2020-04-10
La Cina ha riaperto i mercati dell’orrore
Nei «wet market» si vendono animali esotici ancora vivi: così sono esplose la prima epidemia di Sars e poi quella di Covid-19. Se Pechino non imporrà norme più rigide e non impedirà la macellazione di specie portatrici di virus, i rischi saranno enormi. La città di Wuhan, da qualche giorno, ha ricominciato a vivere. E tra le numerose attività che hanno riaperto i battenti c'è anche il mercato del pesce di Huanan. Con tutta probabilità il Covid-19 è nato proprio lì, negli anfratti umidi del «wet market» di questa città nella provincia cinese di Hubei, prima semisconosciuta e ora tristemente famosa in tutto il mondo. Un «mercato bagnato» in cui si vendeva ogni genere di animale selvatico. L'agenzia France press ha diffuso il listino dei prezzi di un commerciante locale: comprendeva «zibetti, ratti, serpenti, salamandre giganti e persino cuccioli di lupi vivi». Nei mercati come quello di Wuhan non ci sono frigoriferi, manca la corrente elettrica, ragion per cui gli animali vengono venduti ancora vivi, e macellati sul posto. Tramite questi massacri a cielo aperto, all'inizio degli anni Duemila, è esplosa la prima grande epidemia di Sars (per la precisione di Sars-CoVs, virus fratello del Sars-Cov-2 che ha colpito pure noi). Il giornalista David Quammen, nel bestseller Spillover, spiega che la Sars si sviluppò «nella provincia di Guangdong, la più meridionale della Cina continentale». Il virus è arrivato all'uomo in modo brutale: tramite il consumo di animali selvatici. «Mangiare serpenti non è insolito nel Guangdong, una provincia abitata da carnivori impenitenti e non schizzinosi, dove i menù potrebbero essere scambiati per la lista degli ospiti di uno zoo», scrive Quammen. Alcuni casi di Sars, prosegue il giornalista, si manifestarono a Zhongshan, città portuale cinese a sud di Canton. Uno degli infetti era un cuoco, «anche lui dedito alla preparazione di piatti a base di serpenti, volpi, zibetti e ratti». Il Coronavirus-Sars ce lo hanno regalato quasi sicuramente gli zibetti, animali simili alle manguste. Il Sars-Cov-2, invece, probabilmente arriva dai pipistrelli. Sulle prime numerosi ricercatori a livello internazionale hanno ipotizzato che fosse arrivato all'uomo tramite il pangolino, altro animale piuttosto diffuso nei «wet market». pipistrello pericolosoSecondo una ricerca guidata dal professor Massimo Ciccozzi dell'Università campus bio-medico di Roma, tuttavia, il pangolino è innocente. La macellazione di pipistrelli sarebbe la causa scatenante. Quando il venditore del mercato uccide l'animale, dice lo studioso, «le mani si imbrattano di sangue. Quindi, probabilmente questo virus è passato all'uomo tramite il sangue e poi è andato in circolo. Ha riconosciuto le cellule con il recettore, come una serratura, è entrato e ha innescato l'epidemia: questa è l'ipotesi. Prima dall'animale all'uomo attraverso le mani e poi la trasmissione è avvenuta per via respiratoria, umana, tramite fluidi, colpi di tosse, starnuti. Come avviene per una normale influenza».Già, la trasmissione. Secondo il network americano Abc, un rapporto del National center for medical intelligence aveva messo in guardia la Casa bianca sulla diffusione del contagio da coronavirus nella zona di Wuhan già alla fine di novembre del 2019. Ciò da un lato significa che il governo statunitense, forse, avrebbe potuto mettere in campo misure preventive. Ma significa anche che, quando il regime cinese si è deciso a informare il mondo, l'epidemia era già fuori controllo da tempo. Ora questo regime ci mostra il volto sorridente, ci consegna mascherine, si comporta da fratello. Nello stesso tempo, però, autorizza il «wet market» di Wuhan a riaprire. La vendita di specie selvatiche - come ha mostrato un servizio di Indovina chi viene a cena su Raitre - è stata sospesa fino alla fine dell'emergenza, ma su quali animali siano da considerarsi «vietati» (e per quanto tempo) ci sono ancora dubbi. Per fortuna, pare, è stato fermato il consumo di carne di cane e gatto. Ma non è affatto detto che ciò basti. Viene da chiedersi: quanto tempo passerà prima che da un mercato strisci fuori l'ennesimo flagello? attività diverseVero, sotto l'ombrello del «wet market» sono comprese numerose attività. Christos Lynteris, antropologo della University of st. Andrews, e Lyle Fearnly della Singapore university of technology and design chiariscono che «oggi si possono distinguere diversi tipi di wet market, con differenze che sono spesso cruciali per valutare con precisione i rischi che presentano per l'emergenza di virus: scala (all'ingrosso o al dettaglio); produzione (animali vivi, solo carne macellata e verdure fresche, solo frutti di mare vivi); animali (solo domestici o selvatici). Nei mercati in cui sono presenti quelli che molti media occidentali descrivono come “animali selvatici", la maggior parte di questi è in realtà allevata e allevata in cattività, come anatre, rane, serpenti».A partire dalla fine degli anni Novanta, in Cina, l'allevamento di specie cosiddette «esotiche» per la vendita e il consumo è notevolmente aumentato. Le ragioni sono fondamentalmente due. La prima è che, in Asia, una ventina d'anni fa si è verificata una sorta di nuova rivoluzione agricola, condotta soprattutto da grandi aziende. I piccoli contadini e allevatori sono stati spinti ai margini: i colossi hanno sottratto loro quote di mercato e terre. Così, per non soccombere, i piccoli produttori hanno deciso di battere nuove strade. Molti si sono dati al commercio di specie rare o selvatiche, da destinare alla vendita. «Il settore è stato ufficializzato e i suoi prodotti sono stati considerati sempre più di lusso», ha scritto sul Guardian Laura Spinney. «I piccoli allevatori, però, non sono stati estromessi solo in senso economico: mano a mano che gli allevamenti intensivi occupavano più terra, sono stati estromessi anche in senso fisico e spinti verso zone incoltivabili, cioè verso il limitare della foresta dove si aggirano i pipistrelli e i virus che li infettano. La quantità e la frequenza dei contatti in questa prima interazione sono aumentate insieme al rischio del salto di specie». Anche questo è un enorme problema, che si risolve solo cambiando modello di sviluppo. La seconda ragione dell'enorme successo dei «wet market» (che in alcune città, ad esempio Nanjing, riforniscono circa il 90% della popolazione) ha a che fare con la diffusione della ricchezza. A nutrirsi di animali selvatici non sono le classi sociali più deboli. Come conferma David Quammen, gli amanti delle «specialità esotiche» sono i ricch. Ora, qui da noi, si comincia a «pensare al dopo», a ragionare sulle riaperture. Ebbene forse dovremmo riflettere anche sui nostri rapporti con la Cina. L'Italia e l'Europa tutta, prima di inginocchiarsi in cambio di un po' di mascherine e qualche perlina colorata, dovrebbero pretendere che Pechino modifichi alcuni comportamenti. Se chiudere tutti i «wet market» può anche essere ingiusto, di sicuro vigilare sul commercio di fauna selvatica è fondamentale. Gli Usa lo chiedono da settimane, lo pretendono gli ambientalisti e perfino Elizabeth Maruma Mrema, responsabile ad interim della convenzione Onu sulla biodiversità. Deve farlo la Ue, e dobbiamo farlo pure noi, se vogliamo evitare un'altra catastrofe.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)