
I vescovi prima hanno benedetto la formazione del governo giallorosso. Poi, da marzo, hanno approvato tutte le restrizioni volute da Giuseppi. La settimana scorsa hanno deciso di farsi sentire, ma sono stati del tutto ignorati. Così raccolgono quanto seminato. Vatti a fidare degli amici... E dire che autorevoli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche, oltre che grossi nomi della Conferenza episcopale italiana, avevano fin dall'inizio guardato con affetto al governo giallorosso, anzi si può dire che lo abbiano tenuto a battesimo. Ieri hanno potuto raccogliere i succosi frutti della loro semina. L'esecutivo guidato da Giuseppe Conte, premier tanto amato dai prelati poiché educato dai gesuiti, è passato alla fase due ma ha lasciato i vescovi alla fase uno. Il nuovo decreto del presidente del Consiglio, infatti, non prevede che si possa ricominciare a dir messa in presenza dei fedeli. Si potrà andare a correre e a fare passeggiate nei parchi. Sarà possibile far visita ai parenti più o meno anziani. Ma niente passaggio in chiesa per ricevere l'eucarestia. Il tutto, come sempre, in nome del bene comune. Le richieste dei vescovi sono state completamente trascurate. Palazzo Chigi, si è limitato a far sapere che «nei prossimi giorni si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza». Con tutta calma, insomma, si troverà il tempo per pensare anche ai riti religiosi, ma per ora ci sono altre esigenze più pressanti. Certo, di sicuro il governo ha dovuto tenere conto di tantissime istanze, nelle ultime ore: associazioni di categoria, sindacati, lobby varie e avariate. Ed era ovvio che alcune richieste sarebbero state accolte e altre no. Il punto è che la Cei è stata surclassata non soltanto (almeno in parte) da Confindustria, ma pure dall'Anpi e dalle sigle arcobaleno. Come noto, in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile, Palazzo Chigi aveva inviato una circolare per ribadire l'obbligo di osservare le misure di sicurezza e di non creare assembramenti. L'associazione dei partigiani, di fronte alla prospettiva che i suoi rappresentanti fossero esclusi dalle commemorazioni ufficiali, ha subito alzato la voce e nel giro di poche ore il governo ha corretto il tiro. Risultato: sabato gli ex combattenti erano presenti agli eventi principali, e in alcuni casi hanno pure violato le disposizioni in materia di prevenzione del coronavirus, radunando piccole folle di persone pronte a cantare Bella ciao. Dopo questa clamorosa eccezione, si poteva immaginare che nel nuovo decretino di Conte si concedesse pure ai cattolici di partecipare ai propri riti fondamentali. E invece nisba. Un analogo siparietto è andato in scena ieri con le associazioni arcobaleno. Quando il presidente del Consiglio ha fatto sapere che sarebbe stato possibile andare a visitare i «congiunti», i principali esponenti dei gruppi di pressione Lgbt sono sbottati, chiedendo che la misura fosse estesa anche alle coppie omosessuali. Di nuovo, il governo si è immediatamente adattato, allargando il diritto di visita anche agli «affetti stabili». Una formula oscura e pure piuttosto ridicola che però serve a consentire al mondo arcobaleno di mettere fine all'isolamento forzato. Il ministro della Famiglia, Elena Bonetti, anche lei cattolica molto amata nell'ambiente Cei, si è precipitata a precisare che il termine congiunti comprende anche «fidanzati e coppie di fatto». Non per nulla, ieri pomeriggio, il portavoce di Gay Center, Fabrizio Marrazzo, festeggiava il fatto che il governo avesse accolto «la nostra richiesta». Accolte le istanze dell'Anpi, accolte quelle dei gay, respinte quelle della Cei. Un ottimo risultato, non c'è che dire. Intendiamoci: è molto apprezzabile il fatto che, domenica sera, la conferenza episcopale abbia mostrato la faccia dura ribadendo che «i vescovi italiani non possono accettare di vedere compromessa la libertà di culto» e definendo la decisione del governo sulle messe «arbitraria». Viene da pensare, però, che forse i prelati avrebbero potuto destarsi dal sonno un po' prima. