2019-05-13
La Banca centrale europea guadagna 72,6 miliardi di euro dai Paesi in crisi
L'assurda fine dell'antenato del Qe: Francoforte aiutò Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna acquistando i loro bond ad alto rendimento. Ma l'aiuto è diventato un maxi affare. Con poca trasparenza.Come diventare ricchi con la crisi. No, non è il titolo di un nuovo bestseller motivazionale che cerca di farsi largo nelle classifiche di vendita, ma ciò che in estrema sintesi è successo nell'ultimo decennio dalle parti della Banca centrale europea. Nuove carte dimostrano infatti che grazie al piano di acquisti tra il 2010 e il 2012 sul mercato secondario di titoli dell'area euro denominato Securities market programme (Smp), Francoforte ha incassato fino a oggi la bellezza di 61,1 miliardi di euro, e da qui alla sua scadenza ne guadagnerà altri 11,5. Complessivamente, dunque, l'operazione varrà la ragguardevole cifra di 72,6 miliardi. Tanto per rendere l'idea, il corrispondente di tre leggi di Bilancio italiano o, se preferite, la ricchezza prodotta in un anno dalla Puglia.Una vicenda oscura e sconosciuta ai più che per essere compresa richiede un passo indietro. Nel maggio del 2010, «alla luce delle attuali circostanze eccezionali prevalenti sui mercati finanziari, caratterizzate da gravi tensioni in taluni segmenti del mercato», il Consiglio direttivo della Bce varava un programma temporaneo di acquisto titoli di alcuni Paesi in difficoltà. Se vogliamo, una sorta di antenato del quantitative easing, il massiccio piano di acquisto titoli iniziato nel 2015 e terminato appena qualche mese fa. Tuttavia, a differenza del Qe, i destinatari della misura erano solo cinque: Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna. L'intento principale della mossa era quello di ridurre i rendimenti dei titoli acquistati, frenando il panico che imperversava in quel periodo sui mercati. Da gennaio del 2010 alla vigilia di attivazione del programma, infatti, il rendimento dei bond greci era passato dal 5,8% al 12,5%, quelli portoghesi dal 4,1% al 6,3%, mentre quelli degli irlandesi dal 4,8% al 5,9%. Occorreva dunque agire in fretta per scongiurare il rischio di un default sovrano. Nell'aprile del 2012, all'apice degli acquisti, la dotazione del programma Smp era pari a 214,2 miliardi, mentre oggi il paniere si è considerevolmente ridotto, scendendo a poco più di 70 miliardi.Seppure al riparo dalle oscillazioni dei mercati, da quel momento in poi a ogni scadenza delle cedole i Paesi beneficiari dell'acquisto si trovavano a dover ripagare gli interessi al nuovo debitore, vale a dire la Banca centrale europea. È grazie a questo meccanismo che Francoforte ha potuto accumulare, dal 2010 a oggi, una quantità considerevole di profitti. Fino a poco tempo fa, quantificare l'entità di questi guadagni era impossibile, dal momento che nelle relazioni annuali la Bce fornisce solo un dato piuttosto generico sull'ammontare dell'interesse netto attivo derivante dai titoli Smp. Un valore che, stando a quanto dichiarato nei documenti ufficiali, dal 2010 a oggi si aggira intorno ai 6,2 miliardi di euro.Ma i conti sembrano non tornare. Secondo il think tank Positive money, organizzazione che si batte per una maggiore trasparenza della Bce, sono almeno 17 i miliardi guadagnati dall'Eurosistema dai soli titoli greci. Estrapolare dati esatti dai report a disposizione del pubblico risulta però davvero arduo, perciò per fare chiarezza c'è voluto l'intervento di alcuni eurodeputati. Un primo parziale riscontro in realtà era già arrivato nell'ottobre del 2017, quando rispondendo all'europarlamentare greco Nikolaos Chountis (Syriza), il governatore Mario Draghi aveva ammesso che nel periodo 2012-2016 i profitti per la Bce dai soli titoli ellenici ammontavano a 7,8 miliardi di euro. Nell'occasione, Draghi precisava che i guadagni accumulati dal programma Smp venivano redistribuiti secondo il classico schema di ripartizione degli utili, secondo il quale ogni Stato riceve un versamento in proporzione al cosiddetto capital key, ovvero la quota di capitale versata al momento della sottoscrizione. Una volta percepito l'utile, di norma la singola banca centrale mette a disposizione dei relativi governi quanto incassato. Diventava chiaro a quel punto che i proventi degli interessi greci (ma anche italiani, portoghesi, spagnoli e irlandesi) finivano nelle tasche di Paesi che con la crisi avevano avuto poco a che fare, tra gli altri Germania, Francia e Paesi Bassi. La rivelazione finì per destare un certo scalpore nell'opinione pubblica ellenica, anche perché molti Stati avevano fatto pressioni per vincolare il pagamento della quota di profitti di Atene solo in seguito all'attuazione di nuove e ancora più severe riforme strutturali. Oltre al danno, dunque, la beffa: messa in