2024-02-13
Anche le madri dei morti di Camorra non si bevono la favola di San Geolier
Criticare il rapper che inneggia ai narcos e sforna video carichi di violenza non è razzismo. Per capirlo basta ascoltare Daniela Di Maggio, alla quale il crimine ha ucciso un figlio: «Lo premiano? Sono indignata».Un lettore, Salvatore Sergio, contesta il mio articolo di ieri su Geolier, sostenendo che non si può accostare un ragazzo a certi ambienti solo perché è nato e cresciuto a Napoli. La città campana, spiega, non è tutta Gomorra e scrivere ciò che io ho scritto su un giovane artista che è riuscito ad arrivare a Sanremo non è un’offesa a Napoli e ai napoletani, ma all’intelligenza. Immagino che quest’ultimo riferimento sia rivolto a me, che occupandomi di Geolier avrei dato prova di ottusità. Fatta eccezione per quest’ultima parte, sono perfettamente d’accordo con lui: criticare Geolier perché è di Secondigliano o perché canta in napoletano è un’idiozia. Ma io non me la sono presa con il giovane classificatosi secondo al Festival per le sue origini o per la decisione di esibirsi sul palco dell’Ariston in un dialetto stretto. Napule è di Pino Daniele è un capolavoro proprio perché cantata in napoletano e del cantautore scomparso amo tantissime canzoni, come adoro quelle di un musicista straordinario e anticonformista come Edoardo Bennato pure lui, come Daniele, nato e cresciuto a Napoli. Dunque, da parte mia non c’è alcun pregiudizio nei confronti di Geolier a causa delle sue origini. Io giudico i brani che interpreta e i video che rilascia in Rete e osservo la violenza che contengono, chiedendomi se sia questo il messaggio che, anche indirettamente, il servizio pubblico debba diffondere. Amadeus si fa forte degli ascolti, ma se gli ascolti li fai portando sul palco un ragazzo divenuto famoso con immagini che richiamano le gang criminali io continuo a pensare che non soltanto sia sbagliato, ma che sia molto ipocrita, perché mentre ogni giorno c’è chi ci rovescia addosso una densa melassa di buoni propositi poi, quando conviene, rincorre quelli più spregevoli.Ho criticato e critico il video ufficiale di I p’ me, tu p’ te, che da giorni passa in tv e che su Youtube ha già totalizzato quasi sei milioni di visualizzazioni, perché le immagini sono quelle di un rapporto tossico e violento, dove si mostrano pistole e coltelli, con i due fidanzati che si affrontano e si colpiscono, e alla fine si schiantano dopo una folle corsa in auto. In pochi minuti, le immagini riproducono tutti i cliché di una relazione malata che non solo contrastano con il messaggio «io per me e tu per te», ma attingono a piene mani nella cultura della dominazione e del conflitto. Un modo per denunciare il patriarcato? Non credo: semmai un modo per usarlo furbescamente, riaffermando un modello brutale.Dopo aver scritto tutto ciò, ho sentito il bisogno di dare uno sguardo anche ad altri video di Geolier di cui, ribadisco, fino a pochi giorni fa neppure conoscevo l’esistenza. Bene: guardatevi Narcos, tre minuti di esibizioni di mitragliette e banconote. La scena, ambientata con lo sfondo del Vesuvio, sembra registrata a Bogotà, con i pick-up su cui sono montate le mitragliatrici, i lanciagranate, le borse piene di soldi, il trono dorato, la spider scortata da gente armata fino ai denti e Geolier con il suo bravo kalashnikov placcato oro. Una vita scintillante e criminale, che esibisce la potenza del clan e non è certo un messaggio contro la criminalità, ma semmai il suo contrario. Sbaglio, sono un vecchio cronista che non capisce la musica hip hop napoletana, come ha scritto sul Corriere della Sera Roberto Saviano? Per l’autore di Gomorra le canzoni di Geolier sono la rappresentazione della vita vera, e il suo è un messaggio ascoltato non solo a Napoli o in Campania, ma in tutta Italia e, addirittura, udite udite, in tutta Europa.Sarà, ma io l’unico messaggio vero che ho ascoltato e che merita di essere ripetuto in tutta Italia è quello di Daniela Di Maggio, la mamma di Giogiò, il giovane musicista che proprio a Napoli è stato ucciso a colpi di pistola da un sedicenne dopo una banale lite. «Sono indignata», ha detto la donna, «perché premiare solo chi in passato imbracciava il kalashnikov d’oro, escludendo una vittima, è incoerente, sbagliato». Daniela Di Maggio ce l’ha con il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che ha accolto il cantante di ritorno da Sanremo nella sala dei Baroni con tanto di targa. L’ipocrisia è proprio questa. La mamma di Giogiò è stata fatta salire sul palco dell’Ariston per ricordare il figlio che sognava di suonare nell’orchestra di Sanremo. Ma poi, quando le sue lacrime non servivano più a commuovere il pubblico, il festival ha virato su colui che porta in scena pistole e coltelli. E un’altra mamma, quella di un diciassettenne accoltellato alla gola da una baby gang, ha addirittura accusato Manfredi di premiare gli intoccabili, invece di chiedere a Geolier di «rinnegare le sue posizioni su armi, droga, sesso e sessismo a sostegno alla criminalità organizzata». Quindi, altro che Festival della canzone. Quello di Amadeus è stato il festival dell’ipocrisia e del cinismo, dove tutto va bene pur di fare ascolti. Con Saviano ad applaudire. Lui esperto di camorra e di furbizie.
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