2021-01-12
La Azzolina boccia la sua scuola a distanza
Il ministro dell'Istruzione ammette che «le lezioni online non funzionano più». E si dice preoccupata: magari, preso atto del flop, dovrebbe invece dimettersi. Intanto Agostino Miozzo (Cts) invoca da una parte la riapertura delle aule e dall'altra il «lockdown totale»«La Dad non funziona più. È difficile per gli studenti comprendere perché non rientrano a scuola, capisco la loro frustrazione: la scuola è un diritto costituzionale, se a me avessero tolto la scuola non sarei probabilmente qui». Così, con toni accorati da libro Cuore, la maestrina dalle labbra rosse ha esternato a Radio Rai il suo rammarico. Lucia Azzolina è da un anno ministro dell'Istruzione, ma appena può dimentica che siede su quello scranno. Parla della scuola come fosse fossero altri a occuparsene, a maltrattarla, a renderne impossibile la riapertura. Protesta perché «socialmente è stata messa nel fondo dello sgabuzzino», ma è stata lei a sconquassarla ignorando i docenti, le famiglie, i sindacati, gli studenti che «non sono imbuti da riempire», come infelicemente ricordò. Tra gaffe e contraddizioni, ha collezionato per mesi disastri senza rendersene conto. Oggi, visto che prende atto del suo fallimento, dovrebbe soltanto dimettersi. Lo scorso maggio dichiarava: «La chiusura delle scuole è stata sofferta, ma questa scelta è servita a salvare molte vite», prendendosi l'assurdo merito di aver fermato contagi e morti. Poi, in audizione alla Camera, assicurava: «La didattica a distanza non è stata perfetta ma ha consentito di non disperdere del tutto le relazioni. La tecnologia è un supporto, ma è stato fatto un grande sforzo e la scuola ha superato la prova». Un'affermazione sconcertante, se consideriamo che circa tre studenti su dieci hanno problemi di connessione o non dispongono di tablet per seguire le lezioni con la Dad. E che secondo il rapporto Unicef di novembre «The future we want. Essere adolescenti ai tempi del Covid-19», più di sei studenti su dieci hanno dichiarato che la digitalizzazione ha creato stress nello studio. Sul Corriere, due giorni fa il ministro ci ripensa: «Rivendico l'idea della Dad, ma non potrà mai sostituire la didattica in presenza», dichiara dopo aver visto e ascoltato le proteste degli studenti. Peccato che se troppi giovani si sentono traditi, è proprio grazie all'incapacità del ministro dell'Istruzione di pianificare il rientro a scuola in sicurezza e di mantenere la didattica in presenza, garantita in molti altri Paesi anche durante la seconda ondata. Lucia Azzolina era troppo occupata a decantare le qualità dei banchi a rotelle, tanti dei quali consegnati a scuole già richiuse, e a introdurre graduatorie provinciali per le supplenze piene di errori. O a difendere un concorsone che ha messo a rischio la salute e i diritti dei docenti, ma per il quale è stata «bocciata» dal Consiglio di Stato: le prove suppletive si dovranno fare. Ieri lo sfogo a Radio Rai: «Sono molto preoccupata, oggi la dad non può più funzionare, c'è un black out della socialità, i ragazzi sono arrabbiati, disorientati e sono preoccupata per il deflagrare della dispersione scolastica». Una predica che non è piaciuta al governatore del Lazio e segretario dem, Nicola Zingaretti: «I membri del governo che intervengono senza offrire soluzioni non si rendono conto che in primo luogo danneggiano il governo di cui fanno parte».Come l'Azzolina, anche il coordinatore del Cts, Agostino Miozzo, sembra avere idee confuse. Per l'Istituto superiore di sanità e l'Inail, la riapertura delle scuole rischia di «determinare un'onda epidemica non contenibile», ma il responsabile del Comitato tecnico scientifico sul Messaggero lamenta che i giovani «sono lontani dalla scuola da quasi un anno. Gli imponi la Dad, gli imponi di non vedersi, a Capodanno non si può festeggiare, qualcosa gli devi far fare. È necessaria una buona comunicazione, ma anche il ritorno a scuola, compresa l'università». Non solo, «la soluzione migliore sarebbe quella del lockdown totale, ma non possiamo più farlo». In una lettera al Corriere, qualche giorno fa Miozzo chiedeva «perché non sia possibile imporre decisioni da adottare in relazione a precisi parametri di compatibilità e di rischio dei territori, ben consapevoli di ciò che il complesso mondo della scuola rappresenta. Una centralità decisionale che metta in evidenza la necessità di considerare il tema della scuola, della salute psicofisica dei nostri giovani come vera priorità del nostro Paese». Ma non è stato il Cts a prevedere le misure di sicurezza previste per gli alunni all'interno delle classi? Con una serie di provvedimenti che sono cambiati come le successive colorazioni delle Regioni. Mascherine solo se non c'è la distanza di sicurezza, poi invece bavagli sempre; lo scambio di materiale didattico concesso e poi vietato. Miozzo, in audizione davanti alla commissione Istruzione del Senato, lo scorso dicembre dichiarava: «Il Cts non è stato investito del tema della didattica a distanza, non ne ha valutato appropriatezza e criticità. Siamo preoccupati che la lontananza degli studenti dal momento scolastico crei problemi e ci siamo concentrati sui rischi della distanza degli studenti». Bisogna far tornare gli alunni a scuola però, se i sindacati premono perché gli insegnanti vengano vaccinati, Miozzo risponde: «Sicuramente i docenti andranno vaccinati tra i primi, per il lavoro che fanno e anche perché una parte importante di loro ha più di 55-60 anni e quindi appartiene a una fascia a rischio. Ma la priorità sono gli over 80». Ieri rifletteva con Il Messaggero: «Pur rendendoci conto che ovviamente la soluzione migliore sarebbe quella che abbiamo preso a marzo-aprile, ovvero il lockdown totale e nazionale, non possiamo più farlo». Sconcertante. L'ennesima conferma della scarsa utilità dei pareri tecnici del Cts, che assieme all'inadeguatezza del ministro dell'Istruzione stanno davvero condannando la nostra scuola.