2020-04-24
La farsa è chiusa, sì al Mes. L’Europa umilia Conte: fondo per la ricostruzione? Nel 2021. E lo pagheremo
Al Consiglio europeo la linea italiana esce massacrata. Approvato il Salvastati, sulle risorse future siamo quasi all'insulto: saranno prestiti. Ma il premier esulta.Ora iniziano le danze in Parlamento. Se i grillini si spaccano, che farà Fi? Il Cav scalpita ma è difficile entrare in maggioranza senza un nuovo voto di fiducia.Lo speciale comprende due articoli. Finalmente il «pacchetto di ventagli"» si è dispiegato in tutta la sua nitidezza. E le notizie non sono buone per l'Italia e, cosa ancora più preoccupante, sono avvolte da una ammorbante cappa di propaganda creata ad arte per confondere i cittadini e stordirli a colpi di trilioni di euro. «Numeri buoni solo per fare colpo sui creduloni», ha commentato in modo tranciante l'editorialista del Financial Times Wolfgang Munchau. Secondo l'economista francese Jean Pisani-Ferry, la tabella di marcia presentata come base di discussione dal presidente del Consiglio Charles Michel e dalla presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen, non era altro che un «documento vuoto».Per tutta la giornata si sono avvicendate bozze e indiscrezioni su quanto i leader europei avrebbero discusso in videoconferenza. Ma, aldilà dei dettagli, il perimetro è ormai definito da tempo ed è stato addirittura confermato al ribasso ieri, quando - poco prima delle 20 - il Consiglio è terminato. Un Paese come il nostro - il cui mercato di Titoli di Stato è tra i più liquidi al mondo e che il 22 aprile ha visto una domanda per 110 miliardi su una offerta di 16 - si vede ridotto a ricorrere ad uno strumento di ultima istanza come il Mes per finanziare 37 miliardi di spese sanitarie. Finiremo affiancati a Cipro, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda nell'elenco dei Paesi «aiutati» da uno strumento concepito per Paesi sull'orlo del fallimento, e governato da regole pensate a questo fine. E, fino a quando non sarà ratificato un Trattato con nuove regole, chiunque affermi che quelle regole non si applicano in base a una semplice stretta di mano o un comunicato dell'Eurogruppo, è semplicemente a cavallo tra malafede e totale ignoranza delle basi del diritto. Sorvolando sulla Bei, che sarà solo potenziata per continuare a fare solo il suo mestiere, e sul Sure, un fondo sufficiente a finanziare un mese di cassa integrazione, tutta l'attenzione dei leader si è concentrata sul fondo per la ripresa.Nel momento in cui la Bce viene invitata da autorevoli economisti, da ultimo Paul De Grauwe, a svolgere il proprio ruolo di finanziatore del deficit degli Stati e da più parti si fanno concordanti le voci relative ad aumento dei propri acquisti di titoli pubblici per poi tenerli a lungo in bilancio, l'Italia si arrende, chiedendo ciò che non ci conviene ricevere.Proprio il ministro Roberto Gualtieri aveva fissato ieri mattina, in un'intervista al Financial Times, l'asticella su cui si sarebbe misurato il successo della sua azione. Gualtieri riteneva essenziale il rispetto di quattro requisiti: dimensione adeguata, rapidità nell'implementazione, equità nella distribuzione ed erogazione dei fondi come contributi a fondo perduto e non solo prestiti.La bozza che ha costituito la base di discussione per i leader, che abbiamo avuto modo di visionare, prevede la costituzione di un «Recovery Fund» alimentato da 320 miliardi di obbligazioni emesse dalla Commissione a scadenza molto lunga o addirittura perpetua. La base per emettere questi bond sarebbe dapprima una garanzia fornita dagli Stati membri e successivamente, quando sarà definito il Quadro finanziario pluriennale, risorse proprie del bilancio Ue. A tale fondo si aggiungerebbero