Il nostro vino spumante, simbolo assoluto dell'Italia e il più venduto nel mondo, è insidiato dalla concorrenza sleale del Prosek, un passito semisconosciuto. A rischio ben 3 miliardi di export. E il ministro Stefano Patuanelli tace
Il nostro vino spumante, simbolo assoluto dell'Italia e il più venduto nel mondo, è insidiato dalla concorrenza sleale del Prosek, un passito semisconosciuto. A rischio ben 3 miliardi di export. E il ministro Stefano Patuanelli tace Una nuova «ombra» di anti italianità compare sul volto arcigno della Commissione europea - è il caso di dirlo: in tutto il Veneto l'ombra è il bicchiere di vino che accompagna il cicchetto nei bacari - visto che né il Commissario all'agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski, né tanto meno Ursula von der Leyen hanno dichiarato irricevibile, anzi, la richiesta-provocazione arrivata dalla Croazia per il riconoscimento del suo Prosek. L'attacco a una delle produzioni di punta della nostra agricoltura è frontale, subdolo per quanto feroce. È forse giunto il momento di chiedersi se l'agricoltura italiana a Bruxelles conti ancora qualcosa dopo un decennio di ministri a targa Pd genuflessi agli interessi continentali. Per noi l'agricoltura declinata con l'agroalimentare vale un quarto del Pil (50 miliardi di export), ma le contraffazioni e le imitazioni - come nel caso della richiesta croata - fatturano altri100 miliardi che tolgono a noi. Cosa accade è presto detto. In Croazia si produce un vino passito dolce nella zona di Zagabria da uve Bogdanuša, Maraština, Vugava e Plavac Mali. Sono tre vitigni a bacca bianca e solo il Plavac Mali - con cui si fanno anche vini da tavola di un certo pregio - è un'uva rossa. Il Prosek è un prodotto tradizionale, la quantità è risibile e non ha mai varcato i confini della Croazia interna tanto che i turisti italiani che affollano le isole Incoronate forse non l'hanno mai neppure degustato. È paragonabile a un nostro Vinsanto di non eccelsa qualità. Ebbene i croati hanno scoperto che nel regolamento europeo la denominazione che abbia una tradizionalità può essere tutelato. Zitti zitti hanno avanzato la richiesta di registrazione del Prosek preparandosi poi a trasformarlo in spumante e a farci una concorrenza totale. A Bruxelles a nessuno è venuto in mente che esiste il Prosecco italiano e che la richiesta croata doveva essere subito dichiarata irricevibile a termine dei trattati dell'Unione e di infiniti pronunciamenti della Corte europea. Tocca all'Italia per l'ennesima volta organizzare la sua difesa. L'ultimo caso è di qualche mese fa quando la Slovenia ha tentato di scippare l'aceto balsamico tradizionale di Modena e Reggio. Il fatto è che la mossa croata stavolta mette a rischio un vino che è diventato un simbolo assoluto dell'Italia ed è lo spumante più venduto nel mondo. Sono 600 milioni di bottiglie per un fatturato che passa i 3 miliardi di euro di cui il 70% realizzato all'estero con una superfice coltivata che è di quasi 35.000 ettari. A smascherare la manovra croata e l'accondiscendenza della Commissione per primo è stato il sottosegretario all'agricoltura Gian Marco Centinaio (Lega) che ha subito dato l'alt a Bruxelles. «È irricevibile la richiesta presentata dalla Croazia di dare avvio alla procedura di riconoscimento della menzione tradizionale “Prosek". La commissione europea», ha ammonito Centinaio, «blocchi subito questo tentativo e non proceda con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il rischio è altrimenti quello che finisca con il violare le sue stesse norme. L'auspicio è che nella futura decisione l'Europa prenda in considerazione anche recenti precedenti. Non più tardi di due mesi fa l'avvocato generale Giovanni Pitruzzella ha proposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea di dichiarare che il diritto comunitario tutela i prodotti Dop contro tutte le pratiche di parassitismo commerciale aventi ad oggetto indifferentemente prodotti o servizi».Chi per ora non ha parlato è il ministro agricolo Stefano Patuanelli, pentastellato, evidentemente più preoccupato di difendere le ragioni di Giuseppe Conte che non quelle dei nostri contadini. Su tutte le furie, oltre ai Consorzi del Prosecco, a Sandro Boscaini di Federvini, alle organizzazione agricole, è invece Luca Zaia, presidente leghista del Veneto che ha una doppia ragione per difendere il Prosecco: la prima è che queste «bollicine» sono uno dei motori economici della sua regione (ma anche del Friuli Venezia Giulia) e la seconda è che fu proprio lui da ministro dell'Agricoltura a individuare nel paesino di Prosecco che sta al confine tra Veneto e Friuli il toponimo che consentiva di agganciare territorialmente la produzione di questo vino - si fa da uve Glera principalmente - e di renderlo una denominazione inattaccabile. Zaia ha ricordato che in un altro caso (c'era sempre di mezzo un vino passito) l'Italia è stata sconfitta. È la famosa «guerra del Tokay» quando gli ungheresi pretesero che i friulani che da sempre coltivano un'uva chiamata Tocai cambiassero nome al loro vino bianco più rappresentativo perché «sbatteva» con il blasone del loro vino passito. Ora siamo nello stesso solco: un passito semisconosciuto chiede di poter fare concorrenza «sleale» (?) al vino italiano. Paolo De Castro (guida i socialisti e democratici in Europa sui temi agricoli) ha protestato anche lui incalzato dai deputati Pd. Peccato che lo stesso De Castro abbia detto pochi giorni fa plaudendo alla Commissione che la nuova Pac - politica agricola comunitaria - tutela i coltivatori italiani quando è vero esattamente il contrario. Deborah Serracchiani (Pd), già presidente del Friuli Venezia Giulia, ha chiesto maggiore impegno perché ben si ricorda quanto le è costata in termini di consenso la guerra del Tocai. Ma per ora da Bruxelles non sono giunte notizie. Evidentemente se stai nella maggioranza Ursula non puoi fare la voce troppa grossa. Così sui prodotti italiani si allunga, sinistra, l'ombra europea.
Christine Lagarde (Ansa)
I tassi restano fermi. Forse se ne parlerà a dicembre. Occhi sulla Francia: «Pronti a intervenire per calmare i mercati».
Peter Mandelson, amico di Jeffrey Epstein, e Keir Starmer (Getty)
Il primo ministro: «Rimosso per rispetto delle vittime». Pochi giorni fa lo difendeva.
Il problema non sono i conti pubblici, ma il deficit della bilancia commerciale. Dovuto a una moneta troppo forte, che ha permesso acquisti all’estero illimitati. Ora per tornare competitivi serve rigore, ma senza poter smorzare le tensioni sociali con la svalutazione.
2025-09-12
Migranti, Meloni: «Il governo non si rassegna. Combattiamo il traffico di esseri umani»
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Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
Il premier al Forum della Guardia Costiera: «Il Calo degli sbarchi è incoraggiante. Il nostro approccio va oltre le inutili ideologie».
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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