2020-12-24
La Cassazione sgonfia la legge pro suocero
Cesare Paladino e Giuseppe Conte (Ansa)
La Suprema corte sentenzia sul caso di un albergatore, del tutto simile a quello di Cesare Paladino, papà della compagna del premier, mettendo nero su bianco che la contestatissima norma che lo avrebbe «salvato» non può avere effetto in maniera retroattiva.Nonostante le forti pressioni ricevute, cinque giudici di Cassazione hanno «sgretolato» la norma «ad suocerum» (o «ad familiam») con cui Giuseppe Conte ha consentito di ripulire la fedina penale e favorito l'impunità di Cesare Paladino, gestore dell'Hotel Plaza di Roma e padre di Olivia, la giovane «fidanzata» del premier. La decisione della Suprema Corte, chiamata a decidere sul caso analogo di un albergatore che, come il «suocero» di Conte, aveva incassato la tassa di soggiorno dai clienti ma non l'aveva versata al Comune, costituisce un precedente giurisprudenziale di alto profilo che avrà conseguenze per un certo numero di persone. In primis sul padrone dell'Hotel Plaza (che aveva trattenuto per sé ben 2 milioni di euro incassati tra il 2014 e il 2018 e aveva patteggiato un anno, due mesi e 17 giorni mesi di condanna per peculato), e poi su un gran numero di albergatori. Il contenuto della sentenza aiuta a comprendere con quale approssimazione e palese incapacità giuridica quella norma sia stata scritta non solo dal sedicente «avvocato del popolo», ma anche dagli uffici del ministro Dario Franceschini che ha poi fatto da «scudo umano» a Conte assumendosi la responsabilità di quel comma «nascosto» nel decreto Rilancio del 19 maggio scorso (convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) e «mascherato» dalle «misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19». Qualche interrogativo riguarda, alla luce delle 17 pagine della sentenza della Cassazione, anche la decisione del presidente dei Gip di Roma, Bruno Azzolini, che, in qualità di Gup e nonostante il parere contrario del pm, aveva in tempi rapidi accolto il ricorso del «suocero» di Giuseppi e cancellato la sua condanna. Azzolini, a proposito del legislatore, aveva pallidamente osservato: «Non può dubitarsi che abbia compiuto una valutazione “politica", privando di rilevanza penale la fattispecie». In modo analogo Azzolini, lo scorso 10 novembre, aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di un altro albergatore e, prima ancora, lo scorso 23 giugno, il tribunale aveva assolto (perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato) un altro albergatore, che non aveva versato 160.000 euro di imposta di soggiorno. Di diverso avviso era stato un altro Gip di Roma, Paolo Scotto di Luzio, che in precedenza - il 22 ottobre - assolvendo il titolare dell'Hotel Nizza, Carmine Sarnella, aveva seccamente respinto la richiesta di retroattività della nuova norma: «Non è idonea a spiegare effetto sulle condotte anteriori». In questa decisione, il Gip si era uniformato a una pronuncia sempre della sesta sezione della Cassazione (n. 30227-20 del 28 settembre, depositata il 30 ottobre, presidente Stefano Mogini, Orlando Villoni relatore, Anna Criscuolo, Pierluigi Di Stefano, Emilia Anna Giordano giudici) in cui veniva scritto che, in merito alla retroattività, occorreva ribadire che le modifiche introdotte «operano solamente dall'entrata in vigore della novella e non per il passato» e la «trasformazione della qualifica soggettiva si è prodotta solo per il futuro».Il Gip Azzolini non aveva tenuto conto di questa vincolante pronuncia e la sua decisione favorevole al suocero di Conte era stata immediatamente impugnata dalla Procura di Roma che era evidentemente nel giusto soprattutto alla luce delle due sentenze della Cassazione, in particolare dell'ultima scritta in punta di diritto e ricca di argomentazioni. La nuova importante sentenza (36317/20) è stata depositata giovedì 17 dicembre ed era stata adottata il 28 ottobre dalla sesta sezione penale presieduta da Renato Brichetti, 68 anni, un giudice molto stimato e dalla carriera prestigiosa: dopo la sua inchiesta con Antonio Pizzi sul crac del Banco Ambrosiano (emise un mandato di cattura contro il cardinale Paul Marcinkus), il magistrato è passato al ruolo giudicante, diventando presidente vicario della Corte d'Appello di Milano, poi per pochi mesi capo dell'ufficio legislativo