
Problemi con il mutuo, appartamento a rischio per un milione e mezzo di italiani. Spesso l'immobile finisce all'asta a prezzi di saldo, e parte del debito neppure si estingue. Numeri e meccanismi di un mondo opaco che sfrutta le falle del sistema.Altro che Fascisti su Marte. Più che altro, «Locuste su Roma». La scorsa settimana, al processo per una truffa da almeno 400.000 euro subita dal proprio agente, Corrado Guzzanti ha raccontato il calvario di un debitore qualunque. Un debitore a sua insaputa. Uno che sei anni fa scopre dall'ufficiale giudiziario che il manager gli aveva soffiato i risparmi, non gli aveva versato le tasse e aveva lasciato anche un bel buco in banca. L'istituto gli ha naturalmente pignorato la casa. [...] Guzzanti aveva difficoltà perfino a fare la spesa, poi, nel 2014, gli sono arrivati due lavori con i quali si è «ricomprato» la casa dalla banca. Ma per quanti italiani non finisce così? Quanti, anche senza colpa, si vedono sfilare l'appartamento in cui vivono, a prezzi di saldo e con la beffa di rimanere ancora con gran parte del proprio debito sul groppone e di essere «impacchettati» e scagliati nel girone ancora più infernale del recupero crediti? Eppure, su un fenomeno così importante e doloroso, c'è una cronica mancanza di dati. Quello delle aste è un mondo neanche troppo «di mezzo», per dirla alla Massimo Carminati, il celebre affiliato alla banda della Magliana, dove spesso un cittadino normale ha difficoltà anche solo a fare una prima offerta, senza essere avvicinato da gente che gli fa capire che «non è cosa». Ma da qualche anno i big dell'immobiliare si sono dotati di una società che, dovendo lodare le ottime prospettive del settore «esecuzioni», ha alzato il velo su quello che spesso è solo il paradiso degli sciacalli. La società si chiama Astasy (Gruppo Gabetti), talvolta opera con uno slogan di dubbio gusto come «Impara con noi a trasformare le aste immobiliari in una grande opportunità di guadagno!», però è interessata a uno svolgimento delle aste non solo più celere, ma anche meno opaco e costoso. Anche per il debitore. Secondo Astasy, nel 2017 sono stati 234.340 gli immobili finiti all'asta, ovvero 27 ogni ora. E nel 2018 si è saliti a quota 245.100, per un valore di oltre 36 miliardi, con la Lombardia a fare la parte del leone (19,5 per cento), seguita dalla Sicilia (9,7), dal Veneto, dal Piemonte (8) e dal Lazio (6,9). E al 13 marzo di quest'anno, risultano già 93.288 immobili messi all'asta. Applicando i normali coefficienti familiari, per Astasy abbiamo un totale di oltre 1.470.000 persone coinvolte e che, a causa di un mutuo non onorato, sono e restano obbligati in solido anche se inseriti solamente come garanti. Mirko Frigerio, 44 anni, amministratore delegato di questa società di consulenza, ammette che il sistema oggi non funziona: «Anche le banche, che sono nostre clienti, vorrebbero esecuzioni più rapide e a prezzi di vendita più alti, ma la colpa è del sistema giustizia che mediamente fa passare quattro anni per vendere un bene sul quale c'è un mutuo non onorato e addirittura sei se l'immobile viene da un fallimento». In media, se un cliente accende un mutuo da 120.000 euro e ne restituisce solo 15.000, la sua casa verrà messa all'asta per 100.000 euro, ma la banca vedrà tornare indietro non più di 44.000 nell'arco di cinque anni. Tra banca e cliente, si mette in mezzo un nutrito drappello di professionisti dell'esecuzione, composto da avvocati, periti del Tribunale e custodi giudiziali, che secondo Astasy si porta a casa il 25,6 per cento del valore d'asta. Per Frigerio sarebbe necessaria anche «una giustizia più preparata e che magari si ricordasse, almeno ogni tanto, di informare il debitore che se non ha altre abitazioni ha diritto alle case popolari». [...] La platea di debitori delle quale stiamo parlando, però, non è certo fatta di ricconi. Il 74 per cento degli immobili ha un valore d'asta inferiore ai 115.000 euro e solo il 16 per cento arriva a 250.000; mentre il 10 per cento va oltre questa soglia. Significa