente, non ci sono due plance di comando. Ma si rispetta il voto degli italiani e ci si mette a disposizione del presidente della Repubblica per quello che vorrà chiederci dopo le consultazioni». Poi, dopo una pausa: «Abbiamo lavorato tutti per una soluzione unitaria. Abbiamo fatto tutti un passo indietro - spiega il capogruppo - per fare tutti un passo avanti».Sembra il suggello sereno e definitivo dell'antica e rassicurante lingua democristiana. Tuttavia il reggente Martina può vantare - in cuor suo - di aver strappato almeno un vantaggio tattico. Se la situazione dovesse precipitare verso un voto anticipato in autunno, come sembra, lui rimarrà comunque incastrato sul ponte di comando. Infatti salterebbe la nomina del nuovo segretario, e a lui resterebbero in mano - in questo caso - l'onore e l'onore di firmare le liste e di condurre il partito al voto autunnale. Difficile immaginare, infatti, una eventuale manovra di destituzione a ridosso delle liste. Renzi, invece, può dire di aver evitato un muro contro duro che avrebbe dato un peso alla fronda - sempre più corposa - contro di lui. Si è affidato e si è fatto guidare dalle colombe, e può comunque dire che il «Lodo Fazio» (il suo contestato discorso tv nel blitz realizzato a Che tempo che fa) ha comunque dato la linea. Può bastare tutto questo per dire che qualcuno abbia vinto o perso? No. Il Pd resta ancora in equilibrio, tra il renzismo, il post-renzismo e l'anti renzismo. Un partito dilaniato e sospeso mentre il Quirinale suona la campana dell'ultimo giro.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)