2023-06-29
Prima la pancetta, poi il falò del Corano. La Svezia autorizza le proteste anti islam
Stoccolma, 28 giugno. Un uomo brucia una copia del Corano (Ansa)
Un uomo ha bruciato il libro con la «benedizione» dei giudici. Turchia furiosa: a rischio l’ingresso di Stoccolma nella Nato.Numerosi roghi e vandalismi nelle periferie di Parigi dopo che un poliziotto ha sparato a un 17enne che non si è fermato all’alt. Rivolta della sinistra e anche Mbappé ci marcia.Lo speciale contiene due articoli.Dopo il verdetto della Corte d’appello svedese che ha accolto la richiesta di poter bruciare pubblicamente il Corano, la polizia di Stoccolma ha autorizzato la manifestazione indetta ieri pomeriggio da un trentaquattrenne cittadino iracheno. Stavolta l’estremista danese Rasmus Paludan che ha più volte bruciato il libro sacro dei musulmani non si è fatto vedere, forse anche perché l’ultima volta che lo ha fatto (gennaio 2023) fuori dall’ambasciata turca dovette scappare in fretta e furia prima di essere malmenato (o peggio) da un gruppo di musulmani inferociti.Come annunciato alla stampa svedese, alle 13.30 di ieri, l’uomo del quale non sono state rivelate le generalità, armato di megafono e in compagnia di un amico che lo riprendeva, si è presentato nei pressi della moschea Zayed bin Sultan al-Nahyan (l’ex presidente degli Emirati Arabi Uniti morto nel 2004 che ne finanziò la costruzione), nel quartiere di Södermalm. Ad assistere al comizio tenuto in lingua araba c’era una piccola folla di curiosi, tutti i media svedesi e alcune testate estere. A parte la grande tensione e il timore di qualche atto di forza, c’è stato solo un piccolo incidente provocato da un uomo che ha lanciato dei sassi in direzione del cittadino iracheno, subito bloccato dalla polizia.A scanso di equivoci occorre precisare che non c’è stato alcun malinteso perché, come riferito dalla stampa locale, l’organizzatore, che secondo alcune indiscrezioni sarebbe un sostenitore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), nella sua richiesta ha davvero scritto così: «Voglio esprimere la mia opinione sul libro del Corano, lo strapperò e lo brucerò». Detto e fatto. Con tanto di sventolio della bandiera svedese alla fine e di fetta di pancetta gettata tra le pagine del libro. Inizialmente l’autorizzazione gli era stata negata e, a quel punto, l’iracheno ha fatto ricorso alla Corte d’appello svedese che due settimane fa ha dato il via libera.E con quali motivazioni? Secondo i giudici svedesi, «i rischi per la sicurezza e le conseguenze che l’autorità può vedere connesse al rogo del Corano non sono di natura tale da poter essere, secondo la normativa vigente, la base per una decisione di rigetto di una domanda di raduno pubblico». Dopo lo sconcerto iniziale, la polizia ha dichiarato, attraverso la portavoce Helena Boström Thomas: «Noi siamo abituati a esprimere opinioni e abbiamo le risorse per svolgere quel lavoro. Abbiamo una forza di polizia speciale che è lì per prevenire disordini e intervenire contro la criminalità. È vero che c’è il divieto di appiccare fuochi, ma la protezione costituzionale della libertà di parola va oltre. Ma per il resto è una bella offesa». Se è davvero così, perché in passato le autorità hanno negato simili richieste con riferimento a minacce di attentati terroristici? Mistero. Sul caso è intervenuto anche il primo ministro Ulf Kristersson, leader del partito dei moderati che governa con i due partiti conservatori alleati, i cristiano-democratici e i liberali, e che gode del fondamentale appoggio esterno di Sverigedemokraterna (Democratici svedesi), partito di estrema destra anti-immigrati. «È legale, ma sicuramente non appropriato», ha affermato il premier Kristersson che sta cercando di rimettere ordine in un Paese che, negli anni di governo socialista-verde, ha accolto decine e decine di immigrati e rifugiati di ogni tipo che stanno trasformando radicalmente la Svezia, dove non si contano più i quartieri off limits.Kristersson è anche alle prese con il delicatissimo passaggio relativo all’entrata della Svezia nella Nato che, come noto, è osteggiato dalla Turchia e che, dopo la giornata di ieri, potrebbe essere ancora più lontano. Da Ankara non è mancata la risposta a quanto accaduto fuori dalla grande moschea di Stoccolma e su Twitter il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan , ha scritto: «Condanno l’atto spregevole commesso in Svezia contro il Corano, il nostro libro sacro, durante il primo giorno dell’Eid-al-Adha. È inaccettabile permettere queste azioni dietro il pretesto della libertà di espressione, tollerare un atto atroce di questo tipo significa esserne complici». Abbiamo chiesto alla professoressa Laura Sabrina Martucci, esperta in processi di radicalizzazione presso l’Università di Bari, un commento su quello che appare come un vero cortocircuito giudiziario svedese: «L’esercizio di una libertà non è mai assoluto. Pur