2025-04-17
Stecca della Kallas sulla via della pace: «Putin dittatore, uccide gli avversari»
Kaja Kallas (Getty Images)
L’Alto rappresentante dell’Unione attacca lo zar e anche Donald Trump: «Se facesse vere pressioni sull’aggressore, la guerra finirebbe».La guerra in Ucraina come se fosse una faccenda tra Donald Trump e Vladimir Putin. «Il presidente degli Stati Uniti potrebbe davvero mettere fine a questa guerra in brevissimo tempo facendo pressione sulla Russia», sostiene Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera. Che, per completare l’opera di annullamento dell’Europa nel processo di una possibile pace, attacca inutilmente Putin, definendolo «un dittatore» alla guida di «un Paese non democratico». Se il fine della politica europea fosse il silenzio dei cannoni in Ucraina e non una corsa al riarmo di Kiev e di tutto il Continente, sarebbe da evitare la delegittimazione di uno dei personaggi che si vogliono mettere in torno a un tavolo, per altro entrando in questioni interne della Russia.Il braccio di ferro verbale tra Kallas e Mosca va avanti da giorni e ieri ha vissuto una nuova puntata con l’intervista del politico estone al quotidiano La Repubblica. L’ex premier socialdemocratico ha buttato la palla nel campo della Casa Bianca, sostenendo che «Trump potrebbe davvero porre fine a questa guerra in brevissimo tempo facendo pressione sulla Russia. La pressione, invece, è sull’Ucraina». Battuta a effetto, ma dimentica che l’Ue ha attaccato il presidente degli Stati Uniti per il suo approccio solitario alla soluzione della crisi e poi non passa quasi giorno senza che lo stesso venga dipinto come un autocrate arrogante e un pericolo per tutte le democrazie del pianeta.Insomma, più che altro l’ennesima provocazione della Kallas, che ancora tre giorni fa si vantava della gran quantità di munizioni che i Paesi dell’Unione sono pronti a mandare alle forze ucraine. E, a proposito di democrazia, Kallas, sempre con il quotidiano romano, ha attaccato Mosca a testa bassa: «Capisco che tutti debbano salvare la faccia, ma la Russia avrebbe potuto mostrare un po’ di buona volontà restituendo, ad esempio, le migliaia di bambini deportati o rilasciando i prigionieri di guerra o qualsiasi altra cosa. E invece nulla». Quindi, con scarsa diplomazia, si è dedicata a Putin che, per questo ex avvocato antitrust, non sarebbe altro che «un dittatore», alla guida di una nazione «che da tempo non ha elezioni democratiche, libere ed eque. L’ultima volta è stata con Eltsin». «Putin è un vero dittatore», ha continuato l’Alto rappresentante, «e i dittatori funzionano così, eliminano tutti i concorrenti. Basta pensare a come hanno ucciso Navalny. Il metodo è quello di eliminare le alternative e rendere felici i compari intorno a lui, le strutture di potere, come l’esercito e la polizia. E così si resta al potere». In diplomazia, però, non sempre contano la verità e aver ragione e se il capo (di fatto) della diplomazia Ue entrasse nel merito di una serie di omicidi politici anche in alcune nazioni del Medio Oriente o del Nord Africa, non avremmo più rapporti con nessuno. Difficile, a questo punto, che Putin si possa sedere a un qualunque tavolo dove c’è anche la Kallas.Va detto che l’ex premier estone era stato attaccato direttamente da Mosca, con il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, che due giorni fa ha detto pubblicamente che Kallas andrebbe rimossa dalla carica e processata da un tribunale Onu come un criminale internazionale. «Che lo dica lui è un onore. È il modo in cui operano i russi: minacciare e intimidire. Vogliono che abbiamo paura delle loro minacce. La risposta è non averne», ha reagito l’Alto rappresentante. Che poi ha ribadito la posizione dell’Unione: «In questa guerra c’è un aggressore e c’è una vittima. La Russia ha violato la sovranità dell’Ucraina e continua a colpire civili. Kiev non ha provocato questo conflitto. È stata attaccata».Non aiuta ovviamente alcun cammino verso una pace, pace che è necessaria anche perché è chiari da mesi che l’Ucraina ha perso la guerra, anche l’appello ai singoli governi europei a non andare in Russia per le celebrazioni della Giornata della Vittoria, il prossimo 9 maggio. Tre giorni fa, sempre la Kallas ha addirittura promesso non meglio precisate «punizioni» nei confronti dei Paesi che andranno a Mosca per partecipare alla parata militare. Anche questa, una sortita non solo autoritaria, ma anche controproducente.Pugno di ferro minacciato anche contro la Georgia, sempre più terreno di scontro tra Unione europea e Russia. Ieri Tbilisi ha approvato nuove norme sull’attività dei media e sulla tutela dei diritti umani e immediata è arrivata la reazione della Kallas: «Oggi la Georgia ha adottato una legge che riduce ulteriormente lo spazio civico. Approvata in fretta e furia, senza consultazioni, si aggiunge alla recente legislazione repressiva. Questi passi minano lo status di candidato all’Ue della Georgia e i principi democratici fondamentali». Alle ultime elezioni politiche georgiane ha vinto ancora una volta il partito filorusso Sogno georgiano, al potere da 13 anni, e Bruxelles sta con il fucile puntato verso Tbilisi. L’amministrazione Trump non ha ancora preso una posizione chiara sulla Georgia e l’Ue teme che, se gli Usa cederanno di fatto l’Ucraina a Mosca, la Georgia potrebbe essere il prossimo Paese a essere «destabilizzato» pesantemente da Putin. Che intanto ha già chiesto: nessun ingresso di Tbilisi nella Nato.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)