2021-01-07
La Cina usa il Covid per fare la guerra alla carne di maiale made in Italy
Sequestrati i container delle nostre aziende: il Paese piegato dalla peste suina sfrutta il protezionismo. Crollo del mercato.Squadra in pegno a Jack Ma, sparito da mesi. Stretta di Xi Jinping sulle società online.Lo speciale contiene due articoli.La Via della seta è un senso unico - solo la Cina esporta senza limiti - con divieto d'accesso per la carne di maiale italiana. Pechino senza alcun fondamento scientifico ne ha bloccato l'importazione sostenendo che «sugli imballaggi potrebbe annidarsi il Covid». Che sarebbe poi il virus cinese. Lo denuncia Opas, uno dei due macelli (l'altro è Italcarni) autorizzati a commercializzare in Cina. Il blocco di due container di carne di maiale disossata e congelata -la sola che si può esportare così come prevedono gli accordi raggiunti dopo anni di veto da Gian Marco Centinaio della Lega quando era ministro dell'Agricoltura - è stato messo in atto il 3 gennaio a Don Guan con quello che appare un evidente pretesto. Dopo lo sbandierato accordo che l'Europa - presenti solo Angela Merkel ed Emmanuel Macron - ha siglato con Pechino per i reciproci investimenti, si è avuto un immediato contraccolpo sulle merci italiane. Opas denuncia infatti che verranno distrutti altri 40 container di carne suina già in viaggio verso il porto di Yantian per un valore di 2,5 milioni euro. Il deputato di Forza Italia Raffele Nevi commenta: «Non vorrei che dietro la mossa cinese ci sia la volontà di protezionismo per la merce locale. In Parlamento chiederò ai ministri Teresa Bellanova e Luigi Di Maio di intervenire subito per interrompere questa pratica sleale sul nascere sempreché il governo non sia troppo concentrato sui litigi interni». Anche il presidente di Coldiretti Ettore Prandini parla di mossa protezionistica e sottolinea: «Che gli imballaggi possano essere contaminati è accusa paradossale e palesemente infondata che viene da un Paese sul quale pesa peraltro l'ombra dell'omertà sulla pandemia. Le autorità cinesi minacciano ora di impedire a Opas e ad altre società europee di esportare la carne italiana. I container sono stati venduti a Cofco, la più importante società cinese di importazione alimentare a partecipazione statale (6 miliardi di fatturato) che, tra l'altro, sembra coinvolta anche nel rilancio del porto di Taranto».Cofco è usata da Xi Jinping come uno strumento di pressione. Il presidente cinese aprendo e chiudendo i rubinetti dell'import condiziona le scelte degli altri Paesi. Gli Usa, appena hanno criticato la repressione a Hong Kong, hanno avuto bloccate le importazioni di soia. Per i suini lo scenario è ancora più complesso. È in atto una doppia guerra: sanitaria e sui prezzi. Innescata peraltro dalla Cina che ha tre giganteschi problemi: è il primo Paese per consumo di carne di maiale, ha gli allevamenti decimati dalla peste africana che ha autoimportato dagli allevamenti che ha nel continente nero salvo poi contaminare anche l'Europa occidentale e ha oggi una fortissima preoccupazione per un nuovo virus simile a quello dell'influenza H1n1. George Gao e Jinhua Liu, ricercatori delle università agrarie di Pechino e Shandong, hanno scoperto che il virus è in grado di attaccare l'uomo, ma non è ancora trasmissibile da uomo a uomo. La Cina però teme di dover fare i conti con un nuovo azzeramento della sua produzione di maiale. Dopo l'attacco di peste africana ha perduto più del 60% degli allevamenti ed è diventata fortemente dipendente dall'estero. Ha cominciato a comprare ovunque e il suo primo fornitore europeo era la Germania dove però si è egualmente diffusa la peste africana. E Pechino ha stoppato gli acquisti. Berlino così adesso sta cercando di colonizzare l'Europa e prova a fare dumping sul mercato internazionale. «La crisi è durissima», sostiene Guglielmo Golinelli, deputato della Lega e uno dei principali e migliori allevatori di maiali di razze italiane, «I cinesi cercano di riconquistare la loro produzione, noi italiani che siamo deficitari perché importiamo circa il 40% del nostro fabbisogno veniamo invasi dai maiali tedeschi e i prezzi crollano. La prospettiva dell'export verso l'Oriente era una possibile fonte di marginalità positiva, ma ora per colpa della Germania si sta bloccando. Il Giappone non vuole più neppure maiali che siano solo passati attraverso la Germania: chi compra maialini da ingrasso si trova con la merce invenduta. Stiamo tutti lavorando in perdita».I prezzi non tengono. Un anno fa la carne si vendeva a 1,65 euro al chilo (prezzo vivo) oggi è sotto 1,20; un lattonzolo, cioè un