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2022-11-06
Il grande jazz negli scatti di William Paul Gottlieb in mostra a Milano
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Ritratto di Louis Armstrong, Aquarium, New York, N.Y., ca. luglio 1946 © Courtesy William P. Gottlieb / Library of Congress
Newyorkese di Brooklyn, classe 1917, una passione innata per i ritmi jazz e per i suoi interpreti - quelle voci nere dalla sonorità straordinaria che ascoltava sin da bambino - per gli americani William Paul Gottlieb è colui che ha fotografato meglio di ogni altro la «Golden Age of Jazz», il jazz al suo apice, nella New York del secondo dopoguerra.
Storia singolare la sua, giornalista di professione e fotografo per caso, o meglio, per necessità … Visto che la rivista per la quale curava una rubrica di musica - ovviamente jazz - non voleva pagare un fotografo per illustrare i suoi pezzi (anche se la rivista in questione era il Washington Post), a Gottlieb non rimase altro che comprarsi una macchina fotografica (una Speed Graphic pagata a rate, per la cronaca) e farsi le foto da sé. E fu un successo.
Gottlieb amava profondamente quello che faceva. Il jazz era il suo mondo. Gli artisti i suoi amici, quelli con cui tirava tardi nei club di New York, fumo e note in libertà a fare da sottofondo. Fotografava e scriveva. Scriveva e fotografava. E in breve approdò al Down Beat, la bibbia delle testate giornalistiche che si occupavano di musica, e di jazz in particolare. Belli i suoi articoli, ma a passare alla storia sono state le sue foto, le sue immagini di cantanti e musicisti jazz immortalati quando si esibivano, nei momenti di pausa o nei camerini, forse le più riprodotte nella storia della fotografia americana.
Immagini iconiche, poster in bianco e nero (ma molti anche a colori) entrati oramai nell’immaginario collettivo, più famosi del suo autore, purtroppo rimasto sconosciuto ai più. Sua la foto di un giovane Frank Sinatra con la cravatta slacciata, quel ritratto di Louis Armstrong con «gli occhi che parlano» e la sua tromba divina, Billie Holiday che più intensa non si può, Nat King Cole, sornione, alla pianola, Leonard Bernstein posseduto dalla musica, Roy Eldridge e il suo microfono, le mani di Django Reinhardt che sfiorano la chitarra, baffetto da sparviero e sigaretta in bocca… Gli scatti di Gottlieb sembrano parlare. Li guardi, e ti sembra di sentirlo il jazz. Ti vien voglia di azzardare qualche nota, di tamburellare con le dita, di battere il ritmo con i piedi. Sono foto con «l’anima». La personalità dei musicisti messa a nudo con estrema sensibilità e senso della narrazione.
La mostra milanese, curata da Alessandro luigi Perna e allestita alla Casa del Vetro di Milano (Via Luisa Sanfelice, 3) sino al prossimo 3 dicembre, non solo ha il merito di regalare al visitatore una suggestiva full immersion di 60 immagini nello straordinario mondo del jazz, ma anche – e soprattutto – quello di ricordare ( o forse è meglio dire far conoscere…) una delle figure più interessanti del panorama fotografico americano degli anni ’40 del Novecento.
E’ importante sottolineare che l’esposizione - in anteprima assoluta per l’Italia - fa parte del progetto History & Photography (www.history-and-photography.com), che ha per obiettivo quello di raccontare la Storia con la Fotografia (e la Storia della Fotografia), valorizzando e rendendo fruibili al grande pubblico, alle scuole e università gli archivi storico fotografici italiani e internazionali, pubblici e privati
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Da Louis Armstrong a Billy Holiday, da Charlie Parker a Miles Davis, passando per Ella Fitzgerald e Nat King Cole, alla Casa del Vetro di Milano l’età d’oro del jazz rivive nelle immagini del giornalista e fotografo americano celebre per i suoi scatti della scena musicale di Washington e di New York negli anni Quaranta del secolo scorso.Newyorkese di Brooklyn, classe 1917, una passione innata per i ritmi jazz e per i suoi interpreti - quelle voci nere dalla sonorità straordinaria che ascoltava sin da bambino - per gli americani William Paul Gottlieb è colui che ha fotografato meglio di ogni altro la «Golden Age of Jazz», il jazz al suo apice, nella New York del secondo dopoguerra. Storia singolare la sua, giornalista di professione e fotografo per caso, o meglio, per necessità … Visto che la rivista per la quale curava una rubrica di musica - ovviamente jazz - non voleva pagare un fotografo per illustrare i suoi pezzi (anche se la rivista in questione era il Washington Post), a Gottlieb non rimase altro che comprarsi una macchina fotografica (una Speed Graphic pagata a rate, per la cronaca) e farsi le foto da sé. E fu un successo. Gottlieb amava profondamente quello che faceva. Il jazz era il suo mondo. Gli artisti i suoi amici, quelli con cui tirava tardi nei club di New York, fumo e note in libertà a fare da sottofondo. Fotografava e scriveva. Scriveva e fotografava. E in breve approdò al Down Beat, la bibbia delle testate giornalistiche che si occupavano di musica, e di jazz in particolare. Belli i suoi articoli, ma a passare alla storia sono state le sue foto, le sue immagini di cantanti e musicisti jazz immortalati quando si esibivano, nei momenti di pausa o nei camerini, forse le più riprodotte nella storia della fotografia americana. Immagini iconiche, poster in bianco e nero (ma molti anche a colori) entrati oramai nell’immaginario collettivo, più famosi del suo autore, purtroppo rimasto sconosciuto ai più. Sua la foto di un giovane Frank Sinatra con la cravatta slacciata, quel ritratto di Louis Armstrong con «gli occhi che parlano» e la sua tromba divina, Billie Holiday che più intensa non si può, Nat King Cole, sornione, alla pianola, Leonard Bernstein posseduto dalla musica, Roy Eldridge e il suo microfono, le mani di Django Reinhardt che sfiorano la chitarra, baffetto da sparviero e sigaretta in bocca… Gli scatti di Gottlieb sembrano parlare. Li guardi, e ti sembra di sentirlo il jazz. Ti vien voglia di azzardare qualche nota, di tamburellare con le dita, di battere il ritmo con i piedi. Sono foto con «l’anima». La personalità dei musicisti messa a nudo con estrema sensibilità e senso della narrazione.La mostra milanese, curata da Alessandro luigi Perna e allestita alla Casa del Vetro di Milano (Via Luisa Sanfelice, 3) sino al prossimo 3 dicembre, non solo ha il merito di regalare al visitatore una suggestiva full immersion di 60 immagini nello straordinario mondo del jazz, ma anche – e soprattutto – quello di ricordare ( o forse è meglio dire far conoscere…) una delle figure più interessanti del panorama fotografico americano degli anni ’40 del Novecento.E’ importante sottolineare che l’esposizione - in anteprima assoluta per l’Italia - fa parte del progetto History & Photography (www.history-and-photography.com), che ha per obiettivo quello di raccontare la Storia con la Fotografia (e la Storia della Fotografia), valorizzando e rendendo fruibili al grande pubblico, alle scuole e università gli archivi storico fotografici italiani e internazionali, pubblici e privati
Getty Images
Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
Muwaffaq Tarif, lo sceicco leader religioso della comunità drusa israeliana
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».
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Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità