2019-07-29
Gian Carlo Blangiardo: «La crisi demografica? L’Italia sia più grata a quelli che fanno figli»
Il presidente dell'Istat: «I bimbi sono un investimento a beneficio di tutta la comunità. Servono incentivi fiscali e aiuti alle mamme».Gian Carlo Blangiardo è presidente dell'Istat dal 4 febbraio 2019. Intorno alla sua nomina erano divampate aspre polemiche: L'Espresso lo aveva addirittura definito «ultras leghista». A marzo era atteso come relatore dal Congresso delle famiglie di Verona. La sua partecipazione aveva sollevato un polverone. Così, Blangiardo ha rinunciato a parlare dal palco della città scaligera, per «evitare che una decisione del tutto personale» fosse interpretata come «una decisione del presidente dell'Istat». Presidente, allora si può dire che «personalmente» lei condivide la battaglia per la difesa della famiglia naturale?«Su questo tema non mi avventuro».Non si avventura?«No, non ne voglio parlare nelle mie vesti attuali. No comment…».E di che si può parlare?«Di tutto ciò che posso dire in qualità di presidente dell'Istat».Di crisi demografica dell'Italia, ad esempio. Le sue cause sono più economiche o culturali?«C'è un mix di fattori che riguardano aspetti economici, aspetti organizzativi, qualche volta anche situazioni normative, tipo quelle che rendono impossibili i percorsi di conciliazione. E, indubbiamente, c'è una componente culturale».In cosa consiste la componente culturale?«Nella scarsa gratificazione che viene accordata a chi fa la scelta di avere dei figli. E si trova sulle spalle tutto il carico economico e organizzativo, senza nemmeno la soddisfazione di vedersi riconosciuto il valore sociale della sua scelta».Lei dice che c'è uno stigma su chi sceglie di fare dei figli?«No, non uno stigma».Che cosa, allora?«Non è una cosa che viene vista male. Ma non è nemmeno una cosa che viene vista bene».In che senso?«Fare figli è un investimento a carico delle famiglie, i cui effetti però si ripercuotono positivamente sulla collettività».Quindi?«Sarebbe legittimo aspettarsi che la collettività gratifichi chi sta facendo una cosa che torna comoda a tutti».Ci sono misure economiche utili a invertire questa tendenza demografica? «Chiaramente, siccome uno dei fattori che scoraggia la natalità sono i suoi costi, se si riducono i costi gli effetti arrivano. Ed è vero anche che, in Europa, ci sono stati Paesi in cui gli interventi economici a favore della famiglia hanno avuto un ruolo nel mitigare l'inverno demografico».Quali?«Il caso classico è la Francia, con il quoziente familiare e altri interventi di natura fiscale: adesso ha 300.000 nati in più di quanti ne abbia l'Italia».Paesi come l'Ungheria hanno investito cifre importanti nelle politiche familiari. Sono modelli da imitare?«Ci sono vari Paesi che si trovavano in una situazione di crisi demografica, forse non grave come quella italiana, ma che, con interventi di natura economica, hanno leggermente invertito la tendenza. Lei cita l'Ungheria, io aggiungerei l'Austria, la Danimarca, la Germania».Cos'è successo in queste nazioni?«Nulla di straordinario, per carità. Ma i dati Eurostat mostrano che il tasso di natalità, che in Italia continua a scendere, lì ha avuto una leggera ripresa».Esiste anche un problema legato all'occupazione femminile? Al fatto che la donna spesso si trovi costretta a scegliere tra carriera e famiglia?«Bisogna confutare l'idea che l'occupazione femminile non possa accompagnarsi a una natalità relativamente alta. Dati alla mano, è quello che ci dice l'esperienza di vari Paesi in cui la donna è più presente sul mercato del lavoro, ma nei quali la fecondità è più alta che da noi. Ma bisogna creare le condizioni affinché i due ruoli, di madre e di lavoratrice, siano resi compatibili».In che modo? «Si deve partire da una maggiore suddivisione dei compiti all'interno della coppia. Poi, bisogna aiutare economicamente le aziende. E ci vuole più disponibilità da parte dei datori di lavoro».Può fare un esempio?«Gliene faccio uno che riguarda proprio l'Istat».L'Istat? Cioè?«Qui, fino a qualche giorno fa, chi voleva avere un permesso di maternità doveva prendere la mezza giornata. Magari, però, una mamma doveva soltanto accompagnare il figlio all'asilo».E le cose sono cambiate?«Sì, abbiamo cambiato la regola. Per cui, se una mamma ha bisogno di due ore per sbrigare impegni familiari, non deve più giocarsi lo stipendio di mezza giornata».Si assenta due ore e dopo torna a lavorare.