2024-08-06
        «Khelif e Lin sono due uomini». Il dossier dell’Iba cestinato dal Cio
    
 
        Al centro Lin Yu-Ting, nel riquadro a lato Imane Khelif (Getty Images)
    
La federazione internazionale: «Abbiamo condiviso gli esami che hanno portato alle esclusioni dai Mondiali ma non ci hanno ascoltato». Il Comitato conferma i documenti ma fa spallucce: «Procedura e test non validi».L’Iba insiste. Imane Khelif e Lin Yu-Ting sono uomini. L’ha ribadito ieri in una conferenza stampa di quasi tre ore a Parigi e l’aveva comunicato al Comitato olimpico internazionale (Cio) già un anno fa. Una lettera inviata il 5 giugno 2023 in cui spiegava che «dal punto di vista medico» le atlete «non avevano diritto a gareggiare come pugili donne».La posizione è maturata dopo alcuni test che avevano portato l’Iba (International boxing association) alla decisione di squalificare le due dai Campionati mondiali di boxe che si erano tenuti nel marzo 2023 a Nuova Dehli. Alla lettera sono stati allegati i risultati di due test, uno effettuato da un laboratorio di Istanbul durante i campionati del 2022 e un altro realizzato in India l’anno successivo. La speranza era quella di un «incontro tecnico» formale per «discutere i passi necessari» da fare. «Confidiamo che presterete a questa questione la massima attenzione e che avrete il nostro assoluto sostegno nel fare ciò che è necessario per garantire la sicurezza degli atleti in competizione», aveva scritto l’Iba. L’incontro però non c’è mai stato. Anzi, dopo neanche due settimane l’Iba, presieduta dal russo Umar Kremlev, è stata fatta fuori dal Cio e dai Giochi olimpici.La lettera, in effetti, è stata ricevuta come confermato dal portavoce del Cio, Mark Adams, ma i test non sarebbero validi. Non lo sarebbe la procedura con cui sono stati eseguiti, né il modo in cui sono stati inviati, tanto meno l’iniziativa in sé. Insomma, bocciatura totale. Una posizione prevedibile visto che, nelle «linee guida su inclusività a non discriminazione», il Cio mette ben in chiaro che i test sul Dna sono troppo invasivi e che quello che conta è il genere indicato sul passaporto. Sebbene, com’è noto, nome e sesso registrati all’anagrafe sono rettificabili e, quindi, non certo esaustivi, l’unico parametro oggetto di controllo del Cio sono i livelli di testosterone. «Com’è possibile che una persona nata e cresciuta come donna, che ha gareggiato e che ha il passaporto come tale, non venga considerato donna?», ha chiesto il presidente del Cio, Thomas Bach. Lapalissiano, sembrerebbe, eppure nei corridoi olimpici non è sempre stato così. Fino al 1999 i test sessuali sugli atleti venivano effettuati senza problemi.«Per noi Khelif è un’ottima atleta», ha spiegato ieri il presidente del comitato medico dell’Iba, Ioannis Filippatos, «ma i cromosomi dicono che è maschio. Un fattore da considerare se vogliamo proteggere le donne che gareggiano nelle categorie femminili». Su questo le regole dell’Iba non lasciano spazio a dubbi. «Uomo/maschio/ragazzo» si legge, «sono individui con il cromosoma XY», pertanto, ai fini dei criteri di ammissibilità di genere, «i pugili possono essere sottoposto a test casuali o mirati».Un punto non di poco conto anche per i 26 studiosi che lo scorso marzo hanno lanciato l’allarme su come le regole del Cio, non discriminatorie verso atleti transgender e con variazioni del sesso, potessero esserlo nei confronti delle atlete donne (nate donne). Uno studio condotto da Emma Hilton e Tommy Lundberg nel 2021, «Trangensder women in the female category of sport: perspectives on testosterone suppression and performance advantage» rileva, infatti, che le cure per ridurre i livelli di testosterone nonché della massa muscolare nelle donne transgender (nate maschio), non riducono il vantaggio sulle colleghe e che il divario di potenza tra un pugno maschile e uno femminile è del 162%. In pratica, i maschi possono colpire 2,6 volte più forte delle femmine.Per quanto si possa intervenire sui livelli di testosterone in età adulta, l’esposizione a questo ormone nell’età dello sviluppo maschile pone un vantaggio per gli uomini, per le donne transgender, così come per i soggetti con cromosomi XY nati maschi ma cresciuti come femmina per via di una disfunzione dello sviluppo sessuale (Dsd), come potrebbe essere il caso di Khelif. Dati alla luce dei quali, gli accademici propongono di declinare la distinzione maschio/femmina in: atleti con sviluppo maschile e femminile. Una posizione che in questi giorni sta raccogliendo un certo consenso nella comunità scientifica, non ultimo l’andrologo di fama mondiale David J Handelsman.Ma ieri sono emersi ulteriori dettagli sui test effettuati dall’Iba, esami del sangue che sono stati effettuati su un totale di quattro atlete nel 2022. Mentre due avrebbero mostrato risultati entro la norma, non è stato così per Imane e Lin, sulle quali, quindi, il test è stato ripetuto solo l’anno successivo. Non prima, ha spiegato l’Iba, perché, per velocizzare la pratica, ci sarebbe stato bisogno della collaborazione delle atlete. Che evidentemente è mancata. Così come è mancata a quanto pare la volontà di fare ricorso alla Corte arbitrale dello sport (Cas), il tribunale indipendente che supervisiona tutte le controversie nell’atletica e le cui sentenze sono pubbliche.Nelle ultime ore, anche István Kovács, vicepresidente europeo di un’altra associazione, la World boxing organization, e con un’esperienza pregressa nell’Iba, ha reso noto che si sapeva da almeno due anni che Khelif fosse biologicamente maschio. Affermazioni che non devono essere piaciute al ministro algerino della Gioventù e dello sport, Abderrahmane Hammad, che in un post su X ha messo in chiaro «che chiunque offenda Khelif, nostra eroina, verrà perseguito» e che «l’energia dell’Algeria per difendere le donne è inesauribile». Una dichiarazione di buon auspicio per un Paese che, quanto a rispetto dei diritti delle donne, non è certo ai primi posti.
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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