altri strumenti, dominati dall'inganno delle «risorse mobilitate» e degli «investimenti innescati», ma quelli che contano sono i 320 miliardi.Mentre Giuseppe Conte esulta con toni che hanno dell'incredibile («Grandi progressi: i 27 Paesi riconoscono la necessità di introdurre uno strumento innovativo, da varare urgentemente, per proteggere le nostre economie», è costretto a spiegare agli italiani che «la Commissione lavorerà in questi giorni per presentare già il prossimo 6 maggio un “Recovery Fund" che dovrà essere di ampiezza adeguata». Morale: non c'è nulla, mentre il Mes che aveva giurato di non volere è stato approvato. L'imbarazzo è testimoniato da una «conferenza stampa» di poche decine di secondi nei quali tenta di spacciare tutto ciò come una vittoria. In realtà, l'inganno e il cattivo affare per l'Italia è nella risposta a queste domande.1) Chi contribuisce al fondo di garanzia? Qualcuno crede che la Germania o l'Olanda possano fornire una garanzia solidale e non solo individuale (joint and several), come chiesto dai Paesi del Sud ma vietato dai Trattati? Ed allora, se ognuno garantisce per sé, che senso ha tutto questo macchinoso armamentario?2) Ammesso che i titoli siano a lunga scadenza o perpetui, come provvederà la Commissione al pagamento degli interessi? Se l'Italia, come probabile, continuerà ad essere contribuente netto, pagheremo interessi su somme che poi non saranno tutte destinate al nostro Paese. E lo faremo attraverso maggiori contributi alla Ue o maggiori tasse. 3) A che titolo saranno erogate queste somme? Prestiti o sovvenzioni? Se fossero prestiti, come pretende il blocco tedesco, avremmo un altro Mes a lunga scadenza. 4) E come saranno distribuite tra gli Stati? Se il fondo erogasse sovvenzioni, sarebbe pure peggio. Saremmo in ogni caso chiamati a coprire il bilancio Ue con l'amara sorpresa di ritrovarci contributori netti. O qualcuno crede che i paesi nordici possano consentire all'Italia, il più colpito sia dal punto di vista sanitario che economico, di ricevere somme a fondo perduto superiori al 15% del totale, diventando così beneficiario netto?La sintesi è stata offerta dal professor Roberto Perotti che, su lavoce.info, ha definito gli Eurobond «un pasticcio economico e giuridico, che genererebbe solo confusione, litigi e recriminazioni».La conferma del rifiuto del blocco tedesco di infilarsi in un simile ginepraio è arrivata subito al termine del Consiglio, con la prima dichiarazione del premier olandese Mark Rutte che ha ribadito che le soluzioni per l'emergenza sono quelle già predisposte dall'Eurogruppo, per il resto la palla torna alla Commissione che lavorerà ad una strategia per la ripresa basata sul Bilancio Ue. In una parola, niente sovvenzioni ma debiti e pure quelli verso un creditore rognoso come il Mes.Ancora una volta nella storia della Ue, inseguiamo obiettivi che danneggiano il nostro Paese e finiamo pure per non conseguirli.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-farsa-e-chiusa-si-al-mes-leuropa-umilia-conte-fondo-per-la-ricostruzione-nel-2021-e-lo-pagheremo-2645816558.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ora-iniziano-le-danze-in-parlamento-se-i-grillini-si-spaccano-che-fara-fi" data-post-id="2645816558" data-published-at="1587670047" data-use-pagination="False"> Ora iniziano le danze in Parlamento. Se i grillini si spaccano, che farà Fi? Adesso si capisce (anche se non si giustifica) il motivo per cui Giuseppe Conte ha fatto di tutto, martedì scorso, per presentarsi alle Camere solo per un'«informativa», cioè senza il voto di una risoluzione. Non soltanto per poter gestire il Consiglio europeo di ieri senza alcun mandato vincolante, ma soprattutto perché, in caso di votazione, i grillini si