maialino da ingrasso, valeva 100 euro, oggi non arriva a 60 e «produrlo» non costa meno di 85; un anno fa la Germania vendeva maiali di massimo un quintale, oggi li svende a 160 chili di peso. La Cina lo sa e attua il protezionismo, la Germania che proprio nei macelli suini ha avuto grandi focolai di virus cinese lo sa e cerca di bloccare i potenziali concorrenti, l'Europa lo sa, ma non fa nulla. L'Italia - a causa della Via della seta firmata dal Conte bis -ha precisi limiti all'export agroalimentare mentre la Spagna in Cina vende di tutto. Così gli spagnoli nei nostri macelli comprano le teste di maiale e poi le rivendono in Cina a un prezzo cinque volte maggiore. Perché tranne il nostro governo lo sanno tutti che del maiale non si butta via niente. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-cina-usa-il-covid-per-fare-la-guerra-alla-carne-di-maiale-made-in-italy-2649770708.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="l-inter-finisce-nel-braccio-di-ferro-fra-pechino-e-il-colosso-alibaba" data-post-id="2649770708" data-published-at="1609963103" data-use-pagination="False"> L'Inter finisce nel braccio di ferro fra Pechino e il colosso Alibaba Il Pcc, ovvero il Partito comunista cinese, vuole allargare il controllo sulle società anche all'estero. La stretta è partita dai giganti tech come Alibaba il cui fondatore, Jack Ma, non fa sentire la sua voce né compare in pubblico da ormai due mesi. Pechino teme il potere dei suoi magnati della tecnologia, sempre più percepiti come una seria minaccia alla stabilità finanziaria e agli assetti di potere, particolarmente a cuore del presidente Xi Jinping. Con una serie di norme introdotte a settembre, la fintech di Alibaba, Ant, e altri conglomerati sono già stati obbligati a costituire società di partecipazione finanziaria. I funzionari della Banca centrale People's bank of China hanno inoltre chiesto ad Ant di tornare alle proprie origini di provider di servizi di pagamento, con il rischio di ridurre la crescita nel suo business più redditizio, quello dei prestiti ai consumatori e della gestione dei patrimoni. Non solo. Le autorità di regolamentazione cinesi stanno cercando di spingere Ma a condividere i dati relativi al credito dei consumatori raccolti dalla propria app di pagamento Alipay. L'app, utilizzata da oltre 1 miliardo di persone, possiede enormi quantità di dati sulle abitudini di spesa dei cinesi, sui loro prestiti e sulla cronologia dei pagamenti di fatture e mutui. Con queste informazioni, Ant ha concesso prestiti a mezzo miliardo di persone, utilizzando circa 100 banche commerciali per fornire la maggior parte dei finanziamenti. Le autorità starebbero dunque pensando di richiedere ad Ant di inserirei suoi dati in un sistema nazionale di credit reporting gestito dalla People's bank of China oppure di condividere le informazioni con una società di rating del credito, sempre controllata dalla Banca centrale. Proprio ora che il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha firmato un ordine esecutivo che vieta le transazioni con otto app cinesi, tra cui Alipay, e altre di proprietà del colosso tech Tencent. Secondo Trump, le app possono accedere alle informazioni private dei loro utenti, che potrebbero essere usate dal governo cinese per «rintracciare la posizione di dipendenti federali e costruire dei dossier» su cittadini statunitensi. L'ordine entrerà in vigore tra 45 giorni, quando Trump avrà già lasciato la Casa Bianca. Nel frattempo, il fondatore di Alibaba è sparito dai radar dopo il naufragio della mega Ipo di Ant group e il Pcc allarga il mirino anche alle sue attività all'estero. Tra queste potrebbe finire anche l'Inter che risulta in pegno proprio a Jack Ma. Come ha riportato Il Corriere della Sera, infatti, il 4 dicembre scorso l'imprenditore cinese Jindong Zhang, proprietario dell'Inter, e il figlio Kangyan, presidente del club, hanno dato in garanzia i gioielli di famiglia a una società del gruppo Alibaba. Comprese 65.000 azioni di Suning real estate, dove è concentrato questo portafoglio di famiglia, Inter compresa (il pegno riguarda perciò la quota di controllo a monte del club nerazzurro). Sotto il controllo di Shg ci sono grandi proprietà immobiliari, attività nei servizi finanziari e nello sport, con i diritti tv del calcio europeo per la Cina. E poi l'Inter di cui Shg possiede indirettamente il 68% (il 31% è a Cayman, proprietà del fondo Lionrock). La società nerazzurra si è così ritrovata a ricoprire il ruolo di collaterale di un debito. In mezzo alla guerra tra il fondatore del colosso che lo tiene in pegno e il Partito comunista cinese.