2022-05-19
A 124 anni dalla nascita, la cultura mainstream si è accorta di Julius Evola
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Dalle mostre alle trasmissioni Rai: il nome del pensatore tradizionalista nato il 19 maggio 1898 sembra uscito dal micromondo neofascista in cui è stato sempre venerato. Ma nella sinistra più ideologizzata resiste un odio invincibile.Il 19 maggio 1898, quindi 124 anni fa esatti, nasceva a Roma Giulio Cesare Evola (il terzo nome in genere riportato, Andrea, non risulterebbe negli atti ufficiali, così come la qualifica di barone, che era inventata), meglio noto come Julius, di gran lunga il pensatore più influente della destra italiana e, forse, europea del secondo dopoguerra. Intellettuale marginale durante il fascismo – ma con importanti entrature presso alcuni gerarchi, da Bottai a Farinacci, e per un certo periodo tenuto in grande considerazione da Mussolini stesso – Evola divenne invece centrale nella generazione che «non aveva fatto in tempo a perdere la guerra», secondo una espressione divenuta corrente, ovvero in quei ragazzi che avevano vissuto la disfatta bellica senza aver potuto prendere le armi. Le ragioni di quella riscoperta post bellica sono probabilmente da ricercare nello stato d'animo di quanti erano restati idealmente legati al fascismo e avevano visto crollare il loro mondo con la disfatta militare. Evola inseriva quegli eventi in una cornice storica e metastorica più ampia, quasi cosmica, dando indicazioni esistenziali per vivere in quella che chiamava «l'età oscura».Fatto sta che, dai Far – gruppi fascisti clandestini che operarono nei primissimi anni della repubblica – ai movimenti degli anni Settanta, come Ordine nuovo, Terza posizione, Avanguardia nazionale, fino alle effervescenze giovanili del terzo millennio, Evola è sempre stato centrale nel pantheon della destra radicale del dopoguerra, e in parte anche in quella parlamentare, perché nel mondo missino, poi di Alleanza nazionale e oggi di Fratelli d'Italia, correnti più o meno sensibili alle idee evoliane non sono mai mancate. La novità di questi ultimi anni è semmai che su Evola si sono accesi i fari della cultura mainsetram. In questi giorni, e fino al 18 settembre, per esempio, al Mart di Rovereto è stata allestita la più ampia e importante mostra sull'Evola pittore mai realizzata, con cinquantacinque opere esposte, più documenti, manoscritti e altre rarità. Si intitola «Julius Evola. Lo spirituale nell’arte», nasce da un’idea di Vittorio Sgarbi ed è a cura di Beatrice Avanzi e Giorgio Calcara.Non solo. A fine marzo, su Rai Storia, è andata in onda una puntata abbastanza sbalorditiva di Passato e Presente dedicata interamente al pensatore tradizionalista. Condotta da Paolo Mieli e con la studiosa Alessandra Tarquini, la trasmissione ha cercato di ricostruire la parabola del pensatore romano dagli esordi dadaisti ai legami con la destra radicale del dopoguerra. Pur in presenza di qualche imprecisione e di qualche giudizio forte, la trasmissione ha stupito più di uno spettatore per il tono sereno e non moralistico con cui è stato trattato un tema spinoso, con tanto di invito finale a leggere (non, ovviamente, a condividerne i contenuti, sarebbe stato troppo) i libri. Per una bizzarra coincidenza, peraltro, nella stessa sera in cui andava in onda la trasmissione di Rai Storia, con ben altro livore la filosofa cyberfemminista Rosi Braidotti a Otto e mezzo, su La7, citava Evola per spiegare il «progetto filosofico» di Vladimir Putin, che, secondo la scrittrice, avrebbe alle spalle Aleksandr Dugin. E, dietro a Dugin, ecco spuntare appunto Evola, «grande amico di Mussolini e ispiratore anche di Bannon», il cui grande nemico è «l’emancipazione della donna e dei gay». Evola maestro occulto di Putin tramite Dugin, quindi, ma anche di Trump tramite Bannon. In pratica i principali eventi internazionali dell'ultimo decennio sarebbero tutti marchiati a fuoco dal pensiero evoliano. Non è vero nulla, ovviamente. Dugin si ispira effettivamente a Evola, ma non ha influenza reale su Putin. Bannon, invece, ha avuto per un certo periodo qualche peso sulle politiche di Trump, ma in compenso non è affatto un evoliano. È tuttavia singolare come il nome del filosofo italiano abbia ancora la capacità di «accendere delle spie» nella sensibilità degli intellettuali della sinistra più ideologizzata. Polemizzando con Gilles Deleuze, Michel Foucault disse: «un giorno, forse, il secolo sarà deleuziano». Parafrandolo, si può dire che ««un giorno, forse, il secolo sarà evoliano». Per alcuni è una speranza. Per altri un incubo.