2021-09-09
La belva del Bataclan sfida i giudici: «Non c’è altra divinità a parte Allah»
Iniziato il processo al commando della strage di Parigi. L’estremista islamico Abdeslam Salah fa professione di fede davanti alla corte, poi si lamenta per le condizioni in carcere: «Non bisogna trattarci come dei cani» È iniziato ieri il processo contro i terroristi islamici autori degli attacchi al Bataclan, allo Stade de France e in vari bar di Parigi la sera del 13 novembre 2015, che provocarono 130 morti e 350 feriti. Il principale imputato è Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto dei terroristi che è stato catturato nel 2016 in Belgio. Fin da subito, questo piccolo delinquente di periferia diventato terrorista islamico, ha riaffermato la propria fedeltà ai piani di morte islamisti. «Non c’è altra divinità a parte Allah e Maometto è il suo messaggero» ha dichiarato l’imputato, dopo che i giudici lo avevano invitato a declinare le proprie generalità. Poi dovendo rispondere sull’identità dei propri genitori e sulla sua professione, il sopravvissuto del commando del novembre 2015 ha aggiunto «mi chiamo Abdeslam Salah. Il nome di mio padre e di mia madre non c’entrano niente qui. Ho abbandonato ogni professione per diventare un combattente dello Stato islamico». Le parole pronunciate dall’imputato numero per gli attentati di Parigi, hanno un peso enorme. In primo luogo perché il presunto complice dei terroristi del Bataclan ha pronunciato la shahāda, ovvero la professione di fede ripetuta quotidianamente da milioni di fedeli della mezzaluna, in tutto il mondo. Poi, definendosi come un «combattente», Abdeslam ha esplicitamente ricusato l’autorità dei giudici francesi. Nell’insieme, le parole del principale accusato per gli attentati parigini di fine 2015, sono state percepite come un tentato appello rivolto magari a qualche scalmanato residente in Francia o in Europa. D’altra parte, anche in occasione di altri processi importanti - come ad esempio quello per la strage di Charlie Hebdo - degli individui di fede islamica, apparentemente inoffensivi, avevano compiuto attacchi mortali o hanno ferito gravemente persone da loro considerate dei kāfir, ovvero miscredenti.All’inizio del processo sono intervenuti anche il presidente della corte Jean-Louis Périès , il quale ha ricordato che in questo processo «storico» la cosa più importante è «il rispetto della norme» a cominciare «dal rispetto dei diritti della difesa». Le parole del giudice principale del processo suonavano vagamente da excusatio non petita, dato che i diritti della difesa sono sempre garantiti in Francia. Anche uno dei tre avvocati generali, Nicolas Braconnay, ha preso la parola. Nel suo breve intervento ha spiegato il perché della verifica delle 1.800 parti civili, definita necessaria per assicurare lungo tutto il processo «un dibattito sereno».Nelle pause dell’udienza, i media hanno potuto avvicinare alcuni dei familiari delle vittime degli attentati del novembre 2015. Tra di loro c’era Dominique Kielemoës che ha riaffermato che, per molti dei parenti dei caduti, Abdeslam non è altro che «un assassino» e che le sue provocazioni erano prevedibili. Arthur Dénouveaux, presidente di Life for Paris - una delle associazioni costituite dalle vittime degli attentati di sei anni fa - ha invece relativizzato le parole del principale sospetto, definendolo non troppo lucido né intelligente.Numerosi legali delle parti civili hanno presentato istanza perché i loro clienti possano beneficiare di un «aiuto giurisdizionale». Con esso lo Stato francese si fa carico, parzialmente o totalmente, delle spese generate dalla procedura giudiziaria.Sul banco degli imputati del processo oltre a Salah Abdeslam compariranno anche altre persone. Secondo gli inquirenti, queste hanno partecipato a vario titolo agli attacchi, nei quali ha trovato la morte anche la studentessa veneziana Valeria Solesin. Per sei degli accusati è stata presunta la morte in operazioni della coalizione occidentale avvenute in Siria. È il caso dei fratelli convertiti all’islam, Fabien e Jean-Michel Clain. Per l’accusa, le loro voci sono quelle che hanno rivendicato e stragi. Sono stati dichiarati morti anche Oussama Atar, Ahmad Alkhald e Obeida Aref Dibo. Altri imputati sono invece vivi e vegeti. Uno di loro, Ahmed Dahmani, detenuto per altre ragioni in Turchia. Risultano invece presenti: Mohamed Abrini, Mohamed Bakkali,Osama Krayem e Sofien Ayari, Farid Kharkhach (che ieri è stato colto da un malore), Yassine Atar , Ali El Haddad Asufi e Abdellah Chouaa. Costoro sono sospettati di aver curato la «logistica» degli attentati, ad esempio affittando le auto utilizzate dal commando terroristico per i propri spostamenti, oppure fornendo loro documenti falsi o alloggi. Poi ci sono Hamza Attou e Ali Oulkadi considerati i presunti autisti dei boia islamisti. Infine ci sono i «falsi rifugiati» - Adel Haddadi e Muhammad Usman - arrivati in Francia passando per l’isola greca di Leros, insieme ai kamikaze dello stadio.Verso la fine del pomeriggio, l’imputato Farid Kharkhach ha avuto un piccolo malore. Dopo una breve sospensione dell’udienza, Salah Abdeslam ha nuovamente preso la parola per lamentarsi: «Mi ascolti signor presidente», ha detto il principale imputato, «siamo uomini, abbiamo dei diritti. Non bisogna trattarci come cani». Poi ha aggiunto: «Sono sei anni che là (in prigione, ndr) sono trattato come un cane, non dico niente perché so che dopo la morte sarò resuscitato».
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