
La presidente della Consulta incensata da Repubblica: «La Carta tuteli tutti a partire da poveri, migranti e carcerati».Quella di ieri è stata una domenica di duro lavoro, con cui la sinistra ha provato a mettere qualche altro mattoncino dell'edificio che, ai tempi di Antonio Gramsci, si sarebbe definito «egemonia culturale». Da un lato il Corriere, con la sapiente rielaborazione veltroniana della memoria «condivisa» sugli Anni di piombo. E dall'altro Repubblica, con due paginoni dedicati alla presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia. Un tentativo, stavolta, di costruire un'interpretazione condivisa del ruolo della Consulta, in cui, dietro lo slogan della «giustizia dal volto umano», emerge un vero e proprio programma ideologico del nuovo corso impresso dalla Cartabia alla Corte.L'occasione la offre la recente sentenza, con cui i magistrati della Consulta hanno aperto alla possibilità che le madri detenute, con figli disabili, scontino a casa la pena. Però, i chili di melassa sulla giustizia che «deve essere capace di bilanciare le esigenze di tutti», sulla necessità di «recuperare, riappacificare, permettere di ricominciare anche a chi ha sbagliato», in realtà confermano (se già non bastasse la doppia pagina con gigantografie sul quotidiano romano) l'attivismo della presidente della Corte costituzionale. Siamo, insomma, all'ennesimo atto di un'«operazione simpatia», costruita dai media d'establishment in vista di una sua potenziale corsa al Colle, nel 2022. O, comunque, di un lancio come «riserva della Repubblica», in una fase storica in cui può tornare utile un'altra Giuseppi, una figura pop, ma anche capace di mettere d'accordo gialli e rossi. Nell'intervista, a risaltare, sono soprattutto le forzature del giornale di Eugenio Scalfari, che dipinge il ritratto di una Cartabia dal profilo super partes, ma altresì latrice di istanze progressiste che s'attagliano a entrambi gli azionisti di maggioranza. Basta guardare il catenaccio dell'intervista, con Repubblica che attribuisce alla giurista un virgolettato un tantino «tirato», in cui si legge che la Costituzione «tutela tutti, a partire dagli ultimi: poveri, migranti e carcerati». A ben vedere, la Cartabia i migranti non li cita esplicitamente. Racconta, però, la storia di una madre - dominicana - la quale, finita in carcere per spaccio, alla fine, anziché essere espulsa dall'Italia, è stata reintegrata nella società. Ed è evidente che la presidente della Consulta si presta al giochino di Repubblica: sembra di leggere padre Antonio Spadaro e le sue tirate contro il sovranismo «angustamente securitario».Abilissima pure la precisazione sulla bocciatura della retroattività della Spazzacorrotti: quasi a sottolineare che s'è trattato di una decisione obbligata (in effetti, persino l'avvocato dello Stato s'era rifiutato di difendere la legge), non di un atto orientato contro il Guardasigilli grillino. Una cortesia che nessuno, alla Consulta, ha avvertito, quando è stato liquidato, con motivazioni invero deboline, il referendum sul maggioritario promosso dalla Lega. In definitiva, è tutto un canto e controcanto tra intervistatore e intervistata. Dalle colonne di Repubblica il messaggio arriva chiaro: qui c'è una figura che si può spendere nella prospettiva della famosa «alleanza organica» tra Pd e 5 stelle. Tant'è che, nell'atto stesso in cui la Cartabia garantisce che l'azione della Consulta «non può essere compresa attraverso chiavi di lettura di tipo politico, come la contrapposizione “destra-sinistra"», in verità tradisce l'esistenza di una precisa agenda della sua Corte. Che magari sarà solo «arbitra», come dice lei, ma proprio per questo pare incline a esercitare arbitrio... D'altronde, mentre le «istituzioni politiche» sono, per natura, sottoposte al controllo democratico, gli «arbitri» non lo sono. Che la presidenza Cartabia voglia portare avanti una piccola rivoluzione, in fondo, lo testimonia pure l'inciso, vagamente inquietante, in cui la giurista chiama alle armi «l'informazione», assegnandole il compito di sostenere la Corte nella promozione dei valori della Costituzione - chiaramente, da interpretare alla Roberto Benigni, come la più bella del mondo, quella che sta dalla parte delle nuove formazioni sociali che piacciono alla sinistra fucsia. Se non è un programma politico questo...
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






