2020-08-22
La gogna Covid scambia le vittime per untori
( Diego Puletto/Getty Images)
Prima erano i runner, adesso sono i giovani: la macchina della demonizzazione è sempre alla ricerca di nuove categorie da impallinare. La positività al tampone è diventata uno strumento di rivalsa sociale contro chi ha osato andare in vacanza. Debosciati e irresponsabili. Vanno in discoteca. Si dimenano, bevono, fumano. Incoscienti perdigiorno. Ma come gli è venuto in mente di svacanzare in Costa Smeralda? Sabbia bianca, mare cristallino, yacht a perdita d'occhio. E, a notte fonda, le feste selvagge del Billionaire. Se la sono proprio cercata. Ovvio che poi, tra questi imberbi viziatelli, fiocchino i tamponi positivi. Visto cosa succede a chi pensa soltanto allo spasso? Briatorini d'assalto s'accompagnano a biondine che se la tirano da influencer. Tutti nei locali più in voga a far serata. O magari bisboccia a bordo piscina. Peggio dei più selvaggi rave. Ma ora è arrivata l'inevitabile nemesi. Quarantena generale.Ecco, ci risiamo. Già agli albori della pandemia benpensanti, arrembanti e politicanti avevano trovato il perfetto capro espiatorio. Il popolo bue, indisciplinato e menefreghista. Lo esemplificavano quei perdigiorno dei runner: invece che stare a ca-sa a ingozzarsi, i podisti andavano nei parchi a spargere goccioline di virus su anziani e bambini. Criminali. Con i droni a rincorrerli, le guardie a pattugliare fazzoletti di verde e lo sceriffo campano, Vincenzo De Luca, pronto a dileggiare. «Vecchi cinghialoni da arrestare a vista». Si sono magnanimamente accontentati del divieto di sgambettata: gli untori in braghette corte si barrichino in casa. Fino a nuova ordinanza presidenziale. Adesso tocca ai vacanzieri senza pensieri. Screanzati avventori di locali notturni e feste serali. Già. Ma chi ha deciso di riaprire le discoteche? Il nostro pilatesco governo ha tollerato. E i gestori, ovviamente, ne hanno approfittato per non finire sul lastrico. Certo, qualcuno avrebbe dovuto vigilare. Invece nei luoghi di villeggiatura, soprattutto al Sud, hanno preferito soprassedere. La baraonda, per adesso, è scoppiata in Sardegna. Il governatore Christian Solinas, quello che chiedeva fantomatiche patenti sanitarie ai lombardi, adesso rintuzza ogni accusa. Ma l'isola, prima di trasformarsi nel paradiso perduto, è stata per settimane Covid free. Ma non nel senso che intendeva il presidente. Il virus, dalla Costa Rei alla Gallura, sembrava proprio non esistesse. L'app Sardegna sicura sembra una burletta. In spiaggia non c'è nessun controllo su distanze e assembramenti. Pochi supermercati misurano la temperatura agli avventori. I ristoratori non fanno troppe domande agli ospiti. E medici e pediatri evitano i tamponi. Non è che poi, magari, i lombardi restano nell'isola a passar la quarantena? Ma va così ovunque: dalla Costiera amalfitana al Salento. La colpa però è dei discotecari. E i peggiori sono proprio i benestanti. Passi l'agosto tra la Porto Cervo di Gianluca Vacchi e la Porto Rotondo del Cavaliere? Beh, sotto sotto il virus te lo meriti. Rivalsa sociale. Dagli all'untore. Con i giornaloni che s'accapigliano per rafforzare l'identikit del perfetto dissoluto. Ci sono anche gli eredi dei vip, ovviamente. Riccardo Carnevale, figliolo di Paola Perego. Accipicchia. Manfredi Alemanno, primogenito di Gianni, ex sindaco di Roma. Perbacco. L'anonimo rampollo della Roma bene, tornato a casa con l'aereo privato. Urca. Le combriccole si ritrovano nei covi di immoralità. Come il Country club o il Billionaire, costretto alla chiusura dopo un'ordinanza del sindaco di Arzachena, Roberto Ragnedda. Il locale del turpe Flavio Briatore dà lavoro a cento persone. Tutte finite in quarantena. I positivi al test sono già sei. E, in attesa di altri 57 tamponi, s'è scatenata la caccia al «vacanziere uno». Colui che, insomma, avrebbe contagiato altri ospiti. Alla memoria torna Mattia, il «paziente uno» di Codogno, l'inconsapevole diffusore degli albori. Stavolta, però, il cliente del Billionaire avrebbe sparso il virus mentre si dimenava follemente. Alla faccia di chi non poteva. Doppiamente colpevole. Ma i rampolli della Costa Smeralda non sono i soli a meritare pubblico ludibrio, in un incredibile ribaltamento che finisce per consegnare al «positivo», e in alcuni casi al malato, l'incredibile status di colpevole, di punito, e non di vittima. Che dire, allora, di quegli sconsiderati che affollano le isole sarde e spagnole? Adesso ci riportano indietro il Covid. Politici e virologi li hanno già stigmatizzati: «Casi d'importazione». Lanzichenecchi, insomma. Hanno penalizzato il turismo italiano. E ora bisogna pure caricarseli sul groppone. A partire dai calciatori positivi dopo uno scostumato viaggio a Ibiza. Ma come avranno fatto poi, pallonari e vitelloni, a rag-giungere questi paradisiaci lanzichenecchi? Hanno dovuto, in mimetica e con le strisce nere sotto gli occhi, strisciare agli imbarchi degli aeroporti per poi salire di soppiatto sui velivoli? Macché. C'era il via libera di scienziati e governo. Anzi è stato proprio Giuseppe Conte, assieme al premier spagnolo Pedro Sanchez, a chiedere già all'inizio dello scor-so giugno la riapertura delle frontiere. Ma adesso pure i turisti più esterofili sono costretti alla gogna. Quelli che rientrano da Malta, Croazia, Spagna e Grecia devono pure subire il caos dei tamponi ob-bligatori. Ben gli sta. Non potevano svagarsi a Capracotta?
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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