essendo un diritto umano fondamentale, è sempre possibile rimetterlo a un bilanciamento ponderato e dinamico con altri diritti e con la sicurezza pubblica. Atti di questo tipo minano la sicurezza perché offendono e vilipendono oggetti sacri. Ma, di più, intaccano equilibri delicati esprimendo sentimenti estremi che alimentano reazioni violente e incontrollate che, pur comunque ingiustificabili, spesso ne diventano un contro-canto. L’autorizzazione espressa dalla Corte d’appello sembra non considerare il bilanciamento tra libertà d’espressione e liberata religiosa, nella sua declinazione di tutela del sentimento religioso dei fedeli musulmani. È vero che questa potrebbe essere vista come una prerogativa dell’ordinamento italiano, ma il bilanciamento tra sicurezza e libertà è prerogativa di tutti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/islam-svezia-proteste-corano-2661999646.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="minore-ucciso-banlieue-in-fiamme" data-post-id="2661999646" data-published-at="1687986045" data-use-pagination="False"> Minore ucciso, banlieue in fiamme Le banlieue francesi sono in fiamme dopo il decesso di Nael M., un diciassettenne già noto alle forze dell’ordine per infrazioni minori che, martedì, non si è fermato ad un controllo di polizia nelle vie di Nanterre. Sin da subito, la dinamica dell’intervento degli agenti ha suscitato perplessità perché non è chiaro se il poliziotto che ha esploso il colpo, un uomo di 38 anni con una lunga carriera alle spalle, si trovasse in una condizione tale da giustificare la legittima difesa. Inizialmente, una fonte poliziesca citata da vari media tra cui Le Figaro, ha riferito che gli agenti hanno fermato una Mercedes che circolava nella corsia riservata ai bus. Il conducente non si sarebbe fermato, finendo in una strettoia. In seguito, l’uomo avrebbe cercato di investire uno dei poliziotti che gli avrebbe sparato, ferendolo al torace. Nella mattinata di martedì, però, un video pubblicato su Twitter ha presentato la situazione da un altro punto di osservazione. Nelle immagini si vede uno dei poliziotti addossato al parabrezza di un’auto di colore giallo, con la pistola puntata verso l’abitacolo. A un certo punto il veicolo si è mosso e l’agente ha sparato contro il conducente. Il poliziotto che ha sparato è stato fermato e l’Igpn (l’organo giudiziario della polizia transalpina, ndr) ha aperto un’inchiesta. Anche il secondo poliziotto è stato denunciato da uno dei legali della famiglia di Nael. Non appena la notizia della morte del giovane ha iniziato a diffondersi, in vari quartieri di Nanterre sono scoppiate delle proteste che, con il passare delle ore, sono diventate sempre più violente. Nella notte tra martedì e mercoledì le proteste si sono trasformate in guerriglia urbana e si sono estese ad altre cittadine delle banlieue «calde» attorno alla capitale francese quali: Nanterre, Mantes-la-Jolie o Asnières. Varie auto sono state date alle fiamme, così come una scuola elementare e degli uffici comunali. Nella stessa notte dopo la sparatoria Mounia, la madre del giovane, si è unita a uno dei gruppi di manifestanti riunitisi a Nanterre, attorno alla militante antirazzista Assa Traoré. In un video diffuso da quest’ultima sui social è apparsa anche Mounia, comprensibilmente affranta e in collera. In seguito la donna ha annunciato una «marcia bianca» di «rivolta» per suo figlio a Nanterre, in programma per oggi. La situazione è diventata talmente esplosiva che il ministro dell’interno Gérald Darmanin ha disposto l’invio di circa 2.000 agenti a Nanterre e dintorni. A gettare benzina sul fuoco ci hanno pensato vari esponenti di sinistra. Su Sud Radio, la leader degli ecologisti di Eelv, Marine Tondelier ha parlato di «americanizzazione della polizia» francese, che ha definito «razzista». Anche Kilian Mbappé e Omar Sy si sono espressi sulla vicenda. In un tweet, il calciatore ha scritto: «Mi fa male la mia Francia», definendo Nael M. come un «angioletto partito troppo presto». Il presidente Emmanuel Macron ha definito la morte del giovane «inspiegabile» e «senza scuse». Il premier Elisabeth Borne ha detto che l’intervento della polizia «non sembra manifestamente essere conforme alle regole». Per Police alliance, uno dei principali sindacati della polizia, è «inconcepibile che il presidente della Repubblica [...] » e altre personalità «ignorino la separazione dei poteri e l’indipendenza della giustizia [...] prima che questa si pronunci». La morte di un giovane è una tragedia, non si possono giustificare delle sommosse. Nel 2018 un altro giovane, Romain, era morto durante un controllo di polizia ma non erano scoppiate proteste. A onor di cronaca va detto che il Nael M. era già stato fermato per guida senza patente e che avrebbe dovuto comparire in autunno davanti a un giudice minorile. Quando questa edizione de La Verità andava in stampa la situazione rimaneva tesa.