
È crisi politica in Pakistan. Domenica scorsa, il primo ministro, Imran Khan, è stato sfiduciato dal parlamento. Un avvenimento che potrebbe causare delle significative conseguenze geopolitiche. La svolta è avvenuta dopo che la Corte Suprema del Paese aveva respinto il tentativo del premier di bloccare un precedente voto di sfiducia, annullando inoltre il suo sforzo per scogliere il parlamento e indire nuove elezioni. Secondo quanto riferito dalla Cnn, il diretto interessato ha affermato di essere rimasto vittima di una "cospirazione straniera", connessa in qualche modo agli Stati Uniti. Una tesi, questa, seccamente respinta da Washington. “Stiamo seguendo da vicino gli sviluppi in Pakistan e rispettiamo e sosteniamo il processo costituzionale e lo stato di diritto del Pakistan, ma quando si tratta di queste accuse, non c'è alcuna verità in esse”, ha dichiarato il Dipartimento di Stato americano. Il premier uscente ha del resto incontrato numerose difficoltà in questi anni. Cominciamo col dire che il Pakistan ha una storia politica notoriamente turbolenta. In questo quadro, la premiership di Khan non ha fatto eccezione: costui è infatti rimasto impelagato in una serie di crescenti problemi da quando è salito al potere nel 2018. La sua vittoria fu innanzitutto accompagnata da accuse di brogli elettorali. Successivamente è stato criticato per la sua non eccellente gestione dell’economia nazionale: in particolare, il Pakistan sta sperimentando una crescente inflazione. Tutto questo gli ha alienato non solo le simpatie di alcuni settori politici, ma anche delle forze armate. E qui veniamo ai nodi di politica estera. L’esercito pakistano non ha infatti gradito troppo la linea del premier, che si è contraddistinta per un progressivo avvicinamento all’asse sino-russo e per un conseguente allontanamento dall’orbita statunitense. Si sono verificati innanzitutto degli attriti tra Khan e Joe Biden per la situazione in Afghanistan (anche perché il primo ministro ha giocato notoriamente di sponda con Pechino per rafforzare la propria influenza sul nuovo regime di Kabul). In secondo luogo, il premier pakistano si è recato a inizio febbraio a Pechino, per assistere alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici. Inoltre, il giorno stesso dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, Khan si trovava a Mosca, per incontrare Vladimir Putin. Una serie di mosse che hanno irritato significativamente i vertici delle forze armate pakistane. Lo scorso 2 aprile, il capo di stato maggiore, Qamar Javed Bajwa, ha duramente condannato l’invasione russa dell’Ucraina. “Purtroppo l'invasione russa dell'Ucraina è molto sfortunata, in quanto migliaia di persone sono state uccise, ci sono milioni di profughi e metà dell'Ucraina è stata distrutta”, aveva dichiarato. “Nonostante le legittime preoccupazioni per la sicurezza della Russia, la sua aggressione contro un Paese più piccolo non può essere condonata. Il Pakistan ha costantemente chiesto un cessate il fuoco immediato e la cessazione delle ostilità”, aveva aggiunto. Javed Bajwa sottolineò anche che il Pakistan condivideva “una lunga storia di eccellenti relazioni con gli Stati Uniti”. Parole, quelle del capo di stato maggiore, che – secondo molti osservatori – rappresentavano una stoccata implicita a Khan, il quale si è invece sempre rifiutato di condannare l’invasione russa dell’Ucraina. È ancora troppo presto per parlare degli effetti geopolitici della sfiducia a Khan. È tuttavia ragionevole ritenere che questo evento non faccia troppo piacere a Kabul, Mosca e Pechino. Dall’altra parte, l’India è probabilmente tutt’altro che insoddisfatta, mentre quanto accaduto potrebbe contribuire (almeno parzialmente) a rilanciare l’influenza americana sull’Asia meridionale.
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