2018-08-01
La disoccupazione continua a mordere e non si combatte con bonus assunzioni
Per l'Istat aumentano anche i contratti a termine. Il decreto Dignità deve tagliare il cuneo fiscale, uscendo dalla logica degli incentivi.Il consueto bollettino Istat sull'occupazione in Italia aggiunge un tassello in più alla grande faglia che sta spezzando il mondo del lavoro. La disoccupazione «torna ad aumentare», con un tasso che sfiora l'11%. A giugno, comunica l'Istat, le persone in cerca di occupazione sono aumentate del 2,1% (ovvero più 60.000), dopo tre mesi di crescita. Il tasso di disoccupazione sale al 10,9%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto a maggio, e cresce anche la disoccupazione giovanile (15-24 anni), che a giugno risale e si attesta al 32,6 per cento, in rialzo di 0,5 punti percentuali rispetto a maggio. «A giugno, dopo tre mesi di crescita sostenuta, l'occupazione registra un calo che si concentra soprattutto tra gli uomini e le persone con più di 35 anni», commenta l'Istat. «A fronte della diminuzione dei dipendenti permanenti e degli autonomi continuano a crescere i dipendenti a termine». Invece nei 12 mesi la disoccupazione, si sottolinea, «cala lievemente», «mantenendosi sui livelli della fine del 2012». Il livello degli under 25 in cerca di occupazione è nettamente inferiore al massimo raggiunto nel marzo del 2014 (43,5 per cento) ma ancora di 13 punti superiore rispetto al minimo toccato nel febbraio del 2007 (quando era 19,5 per cento). A maggio la stima degli occupati aveva invece registrato «un sensibile aumento», con una crescita di 114.000 unità rispetto ad aprile (più 0,5%) e di 457.000 su base annua (più 2%).Scusate se vi abbiamo annoiato con una lunga serie di dati ma questi servono per disegnare il quadro d'insieme. Certamente non positivo. È però l'analisi in verticale che fa la differenza e spiega come mese dopo mese il mondo degli attivi e degli occupati si trasformi indelebilmente. Come al solito è Francesco Seghezzi di Adapt a spiegare molto bene il trend in atto. Al di là dei dati stagionali che certamente peggiorano l'aritmetica (calano gli occupati permanenti e le politiche attive non sono efficaci), mentre l'effetto Fornero inizia a declinare: gli occuparti under 35 crescono più del doppio degli over 50. Purtroppo torna a crescere pure la disoccupazione giovanile (+0,5% al 32,6%). Ma il dato più delicato su tutti riguarda la discrepanza tra assunzioni a tempo determinato e indeterminato.Negli ultimi 12 mesi l'Italia ha perso 83.000 lavoratori a tempo permanente e ne ha guadagnati 394.000 a termine. L'incremento è stato del 14,5% e il monete dei precari è arrivato a quota 3,1 milioni. Il comparto degli autonomi ha un leggero segno positivo, ma nel complesso le partite Iva non riescono più a decollare, soffocate come sono dalle tasse e da tutti i vincoli. Al netto di tutte le differenze contrattuali, lo scorso giugno rispetto a giugno del 2017 l'occupazione è cresciuta in senso assoluto di 330.000 persone. È da questo valore che i politici di maggioranza e minoranza dovrebbero partire per cercare di mettere a punto le riforme. Tanto più che entro venerdì il Parlamento è chiamato a licenziare il decreto Dignità. Abbiamo più volte scritto che si tratta di un testo pasticciato che contiene più di una contraddizione. Non si può però negare che l'intento sia quello di salvaguardare la platea di precari in continua crescita. Purtroppo lo fa irregimentando ancor di più la burocrazia e caricando sulle spalle delle aziende i costi. Ai lavoratori non va nulla in più. Infatti, il decreto non si preoccupa di tagliare il cuneo fiscale. Non può farlo perché non esistono le coperture. Per cui si limita a clonare gli incentivi fiscali a termine inseriti in manovra dal governo Renzi e da quello Gentiloni. Un palese errore perché i dati storici dimostrano che la droga fiscale ha effetti sul brevissimo termine e non sul lungo. Il decreto Dignità ha bisogno di molte modifiche, ma un intervento sul mondo del lavoro si rende sempre più urgente. «La droga dei bonus usa e getta», scrive Seghezzi, «sul lavoro stabile (2015) e gli interventi regolatori maldestri (fine dei contratti a progetto) hanno determinato l'esplosione del lavoro a tempo piuttosto che guidare le trasformazioni strutturali del mercato del lavoro». Si tratta di una osservazione ineccepibile. Il governo gialloblù dovrebbe ascoltare le dritte dell'associazione che fu fondata da Marco Biagi. E porsi una domanda di fondo.Vale la pena stimolare i contratti a tempo indeterminato oppure intervenire su altre leve trasversali? È chiaro che se l'idea di Luigi Di Maio è quella di spingere per il lavoro permanente, gli incentivi fiscali senza l'articolo 18 possono solo che frammentare ancora di più il mercato e quindi creare altra precarietà. Solo il taglio del cuneo permette una pianificazione sul lungo termine.Al contrario, molte aziende sentono la mancanza della flessibilità dei contratti a progetto. Le nuove tecnologie spesso richiedono inserimenti legati a singole attività magari della durata di qualche mese. I contratti a progetto veri sono utili purché il compenso sia adeguato al breve lasso temporale. Più il lavoro è flessibile più deve essere retribuito. Questo è il vero discrimine. La tutela dei lavoratori passa soprattutto attraverso all'adeguata retribuzione. In sintesi non basta un decreto per risolvere la questione. Servirà una legge di ampio respiro perché affronta un tema che attraversa il Novecento e segnerà il secolo in corso. È buffo solo osservare che la sinistra - che ha stimolato il trend dei contratti precari - assalga la carovana del decreto Dignità omettendo le proprie colpe. Il cambiamento è storico e sta diventando un fiume in piena che travolgerà il welfare e le pensioni che i giovani vedranno solo in cartolina.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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