2024-03-24
Cercare paesaggi ancora selvaggi per provare a colmare i nostri vuoti
L’ultimo libro di Janisse Ray ci porta dall’Alaska al Messico, dal Montana al Costa Rica, ad osservare le balene degli oceani, le salamandre, le alci e le aquile. Seguendo lo spirito guida di Bruce Chatwin.La prima cosa che ho pensato appena ho chiuso Wild Spectacle di Janisse Ray è stato «moriremo tutti saggisti?» Tanta narrativa è diventata sapiente e illustrativa, e la poesia si è lentamente trasmutata in un alterego dell’ecologismo più allarmante, oltre che scientifico e didascalico. Gli editori hanno ceduto al dilagante desiderio di popolarità dei saggisti divulgativi, di cui una parte in ambiti naturalistici, dietro ai quali non solo competono tra loro accademici di varia estrazione e nazionalità, ma anche camminatori, appassionati, giardinieri, botanici, arboricoltori, architetti, fotografi, misuratori di alberi, cercatori di bellezza, e paesologi, terrologi, arborimaniaci, fioristi e fiorai, ovviamente ornitologi, ovviamente entomologi, ittiologi, apistici – esistono, studiano il comportamento delle api – e cavernologi, laghisti, nubisti, paesaggisti civili, e tutto un circo di favolosa e sorprendente vitalità editoriale. Potrebbe sembrare che invochi una certa ironia ma in verità c’è anche stupore, sorpresa, in effetti il nostro vocabolario non fa che ingrassare, come raramente è accaduto. Chissà, mi chiedo, quali di queste idee sopravvivranno alla marea presente? Quali autori tra cento anni considereranno come noi oggi consideriamo un Thoreau, un Emerson, o un Aldo Leopold? Magari nessuno? Oppure?Fino ad alcuni anni fa, volendo introdurre l’argomento «natura selvatica» o «selvaggia» ci si accontentava del termine «wilderness», spesso intraducibile. Esisteva una wilderness filosofica, esisteva una wilderness geografica e naturalistica, veri e propri luoghi definiti selvaggi che dovevano rispettare regole più severe rispetto ai parchi nazionali e statali nel Nordamerica. Chi ha cercato di tradurre questa parola in italiano si è sempre dovuto accontentare di misure ridotte e circoscritte, come è accaduto anche al poeta e traduttore Roberto Sanesi che negli anni Cinquanta (era il 1958), in occasione della curatela di un’antologia di poeti statunitensi, Poeti americani (Feltrinelli), scelse il termine «selvatichezza». Sembra passata un’epoca intera o anche due, da allora, quando questo termine fioccava nelle quarte di copertina come neve in cima all’Everest in pieno inverno. Poi, camminando, osservando, tracciando biografie immerse nelle diverse opportunità di natura a nostra disposizione, diversi autori hanno iniziato a creare piccoli timidi neologismi, un po’ per gioco, ma anche per un autentico bisogno di dare il via a qualcosa che fosse personale e al contempo vero, concreto, (auto)biografico ma anche oggettivo. A chi scrive è capitato coi termini «homo radix» e «dendrosofia» ma per altri sono stati parole quali paesologia, geofania, geoanarchia, geopoesia, ecopoesia, diritti degli animali, diritti degli alberi, l’onnipresente antropocene, pedosfera, viandanza e una miriade di altri termini, talora recuperando parole e concetti del passato e rivitalizzandoli, talora invece cucendone di inediti. E dunque ora, qualsiasi nuovo libro deve proporre nuove parole. Meltemi, editore di lungo corso di cui ricordo, trent’anni fa, un emozionante saggio di antropologia urbana, si è cambiato d’abito e ha inaugurato una nuova linea grafica e nuove collane, tra le quali Atlantide, testi di accademici e giornalisti scritti lontani dagli studi e dalle cattedre, spesso annodandosi e scarpinando nei diversi paesaggi del globo. Uno degli ultimi nati è Wild Spectacle di Janisse Ray. Sottotitolo: Alla scoperta di meraviglie in un mondo oltre l’umano. L’introduzione si chiude con queste parole: «Questo libro tratta del desiderio di vivere i nostri paesaggi in modo profondo e grandioso: come abitanti, mangiatori, cercatori, allievi e soprattutto come passanti, perché nel più grande schema siamo tutti visitatori, solo di passaggio in questo pianeta, mentre la morte è la natura più selvaggia e impervia da esplorare. Ecco cosa ho trovato, visto, sentito, pensato e imparato durante il mio soggiorno nella natura». E va bene, cara Janisse Ray, dove mi porti? Viaggiamo nei mari e negli oceani ad avvicinare le inaudite balene che s’inabissano o schiantano la coda sulla superficie delle acque, e di fronte alle quale rimaniamo, ogni singola volta, incantati, anche se siamo sul nostro divano, dietro uno schermo televisivo, a decine di migliaia di chilometri di distanza. Oppure facciamo la conoscenza del «duende», lo spirito imprendibile, che anima il flamenco ma anche molte cose che stanno oltre la nostra presa di coscienza, girovagando tra visi e dialoghi, ossa di creature estinte, uccelli e animali (a noi) insoliti, paesaggi esotici, e qui davvero intravedo accanto alla Ray lo spettro di Bruce Chatwin, che di certo non è stato il primo a mescolare tutto in questo modo, ma molti di noi, da giovani e giovanissimi, si sono nutriti dei suoi viaggi esploranti in Patagonia, ad esempio, o lungo le vie dei canti in Australia. L’avevo quasi perso di vista, Chatwin, dato troppo per scontato, ma è lui, ora che ci penso lo vedo bene, lo distinguo chiaramente, è lui che guida, nel suo stile giornalistico e diaristico insieme, accumulativo, giocoso, che molti di noi compongono le pagine, gli appunti, i saggi. A forza di nutrirci di certi autori ci siamo risvegliati adulti capaci di imitarli alla perfezione, ciascuno ovviamente col proprio estro, carico di nozioni ed esperienze. E così seguendo le migrazioni di Janisse Ray visitiamo il Montana, il Costa Rica, il Messico, il Belize, l’Alaska, la Florida, intrecciamo i nostri respiri con le alci, dalle quali è opportuno tenere qualche passo di distanza, pipistrelli, aquile, salamandre, gufi, e curiose donne ragno. Quale la differenza rispetto ai libri di cui parliamo in questa rubrica da anni? A esempio considerando le collane di una casa editrice come Ediciclo, o parte delle tante opere dal respiro ambientale e naturalistico pubblicate nel corso degli ultimi tempi da Laterza o da Il Saggiatore, da Piano B? Ogni autrice, ogni voce, è unica, eppure sembra di leggere un unico grande vasto, anzi vastissimo, libro di storia, spesso evenemenziale, e naturale. E mi chiedo anche se molti di questi accademici viaggiatori che traduciamo con ottimismo nelle possibilità di condivisione e vendita, sarebbero mai giunti nel nostro mercato editoriale se non avessimo avuto questo grande vuoto che coincideva con la paura, anzi, il terrore di non farcela più, di non riuscire nemmeno a pensare ad un futuro per un pianeta abitato decentemente da noi umani? Avremmo avuto spazio? I lettori ci avrebbero cercato? I giornali, che noi stessi compiliamo, si sarebbero interessati specificatamente ai temi che rincorriamo e nutriamo?
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.