ginocchio dalla crisi e strangolata dalla montagna di debiti contratti per evitare il fallimento, la Grecia assisteva impotente alla fuoriuscita di centinaia di milioni di euro l'anno.Nell'ottobre del 2018, Positive money, Wemove.eu ed Eurodad (altre associazioni che promuovono cause per una maggiore giustizia sociale e contro la povertà), consegnavano al portavoce dell'Eurogruppo una petizione firmata da 117.000 cittadini (mentre scriviamo le firme sono quasi 150.000) per chiedere la restituzione degli interessi ricavati dai titoli di Stato alla Grecia. Nel frattempo, non contento della prima risposta ottenuta l'anno precedente, Chountis tornava alla carica per chiedere maggiori dettagli sull'operazione. Stavolta Mario Draghi riusciva a essere più preciso, inviando l'estratto conto dei guadagni dal 2010 fino al 2038, data di prevista conclusione del programma. La cifra che si ottiene sommando gli importi annuali è pari a ben 14,5 miliardi di euro. E non è tutto. Nel computo, infatti, sono esclusi i ricavi ottenuti dagli Anfa (Agreement on net financial assets), gli investimenti effettuati dalle singole banche centrali nazionali in accordo con la Bce. La questione a questo punto si fa torbida, dal momento che Francoforte si rifiuta di rilasciare dati ufficiali su questi strumenti, spiegando che la materia è di competenza delle banche nazionali. Secondo le stime di Positive money, i ricavi dagli Anfa per i bond greci si aggirano intorno ai 4 miliardi di euro.L'ultimo capitolo della vicenda si ottiene con la disclosure totale dei dati nello scorso primo aprile, sollecitata dall'europarlamentare irlandese Matt Carthy (Gue/Ngl) e da quello belga Philippe Lamberts (Verdi). Finalmente, la Bce rivela quali sono stati i guadagni reali ottenuti dal programma Smp, offrendo uno spaccato per singolo Paese interessato dall'acquisto dei titoli. Prima in classifica l'Italia, con 24,4 miliardi dal 2010 al 2017, seguita da Grecia (15,7), Spagna (9,4), Portogallo (7,1) e Irlanda (4,6). Totale: 61,1 miliardi. Mentre, dal 2018 fino a scadenza il piano dovrebbe portare nelle casse dell'Eurosistema ancora 11,5 miliardi, dei quali 5,5 solo dall'Italia. La differenza tra i dati forniti ad aprile e quelli ottenuti dalle relazioni annuali, spiega alla Verità Stan Jourdan, attivista di Positive money, è causata dal fatto che «solo una piccola parte dei profitti del Smp viene riportata direttamente nei profitti della Bce, mentre il resto viene dichiarato nei bilanci delle singole banche centrali». In effetti, spulciando i bilanci di due azionisti di peso della Bce, la banca centrale tedesca (capital key 18,37%) e di quella olandese (capital key 4,1%), l'informazione trova conferma. Dagli interessi del programma Smp i Paesi Bassi hanno incassato guadagni per 2,7 miliardi di euro (2012-2017), mentre Berlino si è messa in tasca ben 14,6 miliardi (2010-2018). Purtroppo, non tutte le banche centrali nazionali indicano a bilancio la cifra esatta relativa agli Smp, a riprova del fatto che quando si parla di Bce e di istituti nazionali si deve mettere in conto la scarsissima trasparenza e l'enorme difficoltà nell'accedere a dati certi e incontrovertibili.Ma il tema è di quelli «caldi» e la rabbiosa reazione sfoderata su Twitter il 4 maggio dall'ex vicepresidente della Bce Vitor Constâncio lo dimostra: «Quello di Positive money è un tweet demagogico. La Bce ha acquistato bond nel mercato secondario quando questi Paesi erano sotto attacco con bassi prezzi dei loro bond (e alti rendimenti). Questo ha sicuramente aiutato questi Paesi a diminuire il valore dei rendimenti. La Bce è stata accusata di acquistare titoli tossici in alcuni Stati chiave. Quando le obbligazioni sono giunte a scadenza, sono state normalmente rimborsate dagli emittenti». Operando in questo modo, ha precisato Constâncio, semmai la «Bce ha aiutato e non ha generato profitti a scapito di quei Paesi». Positive money si è difesa precisando che la contestazione non riguarda tanto l'attivazione del programma Smp (giudicato anzi necessario per far fronte all'emergenza di quel periodo), quanto piuttosto le modalità con cui è stato gestito, e la conseguente necessità di rivedere lo schema di redistribuzione dei profitti nell'Eurosistema. Non c'è nulla di illegale nella pratica del signoraggio. Dal 2015 il quantitative easing, per esempio, ha generato proventi totali per circa 2 miliardi di euro, che hanno contribuito in parte a tenere in piedi il bilancio della Bce e quello delle banche centrali nazionali. Ma il problema non riguarda solo la mancata trasparenza. La vera domanda è: come si fa a parlare di solidarietà europea se alcuni Stati rifiutano qualsiasi meccanismo di condivisione del debito, e d'altra parte incassano senza battere ciglio i miliardi che piovono dal cielo grazie ai Paesi in crisi?