«Esatto. Come vede, non ci vuole molto per adottare delle misure che, per carità, non risolvono totalmente la situazione. Ma almeno danno una sensazione di vicinanza da parte delle imprese e dei datori di lavoro ai problemi delle donne del nostro tempo».Alcuni sostengono che per invertire il calo demografico ci vogliono più immigrati. È la verità?«Partiamo da tre dati di fatto. La popolazione italiana è diminuita. Non in maniera drammatica, ma è diminuita. È in corso un processo d'invecchiamento. E la natalità è particolarmente bassa».Da qui cosa si può dedurre?«Che qualunque fenomeno contribuisca a modificare questi numeri può avere un effetto positivo».Inclusa l'immigrazione?«È un dato di fatto, che prescinde dalle ideologie. C'è un contributo innegabile degli immigrati al ringiovanimento della popolazione e alla natalità. Poi non vuol dire che sia un contributo risolutivo».L'immigrazione, però, non ha solo un impatto demografico, ma anche sociale e culturale. Al netto di tutti questi elementi, per noi resta conveniente?«Non posso dare valutazioni, non è il mio mestiere attuale. Io posso trasmettere dei dati da consegnare al dibattito politico».Ed economicamente? Gliela metto in termini liberali: dai numeri non si può evincere nemmeno se gli immigrati sono produttori o consumatori di tasse?«No, è un dibattito che esula dalle statistiche ufficiali. Non sono in grado, come Istat, di offrire questa valutazione. Ci sono altri istituti, fondazioni, pensatoi, che le propongono».E questo tipo di rilevazioni l'Istat non le ha in programma?«Be', mai porre limiti alla provvidenza… Al momento non esistono statistiche così, ma nulla vieta che, se ce ne sarà la necessità, si elaborino questi dati. Sempre per comprendere i fatti in modo oggettivo, al di là di qualunque valutazione ideologica».Scusi, ma non possiamo nemmeno capire se c'è una differenza tra immigrazione qualificata e non qualificata? Tra un ingegnere indiano e un meccanico senegalese? «Che esista una differenza di questo tipo lo capirebbe qualunque persona di buon senso». E l'immigrazione in Italia non è troppo sbilanciata sul secondo tipo di nuovi arrivati?«Stiamo girando intorno a un argomento sul quale io espongo la posizione ufficiale dell'Istat, ma non esprimo valutazioni personali».Va bene. Le chiedo un'altra cosa che sta molto a cuore agli italiani, visto che il Paese sta invecchiando.«Prego».Si può mantenere sostenibile il sistema pensionistico sul lungo periodo, senza tenere le persone a lavoro fino a età improponibili?«Il sistema pensionistico funziona con delle regole che si potrebbero quasi definire ragionieristiche: si versano dei soldi che si riporteranno a casa quando si andrà in pensione. E quindi è tutto giocato sull'equilibrio tra contribuenti e beneficiari».E per effetto dell'invecchiamento della popolazione, nei prossimi anni il numero di contribuenti si ridurrà, mentre i beneficiari aumenteranno.«Questa è una dinamica oggettiva».E per far quadrare i conti?«Per far quadrare i conti ci sono delle leve, economiche e normative».Cioè?«Quelle economiche: aumentiamo i contributi. Quelle normative: aumentiamo gli anni di servizio». La soluzione qual è?«A meno che non si determini un aumento enorme della produttività del lavoro, credo che i governi continueranno a dosare quelle due leve».L'Italia sta invecchiando, ma l'aspettativa di vita è una delle più alte al mondo. Qual è il segreto della nostra longevità?«Fattori genetici, il regime alimentare, lo stile di vita, meno stressante rispetto a quello di altri Paesi. E anche il sistema sanitario: siamo abituati a parlare di malasanità, ma non siamo poi messi così male».La sanità italiana ha retto alle politiche di austerità e ai tagli?«Da assistito del servizio sanitario nazionale, direi che la nostra sanità è ancora ottima. Siamo tra i primi al mondo».Visto che si vive così a lungo, ci sa dire quanti sono i centenari nel nostro Paese?«Sono 14.000».Quattordicimila?«Pensava fossero meno?».Sinceramente sì.«Se aspetta altri 20 anni, ne avrà 50.000 in più».Ci sarà un tale allungamento dell'aspettativa di vita?«Non è solo l'allungamento dell'aspettativa di vita che influisce».Che altro?«Prendiamo un anno, il 1965. I bambini nati allora sono stati oltre un milione. Hanno subito una selezione per morte più clemente delle generazioni precedenti. E così alimenteranno la platea degli ultracentenari tra una quarantina d'anni, creando un effetto che noi chiamiamo strutturale: una grande corte di nati produce tanti vecchi».E l'effetto strutturale quanto durerà?«Proiettiamoci verso la fine del secolo: i centenari saranno i bambini nati all'inizio del secolo, ma da una generazione molto meno numerosa. Per cui, nel 2100, di centenari se ne vedranno molti meno».