che otto esecuzioni su dieci si concentrano su un ceto medio-basso. Anzi sul famoso «ceto medio impoverito» del quale parlano tutti i politici, ma che qui non ha volto e volto non deve avere. In totale, secondo Astasy, oltre 1,1 milioni di italiani ha perso, o rischia di perdere, la casa dove vive. E di loro non sapremo nulla perché non sono attori famosi e perché non sempre, purtroppo, trovano il coraggio di un Sergio Bramini, l'imprenditore lombardo che era fallito perché lo Stato non lo pagava ed è diventato una (triste) celebrità con il risultato, almeno, che l'asta della sua abitazione è andata deserta, a ottobre, perché nessuno ha avuto il coraggio di speculare sulle sue sventure. William Shakespeare scriveva che «ognuno, con la morte, salda i propri debiti», ma la vita, purtroppo, è meno poetica. In questo milione abbondante sottoposto alle cosiddette esecuzioni immobiliari, locuzione involontariamente sinistra, ci saranno coloro che si sono comprati macchinoni che non si potevano permettere o sono stati beccati a non pagare le tasse. Ci sono anche figli che ereditano i pasticci finanziari dei genitori, coppie che senza colpa perdono il lavoro, divorzi sanguinosi, attività commerciali travolte dalla crisi, lavoratori autonomi che hanno il torto di ammalarsi. Non solo, ma sono tantissimi i piccoli imprenditori che non avevano contratto alcun mutuo, però avevano fatto investimenti «sfortunati» consigliati dalla banca stessa, che alla fine gli porta anche via la casa. In Veneto, dove sono saltate due Popolari, ne sanno qualcosa.Il savonese Giovanni Pastore, settant'anni dei quali 40 passati a Milano da imprenditore, è uno dei fondatori dell'associazione Favor debitoris e alla fine è uno dei massimi esperti del ramo. Pastore ha calcolato che il creditore recupera solo il 30 per cento del dovuto, mentre il debitore che si vede sfilare una casa da 130.000 euro, mediamente rimane comunque con 50-60.000 euro da saldare. «Non solo gli portano via la casa, ma gli resta metà del debito e a volte gli immobili vengono rilevati da soggetti sui quali ha lanciato l'allarme anche la Procura nazionale antimafia». Mercoledì 13 marzo, la Dda di Venezia ha sequestrato alla cosca Grande Aracri di Cutro ben 146 appartamenti nel Parmense. E un centinaio di immobili, la settimana prima, erano stati requisiti alla nuova cupola di Palermo. Ebbene, gli inquirenti fanno notare che molto spesso queste montagne di case e capannoni sequestrati alle mafie erano state comprate «cash» in asta.Chi riesce a comprare alle aste, di solito rileva la casa a un terzo del valore di chiamata, per poi rivenderlo al 70-80 per cento del valore di mercato. Pastore riassume così la faccenda: «Il drappello dei professionisti guadagna quasi un terzo di quanto recuperano i creditori. Invece gli speculatori, solo comprando e rivendendo lo stesso appartamento, lucrano più del creditore». Rimane incredibile, al netto della sofferenza e delle ingiustizie, che alle banche e alle loro fondazioni socie (spesso impegnate nel sociale) sfugga quanto sia suicida accettare un sistema così diseconomico e con un potenziale danno reputazionale tanto elevato. [...]
Matteo Salvini (Ansa)
Il ministro: «Le toghe politicizzate sono una minoranza pericolosa da isolare per il bene della democrazia». L’ex membro Csm: «Le opinioni dell’Anm si riverberano sulle inchieste». Ambrogio Cartosio: «Ricostruzioni fantasiose».
La verità fa male: lo scoop di ieri del nostro giornale, con l’intervista del vicedirettore Giacomo Amadori al giudice Anna Gallucci, fa tornare indietro di anni le lancette del rapporto tra politica e magistratura e scatena la inevitabile indignazione di Matteo Salvini. La Gallucci ha rivelato, tra le altre cose, un episodio inquietante accaduto a Termini Imerese e risalente al 2018: «ll procuratore (Ambrogio Cartosio, ndr), titolare per legge dei rapporti con i cronisti», ha raccontato tra l’altro la Gallucci, «mi autorizzò a partecipare con lui a una conferenza stampa, all’indomani delle elezioni politiche del 2018.
