2022-04-10
La gazza amica dell’albero della speranza
Un grande e bernoccoluto frassino dal XVII secolo sopravvive a Moncenisio. Per nove anni ha avuto un rapporto speciale con Gregorius, un uccello raccolto e salvato da un prete. Si sono difesi a vicenda. Quando morì, la comunità gli fece il funerale.C’è un albero molto vecchio che sopravvive a pochi chilometri dal confine tra Italia e Francia. Un piccolo accrocchio di abitazioni si è innalzato ai lati di un ruscello, un fiato d’acqua. Queste case vennero costruite ai tempi in cui San Francesco si ritirava nei suoi boschi per pregare e piangere sotto il masso spicco a La Verna, gente dalla lontana bergamasca si riempirono le tasche di terra e vennero quassù per aprire la via alle miniere di ferro, e qualcuno vi dimenticherà l’anima, là sotto. Terminato lo sfruttamento dei giacimenti le case divennero ostelli per i viandanti e i pellegrini di passaggio lungo la Via Francigena, da qui i passi conducono all’abbazia di Novalesa e quindi a Torino. Agli inizi del XVII secolo venne costruita una chiesa, San Giorgio, di tra le case, e di fronte venne piantato, così si recita, un frassino, l’albero comune delle terre alte, in queste aree l’albero della speranza, le fronde servivano per alimentare in inverno le bestie di famiglia. In questi boschi se ne incontrano di alberi grossi testimoni ed eredi di un mondo contadino e sconfinato che oramai internet e le nuove generazioni hanno estinto. Di quel mondo fanno parte le storie di cui scriveva nei suoi romanzi Dino Buzzati, membro onorario di altre terre alte, nel bellunese, così come le possiamo recuperare sfogliando ad esempio Barnaba delle montagne o Il segreto del Bosco Vecchio. Di questo secondo romanzo Ermanno Olmi, regista che conosciamo grazie a tanti bei film - L’albero degli zoccoli, girato tra l’altro tra la mia gente, I cento chiodi, Il mestiere delle armi - ne trasse una personale lettura. Tra i protagonisti un inedito Paolo Villaggio drammatico e dimesso, nelle vesti del colonnello Sebastiano Procolo, oramai in pensione, che si ritrova a gestire una casa e le selve d’attorno, decidendo di abbattere il bosco vecchio, da secoli protetto da figure fiabesche, i geni, capaci di prendere le sembianze delle volpi, dei lupi, dei tassi quanto degli umani. Sua unica compagna di tempo è una gazza ladra che ama raccontare storie e leggere poesie, ogni tanto lo va a trovare e racconta. Mi ha sempre divertito questa situazione, e forse anche per questa minima eredità della fantasia le gazze mi sono, fin da bambino, risultate simpatiche. Oltre al fatto che sono sveglie, leste, curiose, anche audaci, talora, le gazze sono, tra gli uccelli, quelli che interagiscono maggiormente con noi umani. Altri uccelli possono fuggire o dipendere, ma le gazze è come se si sentissero nostre pari, come se potessimo, un giorno quasi dirci qualcosa, che non sia soltanto connesso all’astuzia o all’istinto. E questa mia opinione si basa anche sulla storia della gazza del Moncenisio, un uccello che ha vegliato le antiche fronde dell’albero più annoso dell’abitato torinese per nove anni. Non un record, in Inghilterra se ne registrò un esemplare vissuto per tutto il tempo della guerra mondiale, la seconda, tra il 1925 ed il 1947, quando venne ucciso per errore pare da un cacciatore. Altrimenti sarebbe vissuta più a lungo. Gregorius era un maschio di gazza, il prete lo aveva raccolto da un nido dopo un temporale di maggio. In genere gli uccelletti raccolti a terra non hanno speranza di sopravvivere, invece il prevòsto è riuscito a nutrirlo quanto è bastato per farlo crescere e poi, come talora capita a questi animali abbandonati e isolati, si è adattato ai comportamenti umani. Ha smesso di cercare la compagnia dei suoi simili e si è abituato a restare nei pressi della chiesa e delle case, individuando nell’albero antico la sua dimora, soprattutto per quanto concerne i mesi da aprile a ottobre. Le intense nevicate invernali lo proiettavano all’interno della chiesa, dove il prete aveva costruito una specie di nido finto, fatto di stracci, piume e qualche filo d’erba in una scatola, dietro il tabernacolo. I pochi fedeli che frequentavano la chiesa non si erano stupiti, d’altronde il prete spesso recitava passi dal suo santo preferito, il poverello d’Assisi. La gazza maschio Gregorius era molto curioso, e amava soprattutto i bambini. Quando un bambino veniva a messa e restava nel sacrato a parlare, la gazza abbandonava i suoi rami e se ne veniva a fare amicizia. E talvolta accadeva anche durante le funzioni, nella luce ombrosa di qualche mattina domenicale, nella gentile ilarità superstiziosa della gente di montagna. Gregorius non era molto portato per fare il padre ma una volta, nel suo quarto anno di età, strinse un rapporto con una gazza femmina, salita fin lassù dai boschi che circondano il comune di Susa. Aveva percorso in volo diversi chilometri prima di trovare riposo e ristoro nel laghetto ai piedi del comune di Moncenisio, uno dei meno abitati d’Italia, e poi era stato un gioco farsi trasportare su e rimbalzare sui tetti delle case. Fecero il nido e lì iniziarono a covare quattro uova azzurre, nei mesi di aprile e maggio finché un cacciatore decise di venire la notte a rubarle. Il prete lo scomunicò ma oramai la frittata era fatta e la gazza femmina per paura se ne tornò da dove era venuta. Gregorius non sembrava turbato, in certe cose gli animali sono appunto animali. C’è chi dice che la natura è severa, che le bestie selvatiche non hanno cuore, ma non tutti sono d’accordo.Il più grande amico di Gregorius comunque è sempre stato il grande e bernoccoluto frassino, aveva già circa 350 anni quando lui vi viveva, in affitto tra i suoi rami ancora fronzosi. Amava restare lì appeso ad ammirare il cielo che si infuocava la mattina quando la luce sorgeva, e la sera quando la grossa palla di fuoco si gettava dietro i tetti e poi giù, al riparo delle montagne. Nessuno ha mai capito che cosa si dicessero, se si parlassero, la gazza e il frassino del Moncenisio, ma di certo il loro era un rapporto molto speciale: il primo cercava di difendere il secondo se qualcuno si avvicinava troppo e l’albero, di suo, provava a difendere l’uccello quando il tempo si guastava. Non sempre le promesse però venivano rispettate.Un giorno la malattia ha raggiunto Gregorius che all’ennesimo tramonto si sentì mancare le forze e alla fine si lasciò cadere. Il prete lo raccolse e insieme ai fedeli decisero di pronunciare un piccolo funerale, e poi di seppellirlo lì sotto, tra le radici del frassino, dove le sue ossa spigolose come aghi ancora riposano. Un mese dopo il prete morì a sua volta e di quella storia oramai si è persa ogni traccia scritta e orale.
Jose Mourinho (Getty Images)