Ai famigliari di Pietro Raccagni, macellaio bresciano assassinato da una banda di rapinatori entrata di notte in casa sua, i giudici hanno concesso un risarcimento di 7.000 euro. Quelli di Giovanni Veronesi, gioielliere massacrato con 42 colpi di cacciavite da un malvivente, sono invece stati risarciti a spese dello Stato: 50.000 euro da dividersi fra il figlio e la sorella del povero commerciante.
Ai parenti dei rapinatori che assaltarono il negozio di Mario Roggero a Grinzane Cavour, minacciando moglie e figlia dell’orefice, invece è stato concesso un risarcimento di 480.000 euro, dieci volte di più di quello stabilito per gli eredi di Veronesi. Ma attenzione: oltre a essere stato condannato a 14 anni e 9 mesi di carcere per aver inseguito i malavitosi, sparando e uccidendone due, Roggero dovrà mettere mano ancor di più al portafoglio, per pagare le spese legali e per soddisfare le richieste che le famiglie dei banditi certamente presenteranno in sede civile. Nel processo che si è appena concluso avevano avanzato pretese per quasi tre milioni e c’è da giurare che una volta incassato l’assegno da quasi mezzo milione pretenderanno il resto. In pratica, per aver reagito all’assalto, il gioielliere di Grinzane Cavour finirà sul lastrico e con lui la sua famiglia. «Io sono la vera vittima», dice nelle interviste.
E questa è forse la sua vera colpa. Invece di tacere e di presentarsi in tribunale con il ciglio umido, chiedendo perdono, Roggero continua a sostenere di aver reagito per legittima difesa. La moglie e la figlia erano minacciate e lui stesso si era visto puntare un’arma. Difficile dargli torto. Soprattutto è impossibile non capire l’esasperazione di chi è stato vittima di altri assalti e di chi si vede non soltanto rapinato per l’ennesima volta, ma teme per l’incolumità dei propri famigliari. Come si fa a non tener conto dello shock e della reazione emotiva di una persona che vede in pericolo di vita moglie e figlia? Come si fa a non comprendere che la lucidità e la freddezza in certe condizioni vengono meno e non si può calcolare il ritorno a un controllo di sé stesso in pochi istanti. Il turbamento per la minaccia subita è tale che non scompare solo perché i rapinatori hanno voltato le spalle. Per quel che mi riguarda non ho mai impugnato un’arma, se non una volta al poligono di tiro, quando ero militare. Tuttavia, non so che cosa potrei fare se vedessi minacciate le persone a me care. Se avessi una pistola potrei sparare? Probabilmente sì e certo la sensazione di pericolo che mi spingerebbe a reagire non si esaurirebbe solo perché i delinquenti stanno fuggendo.
Ha ragione Roggero: lui è la vera vittima. Perché per aver reagito ai rapinatori è stato condannato a quasi 15 anni. E perché, oltre a dover rimanere dietro le sbarre fino a quando avrà 85 anni, ha visto andare in fumo il lavoro di una vita: il suo negozio, i suoi risparmi, la sua famiglia. Io non so se sia la legge a essere sbagliata oppure se siano i giudici ad averla applicata male. Sta di fatto che ora serve un provvedimento che tenga conto delle ragioni delle vittime e non di quelle dei delinquenti. Si può discutere fin che si vuole, ma un gioielliere che ha reagito a una rapina non può finire in galera e nemmeno lo si può condannare a rimborsare i parenti di chi ha deciso di rapinarlo. Un malvivente che entra armi in pugno in un negozio mette in conto di ammazzare una persona o di essere ammazzato. È lui ad accettare il rischio di finire sottoterra o di farci finire un innocente. Non si può rovesciare la responsabilità su chi ha deciso di non arrendersi all’aggressione. Ad Arezzo il tribunale ha riconosciuto la legittima difesa di un uomo che ha sparato, uccidendolo, a un tizio che con la ruspa voleva demolire la sua casa con tutta la famiglia dentro. L’uomo che ha usato il fucile probabilmente non rischiava la vita, ma si è sentito minacciato e ha pensato che anche i suoi famigliari fossero a rischio. In questo caso ha vinto il buon senso. In quello di Roggero invece purtroppo ha vinto la delinquenza.