del ministero (sottraendosi in tempo ai nuovi «dilettanti allo sbaraglio» di via Arenula che non capirono e, anzi, osteggiarono la sua indipendenza e la sua capacitò), ha lavorato in Cassazione dal 2005 al 2010 (consigliere della prima e quarta sezione penale e poi delle sezioni unite penali), è stato relatore ed estensore di molte sentenze di importante rilievo e contenuto, fino a diventare un anno fa presidente di sezione di Cassazione.I cinque giudici della sesta sezione (oltre a Brichetti, Ersilia Calvanese, relatore, Ercole Aprile, Riccardo Amoroso, Benedetto Paternò Raddusa) erano stati chiamati a pronunciarsi sul ricorso di Roberto Brugnoli, rappresentante legale di un albergo tre stelle, l'hotel San Giorgio di Sauze d'Oulx, condannato dalla Corte d'Appello di Torino per essersi appropriato di 5.472 euro incassati dai clienti a titolo di imposta di soggiorno, dal dicembre 2012 al marzo 2016, e di non averla mai versata al Comune. Analogamente al comportamento del legale del «suocero di Conte», che in tempi rapidi aveva fatto ricorso e fruito della nuova norma, l'avvocato dell'albergatore di Sauxe d'Oulz il 29 settembre aveva inviato una nota alla Cassazione in cui faceva presente che il fatto contestato, anche se commesso anni prima, non era più previsto come reato e prevedeva solo una sanzione amministrativa. Questa richiesta ha consentito alla Cassazione di entrare nel merito della famosa «norma ad suocerum», cui sono state dedicate molte delle 17 pagine. La Corte ha affrontato la questione sotto tutti gli aspetti, a partire dagli effetti che scaturiscono dalla norma pro-suocero sulla fattispecie penale del peculato «con riferimento alle condotte consumate nella vigenza delle precedente disciplina dell'imposta di soggiorno». La nuova norma ha trasformato «radicalmente il ruolo assunto dal gestore rispetto all'imposta: da quello di eventuale incaricato dei regolamenti comunali del pubblico servizio per la riscossione e versamento del tributo nelle casse comunali, al gestore» gli è stata attribuita ex novo «una obbligazione tributaria, che lo espone direttamente con altri (con diritto di rivalsa) alla responsabilità del versamento dell'imposta». Per quanto riguarda la retrocessione ad illecito amministrativo-tributario di una condotta rilevante penalmente in passato, la Cassazione si è inoltrata sul terreno più spinoso: il nuovo riferimento normativo ha comportato una abolitio criminis (ossia l'abrogazione di una norma incriminatrice) delle condotte di peculato commesse in precedenza. Il conclusione la norma ad suocerum non ha modificato la fattispecie astratta del peculato. Ha fatto «venir meno in concreto la qualificazione soggettiva, pubblicistica del gestore, ma non ha di certo alterato la definizione stessa di incaricato di pubblico servizio. Dal raffronto emerge che il legislatore non ha inteso incidere su un «elemento strutturale» del delitto di peculato, ma è intervenuto modificando lo status di fatto del gestore rispetto alla tassa di soggiorno: dal ruolo di incaricato o soltanto di custode del denaro pubblico incassato per conto del comune a quello di soggetto obbligato solidalmente al versamento dell'imposta». In ogni caso - sottolinea la Corte - «resta pur sempre nell'area penale il comportamento di colui che, in ragione del servizio pubblico svolto, si sia appropriato di denaro che, al momento dell'incasso, era della pubblica amministrazione». Dopo aver ricordato «la qualificazione data ai dipendenti bancari che avevano perso la qualità di incaricati di pubblico servizio», e citate analogie e differenze con la normativa sulla «tassa di sbarco» che le compagnie di navigazione devono versare ai comuni, viene anche rilevato una grave carenza: «Una interpretazione autentica abrogans da parte del legislatore, non accompagnata da disposizioni transitorie, avrebbe l'effetto illogico ed irragionevole di privare per il passato del tutto di sanzione (anche amministrativa e tributaria) la condotta di gestore che ha omesso il versamento dell'imposta, anche se l'ha effettivamente riscossa dal cliente».In conclusione «deve ribadirsi la rilevanza penale a titolo di peculato delle condotte, tra cui quella ascritta al ricorrente, commesse in epoca anteriore alla novatio legis di cui all'art. 180 comma 4», cioè la norma ad suocerum.