2019-10-20
Johnson non si piega al Parlamento che cerca di sabotargli la Brexit
Passa l'emendamento che impone il rinvio del voto sull'accordo con l'Ue. Il premier furioso: «Non tratterò proroghe sull'uscita». E chiede l'approvazione per lunedì, a costo di avviare un maxi frontale istituzionale.L'avevano chiamato «Super Saturday», era dai tempi della guerra nelle Falklands che la Camera dei Comuni non si riuniva il sabato. Ma altro non è stato che un nuovo episodio della saga Brexit, un capitolo che, come tutti i precedenti, ne apre un altro. Con buona pace di quelli che vanno ormai avanti affermando ogni giorno che «questa è la giornata decisiva per la Brexit», anche ieri a Londra è andato in scena un nulla di fatto sull'accordo tra Regno Unito e Unione europea. Mentre in piazza manifestavano sia i sostenitori del Remain sia quelli del Leave, ieri pomeriggio la Camera dei Comuni ha votato a favore dell'emendamento proposto da un deputato conservatore, Oliver Letwin, che ha messo i bastoni fra le ruote al governo e al premier Boris Johnson nella loro corsa contro il tempo verso la Brexit, ancora legalmente in programma per il 31 ottobre. Con 322 voti a favore e 306 contrari (decisivi i dieci deputati del Dup, alleati del governo conservatore ma critici verso l'accordo negoziato da Johnson con Bruxelles), l'Aula ha detto sì all'emendamento, che rinvia il «voto significativo» sull'accordo tra Regno Unito e Unione europea sulla Brexit. Molti l'hanno definito una sorta di assicurazione: infatti, l'emendamento Letwin evita che possa realizzarsi un'uscita senza accordo che sarebbe stata possibile nel caso in cui fosse fallito uno dei voti successivi al «voto significativo». Con il voto di ieri, quindi, il Parlamento dovrà prima approvare tutte le leggi che regolano l'accordo, infine l'accordo stesso. Per comprendere la crisi costituzionale che sta vivendo il Regno Unito serve collegare l'emendamento Letwin al Benn act, una mozione approvata dal Parlamento che vincola il premier Johnson a chiedere un rinvio della Brexit nel caso in cui l'Aula non abbia votato a favore di un nuovo accordo o a favore di una Brexit senza accordo entro il limite del 19 ottobre, cioè ieri. E ieri il limite è stato superato. Il primo ministro ha però deciso di sfidare il Parlamento dichiarando dopo il voto: «Non negozierò un rinvio con l'Unione europea e la legge non mi obbliga a farlo». E ancora: «La cosa migliore per il Regno Unito e l'Unione europea» è l'uscita in base ai termini dell'accordo negoziato tra Londra e Bruxelles. «La prossima settimana», ha annunciato, «il governo presenterà ai Comuni la legislazione per l'uscita dall'Unione europea il 31 ottobre». Poco dopo Jacob Rees-Mogg, il membro del governo che si occupa di organizzare i lavori parlamentari oltre che uno dei più convinti brexiter, ha fatto sapere che un nuovo voto sull'accordo si terrà lunedì. Secondo il leader del Partito laburista e dell'opposizione, Jeremy Corbyn, il premier britannico «ora deve rispettare la legge», che prevede un rinvio della Brexit. Corbyn ha invitato Johnson a «riflettere molto attentamente» sul suo rifiuto di chiedere una proroga del periodo di negoziazione sulla base dell'articolo 50. «Riteniamo che alla fine il popolo debba avere l'ultima parola sulla Brexit», ha aggiunto ribadendo la nuova linea del Partito laburista, intenzionato a chiedere un referendum sull'accordo raggiunto tra Johnson e Bruxelles.Rimane a guardare l'Unione europea. La Commissione «prende nota del voto britannico ai Comuni sul cosiddetto emendamento Letwin, che significa che l'accordo di recesso non è stato votato oggi (ieri per chi legge, ndr). Starà al governo del Regno Unito informarci dei prossimi passi il prima possibile», ha fatto sapere la portavoce Mina Andreeva via Twitter. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato, invece, che il rinvio del voto «non è nell'interesse di nessuno». Tuttavia, dall'Unione europea trapela la disponibilità a spostare più avanti la data della Brexit, «a patto che il premier Johnson scriva la lettera con la richiesta», spiega una fonte europea della Verità. La Commissione Juncker, il cui mandato è stato recentemente prolungato fino ad almeno dicembre, viste le difficoltà del futuro presidente Ursula von der Leyen a formare la sua squadra, non pare affatto dispiaciuta all'idea di scaricare il barile della Brexit sul prossimo esecutivo europeo.Oggi gli ambasciatori dei 27 Stati europei si incontreranno per discutere il voto di ieri, ma da Londra il premier continua a ribadire che non chiederà mai un rinvio. «Meglio morto in un fosso», ha detto. Prima del voto il premier Johnson aveva sottolineato come l'Aula stia discutendo il secondo accordo Brexit e sia ormai al quarto voto, dopo i tre con cui era stato respinto il piano dell'ex premier Theresa May. Per Johnson occorre votare il suo «deal» per «portare a termine la Brexit dopo tanti anni di divisione: una vera Brexit, con cui riprenderemo il controllo dei confini, delle leggi, del commercio, agricoltura e pesca». E al suo fianco si è schierata anche la stessa May, che scherzando sul déjà vu delle tre bocciature che avevano affossato il suo accordo e la sua premiership ha affermato che un nuovo voto contrario da parte della Camera sarebbe «un oltraggioso inganno» nei confronti del popolo. Mentre La Verità andava in stampa, Johnson non aveva inviato la lettera per chiedere un rinvio all'Ue, nonostante le disposizioni del Benn act. I suoi hanno avviato la conta per il voto di domani, convinti che ci sia la maggioranza in Parlamento sull'accordo di Johnson: se fosse approvato, invaliderebbe di fatto l'eventuale richiesta di rinvio.