sarebbero spaccati come una mela, certificando il collasso della maggioranza. Naturalmente, non può essere taciuto il fatto che il Quirinale abbia assistito silenzioso - e c'è da presumere consenziente - rispetto a questa procedura anomala e irrituale: e occorrerà ricordarlo la prossima volta che ascolteremo in ogni sede prediche sulla mitica «centralità del Parlamento». È la stessa storia dell'avallo del Colle all'uso e all'abuso dei Dpcm: veri e propri atti amministrativi con cui si sono compresse libertà costituzionali fondamentali, senza neppure il bisogno di un passaggio parlamentare. Tra l'altro, ha perfino i contorni della beffa una circostanza ulteriore: Conte continuava a ripetere la propria contrarietà al Mes. Ormai tutti sanno che in realtà preparava la capitolazione. Ma a maggior ragione, se invece le sue parole avessero dovuto essere prese sul serio, il presidente del Consiglio si sarebbe dovuto far forte di un eventuale no delle Camere al Fondo salva stati, per arrivare più «armato» alla trattativa Ue. Macché: era tutto teatro, l'unica cosa che contava per il premier era nascondere la crisi della sua maggioranza. Adesso però, prima o poi, a un voto parlamentare si dovrà arrivare. Alla Camera (maggioranza assoluta: 316), i grillini hanno 206 seggi, il Pd 90, i renziani 30, LeU 11. Al di là di un po' di voti raccattabili nel Misto, la base di partenza giallorossa è solo di 21 voti superiore alla maggioranza assoluta. In teoria, basterebbero poco più di 20 dissidenti grillini per determinare un fatto politico nuovo. E al Senato (maggioranza assoluta 161)? I grillini schierano 97 senatori, il Pd 35, i renziani 17, più una ventina scarsa di altri voti rimediati tra il Misto (dove è collocata LeU) e le Autonomie. Morale: in questo caso basterebbe una defezione di appena 8-10 pentastellati per mandare teoricamente “sotto" Conte. Si dirà: ma non può essere ignorato il fatto che Forza Italia abbia sostanzialmente aperto al Mes. Vero, e Fi dispone di una rappresentanza parlamentare superiore al peso che oggi le attribuiscono i sondaggi, e corrispondente alla fotografia del voto di inizio 2018: ben 97 deputati e 61 senatori. In termini di pura aritmetica, se i forzisti decidessero la mossa clamorosa di rompere il fronte del centrodestra e convergere, i numeri sarebbero largamente sovrabbondanti. Tuttavia, non si possono sottovalutare almeno tre incognite. La prima: siamo sicuri che i parlamentari forzisti se la sentirebbero a cuor leggero di rompere con Lega e FdI, peraltro alla vigilia di una rilevante tornata elettorale regionale? Senza dire che prima o poi si tornerà al voto politico nazionale, e votare (in questa ipotesi ancora teorica) a supporto del governo giallorosso sarebbe una scelta non facile da spiegare agli elettori. La seconda: se la rottura si materializzasse in modo scomposto, cosa accadrebbe alle giunte regionali di centrodestra, con relativi assessori e consiglieri forzisti? E infine la terza incognita, istituzionalmente la più importante: se i voti di Fi risultassero decisivi e sostitutivi rispetto a un pezzo di M5s, la vecchia maggioranza non ci sarebbe più. E Conte sarebbe tenuto a recarsi al Colle per trarne le conseguenze. Già Sergio Mattarella avallò la nascita dei gruppi renziani dopo il varo del Conte bis. Ma stavolta sarebbe difficile far finta di niente. A quel punto, toccherebbe al Colle sciogliere il nodo: rinviare Conte alle Camere per una nuova fiducia? Incaricare qualcun altro? E con quale maggioranza? Potrebbero mai convivere stabilmente i grillini e Forza Italia, dopo anni di reciproci attacchi? È l'indecifrabile partita che inizia oggi.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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