Roberto Scarpinato (Imagoeconomica)
La presunta frode elettorale travolse i leghisti. Ma a processo è finito solo un «big» delle preferenze del centrosinistra. Il pm di allora conferma tutto. E va al contrattacco.
L’intervista a questo giornale della pm di Pesaro Anna Gallucci ha scosso il mondo politico e quello giudiziario. La toga ha denunciato il presunto indirizzo «politico» dato alla maxi inchiesta Voto connection della Procura di Termini Imerese, dove la donna lavorava, un’indagine che riguardava voto di scambio (riqualificato dal gip in attentato contro i diritti politici dei cittadini), favoritismi e promesse di lavoro in vista delle elezioni comunali e regionali del 2017. La pm ci ha rivelato che l’allora procuratore Ambrogio Cartosio (che ha definito la ricostruzione della ex collega come «falsa» e «fantasiosa») la avrebbe spronata a far arrestare due esponenti della lista «Noi con Salvini», specificando che «era un’iniziativa condivisa con il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato» e l’avrebbe, invece, invitata a chiedere l’archiviazione per altri soggetti legati al centro-sinistra. Ma la Gallucci non avrebbe obbedito. Un’«insubordinazione» che la donna collega ad alcune sue successive valutazioni negative da parte dei superiori e a una pratica davanti al Csm.
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Performance a tripla cifra per Byd, Lynk&Co e Omoda/Jaecoo grazie agli incentivi.
Byd +535,3%, Lynk&Co +292,3%, Omoda/Jaecoo +386,5%, «altre» +419,2% e fra queste c’è Leapmotor, ovvero il partner cinese di Stellantis che raggiunge l’1,8% della quota di mercato solo a novembre. Lo scorso mese le immatricolazioni auto sono rimaste stabili nei confronti dello stesso periodo di un anno fa, tuttavia c’è stato un +131% circa delle vetture elettriche, grazie agli incentivi che hanno fatto felici i principali produttori di veicoli a batteria: i cinesi. Come emerge appunto dalle performance a tripla cifra messe a segno dai marchi dell’ex celeste impero. La quota di mercato delle auto elettriche è volata così nel mese al 12,2%, rispetto al 5,3% del novembre 2024.
«La spinta degli incentivi ha temporaneamente mitigato l’anomalia del mercato italiano, riavvicinandolo agli standard europei», sottolinea il presidente di Motus-E, Fabio Pressi. «Appurato l’interesse degli italiani per la mobilità elettrica, strumenti di supporto alla domanda programmatici e prevedibili conseguirebbero anche da noi risultati paragonabili a quelli degli altri grandi mercati Ue», osserva ancora Pressi, citando a titolo d’esempio «l’ormai improcrastinabile revisione della fiscalità sulle flotte aziendali».
Friedrich Merz e Ursula von der Leyen (Ansa)
Pure Merz chiede a Bruxelles di cambiare il regolamento che tra un decennio vieterà i motori endotermici: «Settore in condizioni precarie». Stellantis: «Fate presto». Ma lobby green e socialisti europei non arretrano.
Il cancelliere Friedrich Merz ha annunciato che la Germania chiederà alla Commissione europea di modificare il regolamento europeo sul bando dei motori endotermici al 2035. Il dietrofront tedesco sul bando ai motori a combustione interna, storico e tardivo, prende forma in un grigio fine settimana di novembre, con l’accordo raggiunto fra Cdu/Csu e Spd in una riunione notturna della coalizione a Berlino.
I partiti di governo capiscono «quanto sia precaria la situazione nel settore automobilistico», ha detto Merz in una conferenza stampa, annunciando una lettera in questo senso diretta a Ursula von der Leyen. La lettera chiede che, oltre ai veicoli elettrici, dopo il 2035 siano ammessi i veicoli plug-in hybrid, quelli con range extender (auto elettriche con motore a scoppio di riserva che aiuta la batteria) e anche, attenzione, «motori a combustione altamente efficienti», secondo le richieste dei presidenti dei Länder tedeschi. «Il nostro obiettivo dovrebbe essere una regolamentazione della CO2 neutrale dal punto di vista tecnologico, flessibile e realistica», ha scritto Merz nella lettera.






