2021-03-22
La battaglia persa di Michela Murgia contro i maschi che fanno gli eroi
Ristampato un libro per ragazzi che demolisce le figure forti: il talento e la capacità di fare la differenza vanno cancellatiLa battaglia di Michela Murgia contro il maschio sembra non finire mai. La scrittrice sarda combatte su ogni fronte e con ogni mezzo: articoli di giornale, saggi, libri di favole per bambini. Tutto va bene se utile ad annientare la virilità. Da pochi giorni l'editore Salani ha proposto una nuova edizione di un testo della Murgia rivolto ai ragazzini e intitolato Noi siamo tempesta. Il sottotitolo è eloquente: «Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo». Il bersaglio della polemica sono, appunto, gli eroi. Secondo la Murgia, sarebbe meglio abolirli, perché le storie che li hanno come protagonisti non sono poi così edificanti. «Il messaggio sottinteso è che siano l'x factor, l'eccellenza individuale, il talento raro di singole persone a fare la differenza davanti alle sfide del mondo», scrive nell'introduzione. E aggiunge: «La statistica insegna che la storia si fa esattamente in modo inverso: nella stragrande maggioranza dei casi non sono i geni solitari a cambiarla, ma il lavoro di squadra e la condivisione dei percorsi». Insomma, chi sorbisce le imprese degli eroi rischia grosso: «Si cresce più competitivi che collaborativi, più guardinghi che fiduciosi, più rivendicativi che riconoscenti. Si cresce psicologicamente predisposti a difendersi».Ecco allora un bel catalogo murgesco di raccontini in cui è il «collettivo» a dominare la scena. La bellicosa Michela - una che, al di là delle prediche, l'individualismo lo pratica assai di frequente - riesce perfino a scodellare una versione socialdemocratica della battaglie delle Termopili, mettendo in bocca agli spartiati frasi come: «Da soli non si vincono battaglie. Da soli si ha sempre paura, ma a Sparta nessuno è mai stato lasciato da solo davanti al pericolo». In realtà gli spartiati soli davanti ai pericoli ci rimanevano eccome, in particolare durante la krypteia, una cerimonia di iniziazione in cui i guerrieri diciottenni erano obbligati a vivere nascosti e a difendersi costantemente (avete presente gli Hunger Games? Ecco, siamo da quelle parti lì).Il punto, però, non sono gli eventuali strafalcioni storici della Murgia. Il vero pericolo sta nell'idea che gli eroi siano un prodotto della violenza patriarcale. È un pensiero, questo, che circola fin troppo, tanto che ogni tentativo di ripristinare una concezione eroica dell'esistenza è guardato con sospetto. In realtà, abbiamo bisogno degli eroi esattamente come i nostri antenati. E l'individualismo sfrenato imposto dal sistema neoliberista, in questo discorso, non c'entra assolutamente nulla. Per gli antichi greci, l'eroe non era una figura necessariamente positiva, anzi. Era, in buona sostanza, un folle, un invasato. Era colui che varcava i limiti. Con il tempo, però, le sue caratteristiche sono andate modificandosi. Come spiega Giorgio Ieranò, l'eroe è diventato, «già nell'antichità, un modello di saggezza e virtù e poi, in epoca cristiana, figura del Redentore». L'eroe resta colui (o colei) che va oltre, ma in senso positivo. Supera i limiti del corpo e le ristrettezze della mente per un ideale superiore. «Sul campo di battaglia o nell'esistenza quotidiana», dice Mario Polia, «con la propria azione testimonia la via eroica all'educere in quanto, sempre e ovunque, l'azione esemplare possiede una forza trainante che non può essere sostituita né dalla parole né dalle intenzioni». Proprio perché c'è bisogno di figure e azioni esemplari, i popoli da sempre si sono rivolti agli eroi e se non ne avevano di già pronti, se li creavano. Lo testimonia la genesi «polare» e «diffusa» di Robin Hood raccontata da Lee Child, uno degli autori di thriller di maggior successo al mondo, in un breve scritto intitolato appunto Eroe (Harper Collins).Testimonianza e sacrificio, ecco le caratteristiche dell'eroe. Di individualistico non c'è nulla, di virile molto. Ma non per questo le donne sono fuori dai giochi. «Tutti i miti dell'eroe, sia collettivi sia individuali», ha scritto la psicologa Carol Pearson, «ci dicono quali caratteristiche corrispondono al bene, al vero, al bello, e di conseguenza ci propongono aspirazioni culturalmente valide». Di questi miti - è la grande lezione di Joseph Campbell - ciascuno di noi ha bisogno per «conoscere sé stesso». Siamo tutti chiamati ad affrontare il «viaggio dell'eroe», a misurarci con i nostri limiti. Vale per i maschi come per le femmine. Purtroppo, sull'onda di un buonismo abbastanza ridicolo, abbiamo slegato l'eroismo dalla virtù, cioè della virilità spirituale. I greci la chiamavano areté, è per ottenerla sono indispensabili combattimento, agonismo, lotta, rischio. Pure i padri della chiesa parlavano di «combattimento cristiano».Oggi, però, tutti si considerano eroi, anche se non fanno nulla di speciale. Rimuovendo la lotta e l'agonismo siamo piombati nel narcisismo: ognuno pretende il diritto di essere eccezionale, senza prima compiere alcuna impresa, alcuna fatica. Alla prima difficoltà, sorge il lamento, poiché il combattimento non è più contemplato. Succede, quando si cancellano gli eroi: ci si condanna a essere vittime.
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