2022-05-07
La centrale milanese che recluta legionari da inviare al fronte
Ivan Luca Vavassori (Ansa/TG3)
Tra i combattenti ci sono pure i figli di ucraini residenti in Italia. Presto i primi indagati. Forse a Londra l’ex portiere Ivan LucaVavassori.I magistrati del pool antiterrorismo attendono dagli investigatori della Digos una prima informativa con l’identificazione dei combattenti. Poi sul fascicolo sui foreign fighters italiani in Ucraina compariranno i nomi dei primi indagati. Per ora l’unico decesso di cui si ha notizia è quello di Edy Ongaro, alias Bozambo, veneziano di 46 anni, caduto il 30 marzo in combattimento con le milizie separatiste del Donbass. Al momento l’Aise ha contato 17 combattenti italiani: otto sul fronte ucraino e nove su quello russo. Insieme a cittadini italiani, che dopo le prime defezioni dovrebbero essere ormai una quindicina, ci sarebbero anche figli di ucraini residenti in Italia ma con cittadinanza a Kiev, che sono spariti nel nulla da un giorno all’altro. Ma, soprattutto, l’inchiesta si sarebbe concentrata sull’ipotesi che esista, proprio nel Milanese, una sorta di centro di reclutamento. Perché l’arrivo all’ambasciata con la richiesta esplicita di arruolarsi nel battaglione Azov sarebbe solo l’ultimo step. Sembra che prima sia necessario passare per reclutatori professionisti in contatto con aziende specializzate londinesi che fanno di questa professione un fiorente business e che, a loro volta, poi, fornirebbero il materiale umano a Kiev. In Italia questo tipo d’impresa è illegale. E per questo motivo le società di recruiting si servirebbero di uomini di fiducia sparsi in tutto il globo (ex militari soprattutto). Anche in Italia. In alcuni casi i ragazzi che partono hanno anche una certa preparazione (alcuni dei protagonisti hanno affermato di aver già avuto esperienze nella Legione straniera francese), altre volte si tratta di improvvisati che a mala pena sanno maneggiare un fucile. E che con l’innalzamento della qualità tecnologica delle armi inviate in Ucraina dalla Nato sembra stiano trovando non poche difficoltà. Questo aspetto, insieme alla fortissima pressione che si vive sul fronte, sarebbe tra i primi motivi di defezione. In molti, infatti, si stanno ritirando. Come Ivan Luca Vavassori, nome di battaglia Comandante Rome, l’ex portiere del Pro Patria nato a Mosca ma cresciuto a Bergamo, figlio adottivo dell’imprenditrice piemontese Alessandra Sgarella, sequestrata dalla ‘ndrangheta negli anni Novanta, che si era arruolato volontario con la legione degli internazionali per combattere nelle file degli ucraini (stando alla narrazione comune «sarebbe partito a sue spese») e che dopo essere rimasto ferito durante uno scontro a fuoco ha deciso di ritirarsi. Ma non è tornato in Italia. Dopo aver pubblicato sul suo profilo Instagram la foto del panorama di un oblò di un aereo, il papà, Pietro Vavassori, ex patron della Pro Patria Calcio e a capo dell’azienda di logistica Italsempione, ha fatto sapere ai giornalisti che «non è più a combattere ma non sta rientrando in Italia. È in Europa e sta bene». Negli ambienti dai quali sono passati alcuni dei foreign fighter scommettono che era diretto a Londra. D’altra parte anche altri ex combattenti avrebbero fatto lo stesso percorso. Dopo una frenetica attività di storytelling dal fronte, è sparita dai radar anche Giulia Schiff, 23 anni, ex pilota dell’aeronautica militare italiana espulsa «per inettitudine professionale» dopo aver denunciato il nonnismo che ritiene di aver subito da commilitoni e superiori. Anche lei è nella Legione internazionale di Kiev. Ed è l’unica donna tra i legionari. Qualcuno deve averle fatto notare che le continue pubblicazioni sui social avrebbero potuto mettere in pericolo i suoi commilitoni. E la ragazza si sarebbe silenziata. Nel battaglione Azov ci sarebbe anche Giuseppe Donnini da Ravenna e il suo amico Valter Nebiolo. Dalla parte dei russi, invece, c’è Massimiliano Cavalleri. E dovrebbe esserci anche Andrea Palmeri, ex capo ultras della Lucchese, che in passato è finito in un’inchiesta con l’ipotesi di aver arruolato mercenari. Tra gli ucraini che vivevano in Italia e che sono partiti per il fronte, invece, c’è Volodymyr Borovyk, proprietario di un ristorante a Roma, con tre ragazzi che alcune fonti indicano come vicini a Ivan Markiv, il soldato ucraino che ha la famiglia in Italia e che era stato prima condannato e poi assolto per l’omicidio di Andy Rocchelli, il fotoreporter ucciso nel Donbass nel 2014. Ai magistrati del pool antiterrorismo guidato da Alberto Nobili, però, interessano soprattutto i mercenari. E anche se le verifiche delegate alla Digos sono a tutto campo, la Procura coordinata da Marcello Viola punta ad accertare l’esistenza dei reati previsti dagli articoli 244, che punisce chi commette atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra e 288, che punisce chi arruola o arma qualcuno al servizio di uno Stato estero. Ma, se dovesse emergere l’esistenza di qualche organizzazione, conferma un investigatore, potrebbe partire anche una segnalazione per banda armata o per partecipazione ad attività terroristiche. Ovviamente risulta fondamentale per gli investigatori ascoltare i testimoni principali. Tra i quali ci sarebbe proprio Vavassori. Che, però, a quanto pare preferisce stare alla larga dall’Italia. Per ora. Inoltre, con il fronte che si fa sempre più caldo, si ipotizza che potrebbero esserci nuovi arruolamenti e nuove partenze. Quello dei contractor, dei volontari e dei mercenari è un mondo particolare, nel quale l’omertà e il silenzio sono alla base della loro sopravvivenza, anche quando tornano ad indossare gli abiti civili. Ma ci sono tanti improvvisati. «Questi giocano alla guerra», dice alla Verità un ex istruttore militare in servizio nel Donbass nel 2014». E aggiunge il suo personale punto di vista: «Adesso la Nato si prepara alla più grande esercitazione militare della sua storia. Inopportuna in questo momento». Prova ne sarebbe «la presenza delle navi Mine countermeasures group one e Maritime group one attualmente nel Mar Baltico». «Si pensa così di mettere paura a Putin?», si chiede l’ex istruttore, che conclude: «I miei amici ancora impiegati in Ucraina non la pensano così e non vedono l’ora che finisca tutto».
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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