
Le motivazioni dei giudici sulla penalità sono durissime: «Sistema fraudolento», fra i dirigenti c’era «consapevolezza». Non è finita, Uefa e caso stipendi possono costare altri punti: Massimiliano Allegri parla di salvezza. C’erano addirittura fatture dei giocatori scambiati «corrette a penna», per non far emergere che si trattava di plusvalenze artificiali. E così la corte d’appello federale ha preso anch’essa la penna e ha corretto la classifica del campionato di serie A in corso levando d’imperio 15 punti alla Juventus. Insomma, chi di penna ferisce, di penna perisce. Lo si comprende dalle 36 pagine di motivazioni pubblicate ieri dal tribunale calcistico di secondo grado, nelle quali si parla di «intenzionalità» delle violazioni bianconere, della loro natura «grave, ripetuta e prolungata» e di bilanci «semplicemente non attendibili». Fino a descrivere un vero e proprio «sistema fraudolento». Insomma, per la Juve piove decisamente sul bagnato. Non solo ci sono i guai del processo penale di Torino e dell’inchiesta Uefa che può escludere il club dalle competizioni europee. Non solo aleggia il fantasma di Cristiano Ronaldo, che potrebbe confermare ai pm la famosa «manovra stipendi», ma c’è anche lo spettro di una serie B da evitare sul campo, dopo l’allarme lanciato domenica dall’allenatore Massimiliano Allegri. C’era molta curiosità intorno alle motivazioni della sentenza della corte d’appello federale che aveva addirittura tolto alla Juventus sei punti in più, rispetto ai nove chiesti dal procuratore Giuseppe Chiné. Il primo punto da chiarire era perché, dopo le assoluzioni sulle plusvalenze della scorsa primavera, la corte avesse deciso di riaprire il caso. Per la corte, «è indiscutibile che il quadro fattuale determinato dalla documentazione trasmessa dalla procura della Repubblica di Torino alla procura federale, e da questa riversata a sostegno della revocazione, non era conosciuto dalla corte federale al momento della decisione revocata e, ove conosciuto, avrebbe determinato per certo una diversa decisione». Risolta la questione preliminare, si entra nel merito, che ruota intorno a una considerazione dei giudici: «I bilanci della Juventus semplicemente non sono attendibili». In particolare, sarebbe stato violato l’articolo 6 del codice sportivo sulla lealtà, perché «la Juventus ha commesso un illecito disciplinare sportivo, tenuto conto della gravità e della natura ripetuta e prolungata della violazione». E questo illecito sarebbe provato da «documentazione proveniente dai dirigenti del club con valenza confessoria e dai relativi manoscritti», come le agende, le annotazioni dei manager e il famoso «libro nero» di Fabio Paratici. E poi ci sono le intercettazioni telefoniche e ambientali della guardia di finanza che hanno pesato come macigni. Sul tema plusvalenze, i giudici del collegio censurano «l’assenza di un qualunque metodo di valutazione delle operazioni di scambio e, invece, la presenza di un sistema fraudolento in partenza (quanto meno sul piano sportivo) che la corte federale non aveva potuto conoscere». Poi, si osserva che «diventano rilevanti le operazioni di nascondimento operate da alcuni dirigenti della Juventus che si sono spinte sino ad intervenire correggendo “a penna” le fatture ricevute dalla controparte per non far emergere la natura permutativa dell’operazione compiuta». L’immagine sembra anche evidenziare una certa grossolanità nel tentare di dissimulare operazioni gonfiate a tavolino. Ma come mai la sanzione è stata più severa delle richieste della procura? Il ragionamento dei giudici accoglie la tesi dell’accusa sui «campionati falsati» e nella sentenza si legge che la sanzione doveva essere «proporzionata anche all’inevitabile alterazione del risultato sportivo» che è seguito agli illeciti. Inoltre, «deve essere proporzionata al mancato rispetto dei principi di corretta gestione che lo stesso statuto della Figc impone quale clausola di carattere generale in capo alle società sportive». In definitiva, la corte ha tenuto conto «della particolare gravità e della natura ripetuta e prolungata della violazione e della stessa intensità e diffusione di consapevolezza della situazione nei colloqui tra i dirigenti della Juventus». Mentre sugli altri club coinvolti negli scambi, «il sospetto che eventualmente può inferirsi non è sufficiente a determinare una condanna».La Juventus ha annunciato che farà ricorso al collegio di garanzia del Coni: «Nelle motivazioni illogicità e infondatezza». Ma altre nubi turbano il cielo bianconero. Cristiano Ronaldo ha manifestato l’intenzione di farsi sentire dai pm (il 27 marzo c’è l’udienza preliminare per i bilanci) e questo può diventare un colpo importante per l’accusa, che ha svelato la «manovra stipendi» ai tempi del Covid. Nei prossimi mesi, poi, è attesa la fine dell’inchiesta Uefa sul fairplay finanziario, che può sfociare in un’esclusione del club dalle coppe. Lo scorso 21 gennaio, incassata la penalità, Allegri aveva detto: «per arrivare in Champions League dobbiamo fare qualcosa di straordinario». Domenica, dopo il crollo con il Monza, ha corretto il tiro: «Ci servono punti per la salvezza». Forse la nuova dirigenza è più prudente. E senza essere sull’orlo del baratro come la Juve, va detto che anche in casa Milan le cose non vanno benissimo. Domenica i campioni d’Italia si sono arresi malamente al Sassuolo in casa, erano crollati in Supercoppa contro l’Inter e anche loro sono coinvolti in un’inchiesta giudiziaria. Si tratta dell’indagine della procura di Milano sulla vendita del club dal fondo Elliott alla Red Bird di Gerry Cardinale dell’agosto scorso. Il reato ipotizzato è appropriazione indebita, ma al momento non risultano indagati. È comunque il segno di un momentaccio.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.