2023-02-23
La Cina blinda l’asse con lo zar ma strappa un’apertura a Kiev
Wang Yi e Vladimir Putin (Ansa)
L’inviato Wang Yi vede Vladimir Putin e Sergei Lavrov e tiene coperto il piano di pace. Volodymyr Zelensky: «Vediamolo». Mosca: «Non se n’è parlato».Si rafforza l’asse sino-russo. Ieri, il responsabile esteri del Partito comunista cinese, Wang Yi, ha avuto un faccia a faccia a Mosca con Vladimir Putin. Il presidente russo ha sottolineato la solidità delle relazioni commerciali tra Russia e Cina, sostenendo che presto potrebbero arrivare a un giro d’affari annuale di 200 miliardi di dollari. «Aspettiamo una visita del presidente della Repubblica popolare cinese in Russia, siamo d’accordo su questo», ha detto il capo del Cremlino, per poi proseguire: «Stiamo raggiungendo nuove frontiere». «Le relazioni tra la Russia e la Cina non sono dirette contro Paesi terzi, ma non cedono nemmeno alle pressioni di questi ultimi», ha affermato Wang. «Insieme», ha aggiunto, «sosteniamo il multipolarismo e la democratizzazione nelle relazioni internazionali». Il diplomatico cinese ha anche espresso «il suo apprezzamento per la riconferma della volontà di Mosca di risolvere la questione dell’Ucraina attraverso il dialogo e il negoziato». Poco prima del vertice con Putin, Wang ha avuto un incontro con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. «Sono pronto, insieme a te, mio caro amico, a scambiare opinioni su questioni di reciproco interesse, e non vedo l’ora di raggiungere nuovi accordi», ha detto Wang a Lavrov, secondo Ria Novosti. «Naturalmente, è stato discusso il tema della crisi ucraina, siamo grati alla parte cinese per la sua posizione costantemente equilibrata su questo tema», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. «Accogliamo con favore la volontà della Cina di svolgere un ruolo positivo nella risoluzione della crisi ucraina», ha aggiunto, mentre Wang ha auspicato una «soluzione politica» al conflitto. Mosca ha tuttavia negato che Lavrov e il diplomatico cinese abbiano parlato del piano di pace elaborato dalla Repubblica popolare: piano che dovrebbe essere reso pubblico domani e rispetto a cui il governo di Kiev sta mostrando un cautissimo interesse. Volodymyr Zelensky ha lasciato intendere di voler dare priorità alla propria proposta di pace, presentata al G20 di novembre, e ha precisato di non conoscere i contenuti del piano cinese. Ciò detto, non ha chiuso a un ruolo di Pechino nella mediazione. «Siamo interessati a che tutti gli Stati - europei e a livello mondiale, certamente India, Africa, Cina - siano coinvolti nel porre termine a questa guerra, nel sostenere la nostra, credo, giusta formula per la pace», ha dichiarato. «Dobbiamo conoscere tutti i dettagli. Non appena riceveremo il documento, lo studieremo attentamente e trarremo delle conclusioni», ha affermato dal canto suo il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. Insomma, nonostante una significativa prudenza, Kiev si riserva il diritto di valutare la proposta cinese, una volta che avrà a disposizione tutti i dettagli. Aperti a un maggior coinvolgimento diplomatico di Pechino si sono detti vari Paesi europei. Il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha affermato che «abbiamo bisogno di una forte azione cinese per la pace». «In qualità di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha l’obbligo di usare la sua influenza per garantire la pace nel mondo», aveva detto pochi giorni fa la sua omologa tedesca, Annalena Baerbock. Entrambi i ministri hanno tuttavia posto dei paletti. «Abbiamo bisogno della libertà dell’Ucraina», ha dichiarato Tajani, mentre la Baerbock ha detto che, qualora il piano cinese prevedesse lo stop all’invio di armi a Kiev, questa condizione non sarà accettata. Su una linea di maggiore scetticismo sembrano invece collocarsi gli Usa. Il segretario di Stato americano, Tony Blinken, ha recentemente sostenuto che Pechino starebbe considerando di inviare «supporto letale» a Mosca: un’accusa che è stata respinta dal ministero degli Esteri cinese e dal Cremlino. Va tuttavia notato che stanno iniziando delle esercitazioni navali congiunte tra Russia, Cina e Sudafrica: in tal senso, è arrivata proprio ieri nel porto di Richards Bay la fregata russa «Ammiraglio Gorshkov» con missili ipersonici Zircon (missili che, sempre ieri, Mosca ha negato di voler usare durante le esercitazioni in Sudafrica, smentendo quanto riferito in precedenza dalla Tass). Il sito Axios ha tra l’altro sottolineato come la cooperazione militare sino-russa si sia intensificata a partire dal 2022. Inoltre, sia la Russia sia la Cina hanno rafforzato i propri legami con l’Iran: quello stesso Iran che sta fornendo droni militari a Mosca contro Kiev. Infine, Pechino non ha finora condannato l’aggressione russa dell’Ucraina e ha, anzi, spesso spalleggiato il Cremlino all’Onu su questo dossier. Insomma, qualche dubbio sull’imparzialità del Dragone onestamente viene. Il sospetto è infatti che, in questa crisi, il Partito comunista cinese abbia finora cercato di massimizzare il proprio tornaconto geopolitico con almeno tre obiettivi: sfidare l’ordine internazionale occidentale, tentare di incunearsi nelle relazioni transatlantiche e stringere progressivamente Mosca in un abbraccio soffocante. Senza poi trascurare l’iperattivismo di Pechino nel continente africano: un iperattivismo che può mettere sotto pressione il Sud Europa (e quindi la stessa Italia). «Non dobbiamo lasciare l’Africa a sé stessa o ai cinesi. Sarebbe un grave errore, anche per la nostra crescita», ha non a caso detto Tajani alla conferenza sulla sicurezza di Monaco domenica scorsa. La stessa retorica su multipolarismo e terzomondismo è stata usata dal Dragone per espandere la propria longa manus sull’Africa. E la domanda, alla fine resta una sola: c’è da fidarsi di Pechino?