2025-07-31
Anche l’Italia vuol chiedere i prestiti Ue per la Difesa. «Ma per spese già previste»
Sono 18 i Paesi interessati al fondo Safe. Giancarlo Giorgetti: «È più conveniente dei Btp». Il leghista Claudio Borghi: «Idea pessima». Il nodo della preferenza per le aziende dell’Unione.La Commissione europea ieri pomeriggio ha reso noto che sono 18 gli Stati ad aver mostrato interesse ad accedere al programma sulla difesa europea Safe da 150 miliardi di euro di prestiti. Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Finlandia, che in totale avrebbero chiesto 127 miliardi. Anche per l’Italia, se ne era parlato, ed era considerata una possibilità fin dall’inizio. Naturalmente la notizia ha sollevato le proteste dei pacifisti, ma l’Italia chiederà fino a un tetto massimo di 15 miliardi da restituire come previsto in 45 anni, senza pagare nulla per i primi 10 e senza condizionalità. Secondo quanto si apprende l’Italia ha aderito al fondo Safe con l’obiettivo di finanziare i programmi di difesa già pianificati nel quinquennio 2026-2030 e alleggerire così il bilancio dello Stato. Il programma quindi non è stato attivato per dare copertura a nuove spese di difesa, come sostengono le opposizioni, bensì per finanziare spese già programmate e previste nei documenti di bilancio dello Stato. Da un punto di vista finanziario è molto vantaggioso. Lo conferma anche il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti: «I debiti Safe li valutiamo interessanti perché sono più convenienti rispetto ai Btp: è una fonte di finanziamento alternativa per finanziare delle spese d’investimento per la difesa che in larga parte sono già previste e già in itinere». Poi aggiunge: «Se mi dite pago il 3,5 sul Btp o il 3% sul Safe il ministro dell’Economia se non è scemo risponde: pago il 3% sul Safe e risparmio un po’ di interesse». Claudio Borghi, senatore della Lega, precisa sui social che si tratta solamente di una «richiesta di informazioni che nel caso dovrà passare dal Parlamento. Farò il possibile per spiegare bene, anche agli alleati se ci sarà bisogno, che qualsiasi siano le condizioni di questo mini “Pnrr del razzo”, farsi prestare soldi dalla Ue è un’idea pessima così come pessimo è stato il debito Pnrr». Poi spiega: «Debito privilegiato e vincolato alla spesa che ci diranno altri a fronte di debito normale e senza vincoli di utilizzo per una differenza di pochi centesimi? Nessuna convenienza. Ci rivedremo in aula a settembre se ci sarà bisogno, ma spero non ci sarà perché ovviamente spiegherò tutto da subito per le brevi a chi di dovere». Non esattamente la linea del suo collega di partito e ministro, Giorgetti.Ad ogni modo questo strumento potrà essere richiesto formalmente entro il 30 novembre di questo anno. Tecnicamente il meccanismo di erogazione dei fondi è strutturato su diverse fasi. Dal 30 novembre in poi, gli Stati membri avranno due mesi per presentare i progetti che desiderano finanziare, coinvolgendo almeno due Paesi per ciascun progetto. La Commissione Ue avrà poi fino a quattro mesi per la valutazione.Una volta ricevuta l’approvazione potranno ricevere un primo finanziamento pari al 15% del costo stimato. In seguito potranno esserci nuovi versamenti fino a dicembre 2030, in base all’avanzamento del progetto. Questo strumento appare vantaggioso soprattutto per gli Stati con rating di credito medio-basso. Paesi come Lettonia, Bulgaria, Grecia e Italia, che non godono di rating AAA, potranno approfittare del rating elevato della Commissione europea per finanziare i propri programmi di difesa a condizioni più favorevoli. Viceversa accade il contrario per gli Stati con rating elevato come Germania, Danimarca o Svezia, infatti nessuno di questi Paesi ha mostrato interesse per lo strumento messo in campo dall’esecutivo Ue. Come già scritto, i prestiti possono durare fino a 45 anni con 10 anni di grazia per il rimborso capitale, inoltre, tra i vantaggi fiscali, c’è l’esenzione dal pagamento dell’Iva sugli acquisti. Infine chi vi accede avrà la garanzia del bilancio Ue che protegge gli Stati da eventuali aumenti dei costi di rimborso.C’è però un elemento cruciale da chiarire. La preferenza ad aziende europee è alla base dello strumento. Per ottenere i fondi, almeno il 65% del valore di un sistema d’arma deve essere prodotto in uno Stato membro dell’Ue, in Ucraina o in un Paese dello Spazio economico europeo o dell’Associazione europea di libero scambio.Il restante 35% può provenire da Paesi terzi, ma con limitazioni: solo alcuni partner strategici, come Regno Unito, Norvegia, Corea del Sud e Giappone, potranno partecipare fino al 65%, previo accordo bilaterale specifico. Tra questi Paesi dovrebbero essere inseriti anche gli Stati Uniti, impossibile altrimenti garantire gli investimenti promessi nell’accordo stretto sui dazi. Le percentuali dunque probabilmente andranno riviste.Ultima clausola: Bruxelles chiede che le aziende europee mantengano «l’autorità di progettazione» dei sistemi acquistati: una misura per prevenire blocchi futuri all’utilizzo o alla riesportazione, come i cosiddetti «kill switch» che consentirebbero a fornitori esterni di disattivare i sistemi.
Jose Mourinho (Getty Images)