Dopo la liberazione di Karkhiv la guerra torna in stallo. Il che facilita lo scambio di 300 prigionieri. La posta in gioco resta il Donbass. Giallo sulla chiamata di «un milione di riservisti»: il Cremlino nega. La Finlandia intanto smentisce l’esodo dei russi al suo confine.
Dopo la liberazione di Karkhiv la guerra torna in stallo. Il che facilita lo scambio di 300 prigionieri. La posta in gioco resta il Donbass. Giallo sulla chiamata di «un milione di riservisti»: il Cremlino nega. La Finlandia intanto smentisce l’esodo dei russi al suo confine.La controffensiva ucraina, pompata con grossi titoli dall’informazione anche per effetto della propaganda che faceva credere che poco mancasse a Kiev per riprendersi quasi tutti i territori annessi dalla Russia, al momento pare essere in stallo. Il silenzio è calato sulla situazione dopo i notevoli successi riportati dagli ucraini a Karkhiv, ma il quadro è statico soprattutto nell’area di Kherson. La linea del fronte meridionale, infatti, dall’inizio dei contrattacchi ucraini non si è spostata. Nel Sud dell’Ucraina, in definitiva, Kiev continua a colpire il materiale e i veicoli militari russi senza avanzare e questo sembra quasi voler essere un modo per «distrarre» Mosca dal vero fronte, che era e resta il Donbass. Lo slancio iniziale di Kiev, aiutato dai nuovi rifornimenti di armi occidentali e da una certa «stanchezza» delle truppe russe, è insomma stato perso. In ogni caso, Kiev non demorde, forte dei risultati nell’oblast di Kharkiv, ed è ora la regione di Lugansk a poter riservare delle sorprese. Mosca è estremamente cauta e si attesta sulla difensiva, in quanto teme che l’ammassamento di uomini e mezzi per un’azione più consistente possa sguarnire qualche altra area sulla linea del fronte. Le truppe ucraine hanno segnato un buon punto a loro favore riprendendo Bilohorivka, una località che dista 20 chilometri a Ovest dalla zona dove si trovano le città strategiche di Lysychansk e Severodonetsk, che dal 3 luglio sono in mano ai russi. Sono questi gli sviluppi che la Russia sta attenzionando per non trovarsi in condizione di non avere più pieno controllo della regione di Lugansk. Per consolidare le posizioni guadagnate, gli indipendentisti del Donbass e il Cremlino sono pronti ad accelerare sullo svolgimento dei referendum per l’annessione dei territori conquistati. Tutto sta accadendo rapidamente: tra oggi e il 27 settembre si dovrà tenere il referendum sull’annessione alla Russia nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk e nei territori controllati dai russi delle regioni di Kherson e di Zaporizhzhia. Il 28 si dovrebbe svolgere la proclamazione dei risultati e il 29 la ratifica. In pochi giorni, quindi, il 15% dell’Ucraina potrebbe diventare Russia. Con l’annessione dei territori il Cremlino potrà invocare la dottrina militare che prevede l’uso dell’arma atomica in caso di attacco nucleare, ma anche se il territorio della Federazione dovesse affrontare «una minaccia esistenziale», come appunto un’invasione. Il campo comunque rimanda una situazione in cui l’allarme della Russia rispetto al fatto che l’Ucraina abbia rialzato la testa e che disponga di armi occidentali «fresche» è presente, ma anche in questo caso c’è stata forse troppa enfatizzazione. L’annunciata (da parte del ministro della Difesa, Sergei Shoigu) mobilitazione di 300.000 riservisti russi fa pensare di certo a qualche difficoltà anche se, del resto, la scarsità delle risorse umane russe non è un mistero e anzi si è aggravata ulteriormente con la sconfitta sul fronte di Karkhiv. Il fatto che Mosca mobiliti tante forze, pur con l’obiettivo di mantenere quanto conquistato, non esclude però che i russi non siano mossi solo dal timore ma dalla volontà di lanciare azioni offensive, per completare il controllo delle regioni occupate fino ai loro confini amministrativi. Risulterebbe invece non fondata, almeno stando alla smentita di Putin, la notizia di fonte russa secondo la quale Mosca avrebbe intenzione di richiamare addirittura un milione di riservisti, dunque un numero ben superiore rispetto a quello «annunciato». Altro «giallo» riguarda la presunta fuga di cittadini russi verso la Finlandia dopo l’annuncio della mobilitazione. Sui social sono stati mostrati video di russi che starebbero scappando o sono già riusciti a superare il confine con la Finlandia. Il Paese nordeuropeo è intervenuto e ha precisato che la situazione ai suoi confini è normale. I video messi in circolazione, che mostrano code di auto alle frontiere, secondo le autorità finlandesi, «sono stati registrati in momenti precedenti e sono stati mostrati fuori dal loro reale contesto». In ogni caso, Berlino ha aperto le sue porte ad eventuali «disertori russi», offrendo protezione internazionale. Un indizio che fa infine propendere per l’idea dello «stallo» è lo scambio di prigionieri avvenuto tra Russia e Ucraina, il più grosso dall’inizio della guerra: ha coinvolto circa 300 persone, tra cui ucraini, russi e dieci combattenti stranieri che si erano uniti all’esercito ucraino. Il tempismo di questo scambio ha sorpreso gli osservatori, dal momento che gli sforzi militari dei due eserciti sembrano intensificarsi in questa fase. Tra i prigionieri scambiati ci sono 215 ucraini, la maggior parte dei quali erano soldati che nei primi mesi della guerra combatterono per difendere Mariupol. In cambio l’Ucraina ha liberato 55 russi e ucraini filorussi. Tra questi anche Viktor Medvedchuk, oligarca ucraino filorusso considerato uno dei maggiori alleati di Putin.
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