2024-06-22
Israele risponde a Hezbollah e colpisce il Sud del Libano. Il doppio fronte scuote l’Idf
L’escalation con la milizia foraggiata dall’Iran costringe l’esercito a ridistribuire le forze dalla Striscia al confine Nord. E tornano i dubbi sulla resistenza di Iron Dome.Il leader del Cremlino sa che il momento è propizio per sedersi al tavolo delle trattative viste le difficoltà sul campo di Zelensky. Intanto prepara il vertice con il presidente turco.Lo speciale contiene due articoli.I funzionari statunitensi sono molto preoccupati dal fatto che, in una possibile guerra tra Israele e Hezbollah, il gruppo militante sostenuto dall’Iran possa bucare le difese aeree israeliane nel Nord, incluso il sistema Iron Dome. Tre funzionari americani hanno infatti riferito alla Cnn che, probabilmente, «almeno alcune batterie dell’Iron Dome saranno sopraffatte». Preoccupazioni riguardo alla vulnerabilità dell’Iron Dome di fronte al vasto arsenale di missili e droni di Hezbollah sono state espresse anche da Israele, che sta ridistribuendo forze dal Sud di Gaza al Nord del Paese. Il ministro degli Esteri Israel Katz su X ha scritto: «Israele non può permettere che l’organizzazione terroristica degli Hezbollah continui ad attaccare il suo territorio e presto prenderà le sue decisioni necessarie. Il mondo libero deve appoggiare senza condizioni Israele nella sua guerra con il diavolo, Iran e l’islam estremistico. La nostra guerra è la vostra guerra, e le minacce di Hassan Nasrallah (leader di Hezbollah, ndr) a Cipro sono solo l’inizio. Il diavolo deve essere sconfitto, come la storia ha già provato nel passato». Ma cosa c’è nell’arsenale di Hezbollah? Si ritiene che la milizia sciita possieda circa 150.000 razzi che potrebbe utilizzare per colpire le infrastrutture israeliane, e tra queste ci sono le centrali elettriche. E a tal proposito, Shaul Goldstein, capo della società responsabile della pianificazione dei sistemi elettrici del paese, al Times of Israel ha espresso i suoi timori: «Israele non è preparato ai danni che subirebbe la sua infrastruttura elettrica se dovesse scoppiare una guerra su vasta scala con Hezbollah. Non possiamo promettere l’elettricità se c’è una guerra nel Nord. Dopo 72 ore senza elettricità sarà impossibile vivere qui. Non siamo preparati per una vera guerra». Ma era proprio necessario fare queste dichiarazioni? Evidentemente no, e infatti dopo qualche ora se ne è accorto lo stesso Goldstein, che ha ritrattato: «Ho fatto osservazioni irresponsabili che non avrei dovuto fare». Come detto, la guerra con la fazione libanese si avvicina, dato che nemmeno il pressing americano ha avuto effetto sulla leadership di Hezbollah, che risponde solo e unicamente ai mullah di Teheran, che pare vogliano la guerra totale. Un altro aspetto preoccupante è che Israele si troverà a dover combattere su due fronti, e di sicuro Hamas e sodali faranno di tutto per creare diversivi e trappole nelle quali far cadere l’Idf. Secondo Lion Udler, esperto militare e di antiterrorismo, Israele si trova militarmente nel momento più adeguato per iniziare la guerra a Hezbollah, che prima o poi avrebbe comunque dovuto fare: «L’esercito israeliano è pronto più che mai, con riservisti addestrati e motivati, motivo per il quale Hezbollah non vorrebbe colpire più in profondità perché si trova dinanzi a un esercito pronto e in allerta. Israele ha i mezzi per difendersi, ma bisogna precisare che non esistono al mondo sistemi di difesa aerea che proteggono ermeticamente un intero territorio. Anche Israele subirà delle conseguenze in caso di allargamento della guerra, senza contare che l’Iran potrebbe trasferire ulteriori forze dalla Siria e dall’Iraq, ed eventualmente entrare in guerra lanciando missili e droni contro Israele dal proprio territorio. La strategia iraniana è proprio quella di circondare Israele con truppe, razzi, missili e droni per usarli nel momento che militarmente ritengono più opportuno. Hezbollah tenterà di colpire le batterie della difesa aerea Iron Dome, David’s Sling e Arrow, capacità che l’organizzazione ha dimostrato di avere». Sul fronte degli ostaggi, il ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, ha affermato che «ci sono stati progressi in una certa misura. Non può esserci una delle parti in conflitto che adotta completamente la visione dell’altra parte. La soluzione deve basarsi su compromessi». Intanto, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha incontrato a Washington il consigliere israeliano per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi e il ministro degli Affari strategici israeliano Ron Dermer. In un comunicato pubblicato sul suo sito web, il dipartimento di Stato ha affermato che Blinken «ha ribadito l’impegno incrollabile degli Stati Uniti nei confronti della sicurezza di Israele e ha discusso degli sforzi in corso per raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e per garantire il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas». Blinken ha anche detto che «bisogna evitare un’ulteriore escalation tra Israele ed Hezbollah al confine con il Libano». Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha difeso il suo video che ha suscitato forti dissensi da parte della Casa Bianca, in cui lamentava i ritardi degli Usa nella consegna di armi e munizioni. In una dichiarazione al sito americano Punchbowl ha definito il video «assolutamente necessario. Significativi problemi al riguardo erano emersi mesi fa. Abbiamo provato, in conversazioni molto serene tra noi e i funzionari Usa, tra me e il presidente Joe Biden, a tentare di risolvere queste diminuzioni delle forniture. Tuttavia non è stato possibile, e ho deciso che la messa in onda del video era assolutamente necessaria dopo mesi di conversazioni tranquille che non hanno risolto il problema». Netanyahu allo stesso sito ha parlato del post conflitto nella Striscia di Gaza, che lui immagina così: «Penso che dovremo procedere a una smilitarizzazione sostenuta, cosa che può essere fatta solo da Israele, contro qualsiasi tentativo terroristico di ripresa. Poi ci vorrà un’amministrazione civile, anche per gestire la distribuzione degli aiuti umanitari. Ciò deve essere fatto con la cooperazione, la sponsorizzazione interaraba e l’assistenza dei Paesi arabi». Infine, ieri anche l’Armenia ha riconosciuto lo Stato palestinese. E Hamas ha subito ringraziato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/israele-libano-2668572778.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zar-isolato-macche-va-da-erdogan" data-post-id="2668572778" data-published-at="1719030909" data-use-pagination="False"> Zar isolato? Macché, va da Erdogan Sebbene l’Occidente continui a considerarlo «disperato», Vladimir Putin si mostra attivo su molteplici fronti. Lo zar, dopo la visita di tre giorni fa a Pyongyang dall’amico Kim Jong-un che ha innalzato il livello di preoccupazione non solo tra i membri appartenenti alla Nato ma anche nell’area del Pacifico, dal Giappone alla Corea del Sud, e da ultimo il viaggio in Vietnam, dimostra ancora una volta dall’inizio del conflitto in Ucraina di non essere affatto isolato e di sapersi muovere con destrezza sullo scacchiere internazionale. Il leader del Cremlino, che il prossimo 3 luglio incontrerà in Kazakistan anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, considerate le difficoltà delle forze ucraine sul campo di battaglia, sente che è il momento propizio per sedersi a un tavolo delle trattative, per il momento ancora virtuale, e distribuire le carte: da una parte la diplomazia, dall’altra le minacce. «Il dialogo con gli Stati Uniti è necessario, Mosca è pronta, ma è interessata solo a un dialogo che sia globale e che comprenda anche i temi della partecipazione americana nel conflitto ucraino»: queste le parole pronunciate ieri dal portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, in risposta a quanto aveva dichiarato in precedenza il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa John Kirby, secondo cui Washington sarebbe pronta a intavolare un negoziato con Mosca sui rischi nucleari e sul controllo degli armamenti, senza però un riferimento alla guerra in Ucraina. Alle parole di Peskov hanno fatto seguito poi quelle di Putin: «La Russia è pronta per un’ampia discussione internazionale sulle questioni relative alla sicurezza euroasiatica anche con gli Stati membri dell’Ue e della Nato», ha affermato in occasione di un incontro con i diplomati delle scuole militari. Nello stesso incontro Putin ha però precisato che l’esercito russo potrà contare presto su un importante aumento della fornitura di armi moderne da impiegare al fronte: «Aumenteremo le forniture di sistemi aerei senza pilota di diversi tipi, veicoli corazzati e mezzi di distruzione di precisione, aerei d’attacco, sistemi di rilevamento del nemico e di controbatteria, sistemi di controllo e comunicazione». Ma non solo. Stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa Tass, il capo della Federazione russa ha in cantiere anche un potenziamento dell’arsenale nucleare: «Prevediamo di continuare a sviluppare i nostri armamenti nucleari come garanzia di deterrenza strategica ed equilibrio di potere nel mondo» ha dichiarato Putin. Un messaggio forte nel giorno in cui da Bruxelles, dove è in corso l’Ecofin, l’Ue ha dato il semaforo verde per l’ingresso tra i 27 di Moldavia e Ucraina. «È un gran giorno per il nostro Paese» ha commentato il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba. Un’altra buona notizia per l’Ucraina è arrivata ieri da Josep Borrell. L’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Ue ha annunciato che lunedì prossimo potrebbero essere sbloccati e recapitati a Kiev sotto forma di aiuti militari i fondi pari a 1,4 miliardi di euro provenienti dagli asset russi congelati. E a proposito di armi, l’azienda tedesca Rheinmetall ha reso noto di aver siglato un contratto di 8,5 miliardi di euro per la fornitura di munizioni d’artiglieria da 155 mm.
Donald Trump (Getty Images)
Donald Trump (Getty Images)
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)