
L'Unità lo affondò con un epitaffio svilente, ma i suoi racconti continuano a essere letti e tra i più venduti in tutto il mondo. La saga del parroco e del sindaco rosso coglie la natura umana ed è intrisa di sana ironia.Il Time scrisse che per capire l'Italia bisogna leggere Niccolò Macchiavelli, Benito Mussolini e Giovannino Guareschi. Si tratta di una compagnia variegata, però di quelle buone per bere un bicchiere di lambrusco in qualche osteria della Bassa, dove la politica è sempre stata capace di scaldare gli animi.Cinquant'anni fa, il 22 luglio 1968, a Cervia, moriva Giovannino Guareschi (1908-1968). Il suo grande cuore si fermava in riva al mare di Romagna, dopo aver battuto in lungo e in largo in compagnia di un gran bel paio di baffi neri, raccontando la storia che attraversava con lo sguardo dell'ironia e dell'umorismo. Oggi Guareschi è uno degli scrittori italiani più tradotti all'estero, mostrando così come il suo Mondo piccolo, che ruota intorno a don Camillo, Peppone e al crocifisso dell'altare maggiore, fosse più grande di quanto si potesse immaginare a un primo sguardo. Lassù, dove riposano i vignettisti, Giovannino avrà certamente dedicato qualcosa al quotidiano comunista L'Unità, che alla sua morte lo liquidò scrivendo: «È morto uno scrittore mai nato». Immaginiamo una vignetta che avrà divertito i cherubini, probabilmente della serie Obbedienza pronta, cieca e assoluta, a suo tempo inaugurata da Guareschi sul settimanale Candido (1945-1961). «Contrordine compagni! La frase pubblicata dall'Unità: “È morto uno scrittore mai nato", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: “È nato uno scrittore mai morto"».In effetti, Guareschi, appena venne fatto accomodare dai tedeschi nel lager di Czestochowa (era il 1943), avvertì tutti dicendo: «Non muoio neanche se mi ammazzano». E così è stato, al punto che oggi in tutto il mondo, alla faccia dell'epitaffio dell'Unità, Giovannino Guareschi è vivo e vegeto, grazie ai suoi racconti impareggiabili sulle vicende accadute in quella fettaccia di terra racchiusa tra il Po e l'Appennino. Le storie del parroco sanguigno e del sindaco rosso, non sono solo uno spaccato dell'immediato dopoguerra italiano, ma sono capaci di cogliere l'universale nel particolare. Quindi sono buone per il padano, come per il giapponese e il russo, perché se c'è una cultura, c'è anche una natura umana che in fondo parla la stessa lingua.Nato nel 1908 a Fontanelle di Roccabianca (Parma), Giovannino è figlio di padre socialista e di madre maestra elementare, Primo Augusto Teodosio Guareschi e Lina Maghenzani. Viene dotato di una personalità unica, capace di far fiorire un autore poliedrico: narratore, disegnatore, giornalista, sceneggiatore, ma soprattutto umorista inimitabile. Cresciuto insieme a Vittorio Metz, Giovanni Mosca, Carletto Manzoni, Marcello Marchesi, Cesare Zavattini e Giuseppe Marotta, Guareschi ha dato vita a due grandissimi giornali umoristici, quali Bertoldo e Candido, capaci di segnare la storia italiana, anche politica. I suoi primi romanzi escono a puntate nel Bertoldo, e sono La scoperta di Milano (1941), Il destino si chiama Clotilde (1942) e Il marito in collegio (1944), poi venne la guerra e il lager, che visse con la consueta ironia riportando a casa il Diario clandestino 1943-1945 e la meravigliosa Favola di Natale. «L'uomo è fatto così, signora Germania», scriveva Guareschi nel suo diario dal lager. «Di fuori è una faccenda molto facile da comandare. Ma dentro ce n'è un altro e lo comanda soltanto il Padre eterno. E questa è la fregatura per te signora Germania».Non si può capire Guareschi senza il cristianesimo, lui stesso lo scrisse in un editoriale del Candido del 7 dicembre 1947. «Noi non apparteniamo a nessun ismo. Abbiamo un'idea, sì, ma non finisce in ismo. La cosa è molto semplice: per noi esistono al mondo due idee in lotta: quella cristiana e l'idea anticristiana. Noi siamo per l'idea cristiana e siamo perciò con tutti coloro che la perseguono e soltanto fino a quando la perseguono. Quando, a nostro modesto avviso, qualcuno si distacca da questo principio, chiunque sia (fosse anche il nostro parroco) noi diventiamo automaticamente i suoi avversari. La nostra strada è dritta e su di essa camminiamo tranquilli». Su questa strada cresce uno scrittore sanamente popolare, amato dal popolo più che dai critici, Guareschi era uomo di simpatie monarchiche e aveva un'idea salda di nazione e di popolo, contro ogni totalitarismo che limitasse la libertà e Dio.Don Camillo e Peppone, gli intramontabili eroi guareschiani, nascono su questo terreno, quasi per caso. Una sera del 1946, dovendo chiudere alla svelta un numero del Candido, Guareschi piazzò un breve racconto che aveva già preparato per il settimanale Oggi. C'erano dentro un prete di campagna e un compagno che poi diventerà sindaco. Da quel momento per oltre 20 anni e in 346 racconti si svilupperà il Mondo piccolo, che diventerà anche una saga di film interpretati da Fernandel e Gino Cervi. «Sono un povero prete di campagna», dirà di sé don Camillo, «che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro». Peppone, invece, è un comunista ancora non guastato fino in fondo dall'ideologia, è un figlio del popolo, ancora intriso di sana umanità: «Se io parlo come mi ha fatto mia madre capisco tutto quello che dico». Su di loro troneggia un riferimento comune, il crocifisso dell'altar maggiore che non è un deus ex machina qualsiasi, ma un Dio che si impasta con la quotidianità più spicciola delle sue creature. Ed è anche la voce della coscienza di Guareschi, come lui stesso ha dichiarato.Per Giovannino la coscienza era una faccenda seria e l'ascoltava davvero fino in fondo, anche quella volta che finì di nuovo in prigione, nel 1954, questa volta a Parma, per aver diffamato Alcide De Gasperi attribuendogli la paternità di scritti in cui si chiedeva che gli angloamericani bombardassero Roma. Ne fece una questione personale, rifiutando di presentare appello alla condanna. Visse i suoi ultimi anni un po' in solitudine e bersagliato da certa critica. Pochi mesi prima di morire scrisse: «Io vivo isolato come un merlo impaniato sulla cima di un pioppo. Fischio, ma come faccio a sapere se quelli che stanno giù mi sentono fischiare o se mi scambiano con un cornacchione?»Passati cinquant'anni dalla morte di Guareschi, seduti in riva al grande fiume, all'ombra di un pioppo, a noi pare di sentire chiaro il fischio di un merlo. A lui importava poco dei critici, aveva altro per la testa, come ha scritto sul Candido: «Non termino dicendo: Dio è con me! Concludo esprimendo l'ardente speranza di essere io con Dio!».
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