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, e gli altri vescovi sono stati tra i più ligi osservanti del decreto di marzo. Fin dall'inizio hanno appoggiato le decisioni di Conte e soci. Addirittura si sono premurati di redarguire pubblicamente i preti ribelli che hanno violato le disposizioni celebrando messe di nascosto. Ovvio: era giusto essere concilianti e non mettersi subito di traverso. Ma è evidente che l'eccessiva morbidezza non ha giovato. Giovedì scorso, per la prima volta, la Cei - previo via libera della Santa Sede - ha parlato di ripresa delle celebrazioni pubbliche, e ha reso noto di aver preparato un piano in dieci punti per garantire la sicurezza dei riti. Solo che questo piano è stato puntualmente ignorato. A questo punto qualche riflessione si impone. Cardinali come l'arcivescovo metropolita di Bologna, Matteo Zuppi (attualmente in ascesa e possibile nuovo dominus della Cei) nei mesi scorsi si sono schierati apertamente contro le destre, e hanno fatto di tutto per sostenere i partiti di centrosinistra e i loro alleati a 5 stelle. Hanno appoggiato Conte insistendo sulle tematiche migratorie, anche se la maggioranza giallorossa aveva già dato prova di essere piuttosto lontana dalle posizioni di tanti fedeli. Ora assistiamo all'ennesimo smacco. E ci chiediamo se non sia meglio, per la Chiesa, esercitare la vocazione al martirio in altri e più utili modi. Farsi calpestare da Giuseppi non è segno di umiltà, bensì di masochismo.
Stefano Puzzer (Ansa)
- La Cassazione ha bocciato l’allontanamento dell’ex portuale, leader delle proteste a Trieste contro il green pass. Dopo due dosi di vaccino, si era rifiutato di fare la terza e lo scalo giuliano l’aveva lasciato a casa. Ora il nuovo Appello a Venezia.
- Il racconto: «Assisto altri dipendenti sospesi pagando le bollette o con i buoni spesa».
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Christine Lagarde (Ansa)
Siluro dell’ex economista Bce, il teutonico Jürgen Stark: «È chiaro perché l’Eliseo l’ha voluta lì...».
Stefano Antonio Donnarumma, ad di Fs
L’amministratore delegato Stefano Antonio Donnarumma: «Diamante 2.0 è il convoglio al centro dell’intero progetto».
Rete ferroviaria italiana (Rfi), società del gruppo Fs, ha avviato un piano di rinnovo della propria flotta di treni diagnostici, i convogli speciali impiegati per monitorare lo stato dell’infrastruttura ferroviaria. L’operazione prevede nei prossimi mesi l’ingresso in servizio di due nuovi treni ad Alta velocità, cinque destinati alle linee nazionali e 15 per le reti territoriali.
L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la sicurezza e la regolarità del traffico ferroviario, riducendo i rischi di guasti e rendendo più efficace la manutenzione. Tra i nuovi mezzi spicca il convoglio battezzato Diamante 2.0 (Diamante è l’unione delle prime tre sillabe delle parole «diagnostica», «manutenzione» e «tecnologica»), un treno-laboratorio che utilizza sensori e sistemi digitali per raccogliere dati in tempo reale lungo la rete.
Secondo le informazioni diffuse da Rfi, il convoglio è in grado di monitorare oltre 500 parametri dell’infrastruttura, grazie a più di 200 sensori, videocamere e strumenti dedicati all’analisi del rapporto tra ruota e rotaia, oltre che tra pantografo e catenaria. Può viaggiare fino a 300 chilometri orari, la stessa velocità dei Frecciarossa, consentendo così di controllare le linee Av senza rallentamenti.
Un’ulteriore funzione riguarda la misurazione della qualità della connettività Lte/5G a bordo dei treni ad Alta velocità, un aspetto considerato sempre più rilevante per i passeggeri.
«Diamante 2.0 è il fiore all’occhiello della flotta diagnostica di Rfi», ha affermato l’amministratore delegato del gruppo, Stefano Antonio Donnarumma, che ha viaggiato a bordo del nuovo treno in occasione di una corsa da Roma a Milano.
Attualmente, oltre al nuovo convoglio, Rfi dispone di quattro treni dedicati al monitoraggio delle linee tradizionali e di 15 rotabili destinati al servizio territoriale.
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