
Docente di Taipei traduce le parole rivolte a Bergoglio dalla protagonista dell'incidente del 31 dicembre: «Perché distruggere la loro fede?». Sullo sfondo l'accordo con Pechino, contestato anche dal cardinale Zen.Gli schiaffetti sulla mano della fedele asiatica, assestati dal Papa in apertura di questo 2020, hanno esercitato molti esegeti con commenti tra il serio e il faceto. Una pioggia di meme sui social, battute su «Dio perdona, Bergoglio no» e altre amenità anche di cattivo gusto. Francesco il giorno dopo il fatto si è scusato all'Angelus dicendo che «tante volte perdiamo la pazienza, chiedo scusa per il cattivo esempio di ieri».Il Papa è pur sempre un uomo e come tale ha perso la pazienza dopo essere stato strattonato in maniera un po' troppo energica, può capitare. Ma l'ermeneutica dello schiaffetto papale non si è fermata. Il sito Web Korazim.org, che per primo aveva ventilato l'ipotesi di altre possibili motivazioni per la reazione di Francesco, riporta la traduzione di un articolo in inglese scritto da Eric Mader, un docente a Taipei (Taiwan) di madrelingua inglese, che si sofferma sugli attimi dello strattonamento e la conseguente reazione. Siamo alla sera di San Silvestro, piazza San Pietro, il Papa cammina tra la folla quando a un certo punto una donna con una buona dose di insolenza prende la mano di Francesco e lo trattiene. Segue la reazione con schiaffetti alla fedele e allontanamento con sguardo torvo del Pontefice. «La mia opinione», scrive Mader, «è che entrambi avevano torto. E che la squadra di sicurezza del Papa sia stata negligente». Ma il docente di Taipei si sofferma sulle parole che evidentemente la donna pronuncia davanti a Francesco, come a voler comunicare un messaggio. Cosa ha detto? «La domanda può trovare risposta. La qualità della registrazione audio non è poi così male», scrive Mader seguendo la traduzione di Vik van Brantegem su Korazim.org. Il docente dice di essere abbastanza sorpreso di come «la stampa cattolica occidentale si è mostrata più o meno indifferente a ciò che stava dicendo questa donna». Mader parla il mandarino, «con una lunga esperienza nell'ascolto dei madrelingua cinesi che comunicano in inglese e cinese». Quindi, dice, «ho riconosciuto subito che la donna non parla cinese. Inoltre non parla il cantonese, la lingua principale di Hong Kong. Ho anche verificato con un linguista giapponese che non è giapponese e (più o meno) verificato che non è neanche coreano. Alla fine ho concluso, e molti altri concordano, che la donna parla un inglese fortemente accentuato. Come è tipico per molti la cui lingua madre è il cinese». Si tratta di quello che viene definito come «chinglish».Dopo «aver ascoltato ripetutamente», ecco la versione di Mader, «la donna si fa il segno della croce in preparazione. Poi vede che il Papa si sta allontanando e di fatto non la saluterà. Lei gli afferra la mano e dice: “Perché distruggere la loro fede? Perché distruggere i cinesi? (Cerca) i cinesi (sentimenti). (Parla) con me!". Ho messo le parole di cui sono meno sicuro tra parentesi». Ecco quindi che secondo questa interpretazione la reazione scomposta del Papa potrebbe essere stata motivata da queste parole che richiamano immediatamente la situazione critica dei cattolici cinesi, nel contesto dei rapporti tra Cina e Vaticano, dopo lo storico accordo per la nomina dei vescovi del 2018 e i successivi orientamenti pastorali. Non a caso il docente di Taipei cita il cardinale Joseph Zen, che di questi rapporti tra Vaticano e Pechino è un forte critico. «Forse», scrive, «il portavoce più serio dei cattolici cinesi, il cardinale Joseph Zen di Hong Kong, è pienamente d'accordo con questa critica cattolica» agli accordi. Peraltro in questi giorni è tornata alle cronache la lettera che Zen ha inoltrato ai confratelli cardinali nello scorso luglio, lettera in cui manifesta i suoi dubia sugli orientamenti pastorali della Santa Sede circa la registrazione civile del clero in Cina. Per il porporato emerito di Hong Kong il documento vaticano «incoraggia i fedeli in Cina a entrare in una Chiesa scismatica (indipendente dal Papa e agli ordini del Partito comunista)». E accusa in particolare il segretario di Stato, Pietro Parolin, di manipolare il pensiero del Papa emerito Benedetto XVI che nella sua Lettera ai cattolici cinesi del 2007 era fermo su alcuni punti che secondo Zen sarebbero, invece, stati dimenticati nel ratificare lo storico accordo del 2018. «Ho fondamento per credere (e spero un giorno di poter dimostrare con documenti di archivio)», arriva a scrivere il cardinale Zen, «che l'accordo firmato è lo stesso che Papa Benedetto aveva, a suo tempo, rifiutato di firmare».Che la situazione dei cattolici in Cina non sia facile è provato dalle molte cronache che riescono ad arrivare sulla stampa occidentale e mostrano una situazione oggettivamente difficile, in cui il governo di Pechino sembra davvero procedere a un controllo della Chiesa, che non tiene conto della libertà religiosa. È innegabile quindi che gli accordi tra Cina e Vaticano agli occhi di molti fedeli cinesi, quelli che da sempre resistono nella cosiddetta Chiesa clandestina, anche a prezzo di violente persecuzioni, appaiono come una specie di tradimento.Possono le parole della donna asiatica aver causato la reazione del Papa, irritato per la questione cinese? È difficile poterlo sostenere con certezza, anche perché nella concitazione della passeggiata papale di San Silvestro in piazza San Pietro tutto si è svolto nello spazio di un attimo. Il Papa ha certamente sentito lo strattone, ma non è affatto detto che abbia davvero capito le parole della fedele, pronunciate peraltro in un inglese non preciso. Tuttavia, come scrive Mader, ci sono molti cattolici cinesi che «sentono di essere stati buttati sotto un autobus in modo che il Vaticano possa fare progressi diplomatici con Pechino».
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






